Innovazione

Il volto tecnologico della moda: cosa chiede alla politica chi fornisce macchinari al settore fashion

26
Novembre 2021
Di Paolo Bozzacchi

Come sta vivendo l’era pandemica la moda italiana dal punto di vista di chi ne produce i macchinari e ne aggiorna costantemente la tecnologia di produzione? The Watcher Post ne ha parlato con Cristiano Paccagnella, Vicepresidente ASSOMAC (Associazione Nazionale dei Costruttori Italiani di Tecnologie per Calzature, Pelletteria e Conceria).

Paccagnella, nel 2020 il fatturato dell’industria italiana delle macchine per conceria, calzature e pelletteria, nonostante le difficoltà, è stato capace di mantenere un giro d’affari di oltre 440 milioni di euro e un valore dell’export pari a circa il 70% della produzione. Che crisi è stata?

“E’ vero che il mondo fashion continua ad andare bene e non era scontato. Anche i numeri della ripresa ci confortano. Ma è altrettanto vero che noi produttori di macchinari rappresentiamo solo la parte che non si vede della moda, quella tecnologica. La nostra crisi del settore è iniziata prima della pandemia, con i magazzini pieni già nel 2019”.

Cosa occorre, adesso, per crescere ancora? I fondi del PNRR e la legge di bilancio in discussione come dovrebbero/potrebbero supportare il settore?

Tra i nostri settori di produzione quello delle calzature ha subìto il colpo più duro. Ora anche questo sta ripartendo. Ma va sfatato un tabù: i nostri clienti (soprattutto in Italia) non solo solamente i grandi marchi della moda, all’avanguardia in termini di macchinari e tecnologie di produzione. Sono soprattutto le piccole e medie aziende, i distretti di produzione con i laboratori specializzati: un vero e proprio patrimonio italiano. Il nostro obiettivo come Assomac è proprio quello di salvaguardare al meglio questo patrimonio di conoscenza”.

Come?

“Bisogna che la politica incentivi la possibilità per i nostri clienti di produrre e stare al passo con l’innovazione e l’industrializzazione. Mi spiego meglio: non può affatto bastare la misura “Industria 4.0” perché è un fatto che non ha aiutato abbastanza. Si è dimostrata di non facile accesso per i piccoli e medi produttori e con paletti all’ingresso troppo stretti. A livello normativo si può e deve fare di più. Perciò chiediamo al Governo Draghi di introdurre uno strumento di più facile utilizzo (un incentivo all’acquisto di macchinari e tecnologia), non solo per i produttori dei settori calzature, pelletterie e concerie. In modo da consentire a chi produce in Italia di restare al passo con le tecnologie più innovative e offrire di conseguenza prezzi più competitivi ai consumatori finali. Oggi un laboratorio che va avanti di sola manodopera non riesce più a stare sul mercato, e la stessa manodopera specializzata è molto difficile da reperire per gli imprenditori. Anche per noi potrebbe essere spinta competitiva, perché molti macchinari entrano in Italia”.

Le transizioni gemelle “green e digitale”, anche nel vostro settore, sono in pieno corso. Come le state affrontando? E come si può vincere la sfida del cambiamento?

“Abbiamo introdotto una targa verde per i nostri macchinari, con certificazione esterna di livello internazionale (RINA). La targa certifica la quantità prodotta di CO2: impatto ambientale misurato. L’obiettivo di questa iniziativa è che se un produttore deve acquistare un macchinario, noi facciamo in modo che preferisca e scelga un macchinario più sostenibile, che oltre tutto fa anche parte di una filiera di produzione più italiana. Una scelta che rientra nel concetto di economia circolare”.

Con il boom dei costi dei trasporti e in particolare dello shipping si assiste a un ritorno alla produzione in Italia? Sarà l’Italia il Vostro prossimo fattore di crescita?

“L’Italia è il faro per noi produttori di macchinari, perché a livello UE quello che produciamo in Italia è ancora il punto di riferimento. Tutti i più grandi brand del settore fashion stanno ancora producendo in Italia. Qui da noi nascono ancora le migliori idee e un’innovazione che fa scuola. La questione del boom dei costi dei trasporti e delle materie prime crea di fatto ritardi nelle consegne e un danno per tutta la filiera. L’Italia resta fondamentale per noi produttori di macchinari, e la serviamo per prima perché è il Paese che ne ha più bisogno in questa fase. Un esempio paradigmatico: i costi di trasporto delle gabbie per i macchinari sono quintuplicati rispetto a soli due anni fa”.

Se e come sta cambiando la mappa dei paesi di destinazione dell’export delle vostre tecnologie made in Italy?

“Fino a prima della pandemia avevamo due aree di destinazione principali per i nostri macchinari: India e Sud Est asiatico. In questa fase l’India sta riprendendo a produrre, mentre l’Asia (più legata ai brand USA) deve ancora ripartire e si sta riorganizzando internamente. Ad esempio i produttori del Vietnam hanno iniziato a comprare macchinari in Vietnam, visto che ormai sono in grado di offrire anche una discreta tecnologia. Prossimi mercati di destinazione interessanti sono il Nord America, ma anche l’Est Europa, inclusa la stessa Germania, dove stanno rientrando produzioni”.

Da quali Paesi vengono i competitor più temibili per i macchinari e le tecnologie prodotte dai membri ASSOMAC ? 

“Abbiamo poco da competere con i Cinesi, perché chi guarda solo al prezzo e non alla qualità dei materiali e della tecnologia li sceglie e li sceglierà anche in futuro. Lo stesso vale per Taiwan. Ma anche la più vicina Turchia è sempre più temibile perché si sta attrezzando bene. C’è poi anche la Francia che si è fatta più temibile da quando i più grandi marchi del settore fashion sono di proprietà francese. Parigi si è molto adoperata negli ultimi anni, anche nella produzione dei macchinari”. 

Il tema della formazione è fondamentale per ridurre il mismatch nel mondo del lavoro. Percepite come Assomac questo bisogno? E come state traducendo questa esigenza?

“Sia noi produttori di tecnologia sia i nostri clienti avvertiamo una grave carenza di formazione specializzata. Lato macchinari mancano tecnici specializzati, manutentori, così come per i produttori non si trovano abbastanza pellettieri. Insieme a Confindustria Moda, Assomac vuole accendere un faro sulla formazione, per rendere consapevoli i decisori che o ci si investe seriamente nella formazione nella moda, oppure inevitabilmente perderemo una bella fetta del Pil italiano. In questa fase è in atto un reshoring della produzione delocalizzata in Asia, perciò si stanno spostando moltissime produzioni. Bisogna dare motivo alle imprese di venire in Italia a produrre, anche perché c’è pronto del personale specializzato locale in grado di fare al caso loro. Invece le nuove produzioni stanno scegliendo molto l’Est Europa e anche la Gran Bretagna. L’Italia in questo senso vanta ancora un primato, ma va difeso adeguatamente. Urge una formazione coordinata di alto livello, che accorpi tutte le lodevoli iniziative locali. Solo in questo modo saremo davvero competitivi”.

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