Innovazione

Il salto tecnologico di Fleap che stravolge la finanza tradizionale

16
Aprile 2025
Di Ilaria Donatio

(Articolo pubblicato su L’Economista, inserto de Il Riformista)
Nella storia di Fleap – da financial leap, salto finanziario – l’elefante nella stanza è il tema della dematerializzazione: ingombrante ma spesso minimizzato.

Questa startup innovativa, incubata presso il Polihub di Milano, nasce nel 2018 all’interno di una società di consulenza che supportava le Start-Up sul Fundraising e sullo sviluppo del modello di Business. Ed è la risposta al bisogno di facilitare la condivisione di informazioni, in un periodo storico in cui non esistevano norme ad hoc: «Noi abbiamo visto un’opportunità nella tokenizzazione degli asset finanziari», ovvero nella digitalizzazione di asset su blockchain, dove le informazioni sono trasparenti e immutabili. A parlare è l’ad di Fleap, Thomas Iacchetti che insieme al gruppo fondatore dà, così, il via a una serie di studi di fattibilità con la realizzazione di primi esperimenti. 

Dice Iacchetti: «Siamo partiti dalla prima emissione di strumenti finanziari partecipativi fino ad arrivare all’emissione di un bond». 

Nel frattempo l’Ue – che già lavorava sulla regolamentazione della tecnologia come abilitante per velocizzare alcuni aspetti finanziari – emana il Regolamento 858. E nel 2022, Consob inizia a lavorare sul recepimento del Regolamento europeo, disegnando così il contenuto di quello che poi sarebbe diventato il “decreto Fintech”, emanato nel marzo 2023. 

In 5 anni, Thomas Iacchetti, Paolo Bucciol e Donato Pastore – a cui qualche tempo dopo si aggiungono il CLO Alessandro negri della Torre, il Cto Gian Maria Clerici e Andrea de Lodovici – riescono a fare fundraising e a suscitare l’interesse di investimenti da parte di Banca Valsabbina e Azimut: raccolgono 4,5 milioni di euro di equity con 500 milioni di prestito: «Negli altri paesi 5 milioni sono raccolti in un solo round!».

Ma per raggiungere queste cifre, c’è bisogno di ricevere fiducia dagli interlocutori: «Quella della pandemia, è stata una fase complessa: l’abbiamo gestita puntando tutto sulla parte di ricerca e sviluppo». 

L’altro aspetto fondamentale è stato il network: «Mi ricorderò sempre quel 27 dicembre: siamo rientrati, muniti di mascherina, per andare a parlare a Brescia con Banca Valsabbina ed lì che è nato un rapporto di fiducia che ancora ci vede uniti in questa realtà».

Il rallentamento causato dal Covid è stato solo l’inizio di questo percorso. Fleap ha partecipato alla sandbox regolamentare nel 2022 e poi ha iniziato l’iter autorizzativo per diventare responsabile del registro: «Tra la domanda di entrare nell’elenco di Consob – quello dei responsabili dei registri per la circolazione digitale, ndr – e il decreto di ammissione, sono trascorsi 10 mesi». Tempi in parte giustificati, ma che possono compromettere strutture ancora fragili». 

Però una riflessione va fatta: perché l’Italia risulta essere sempre il Paese più lento? Perché se i tempi di attuazione di un decreto legge dovrebbero essere di tre mesi, diventano di dieci?

«Abbiamo competitor che non sono italiani – la Germania, per esempio – in cui nostri 10 mesi, diventano 90 giorni! Questo, nonostante Consob sia stata molto disponibile a sostenere la nostra realtà e le altre che stanno chiedendo l’autorizzazione».

Non è solo un tema politico: «Siamo un Paese particolare, dove bisogna fare molta attenzione alla tutela del risparmiatore» e questo crea barriere preventive a «tutto quello che è nuovo».

Dunque, uno dei temi è come si guarda a questa tecnologia all’interno dell’infrastruttura di mercato: «Il fatto che in Italia sia ancora allo studio (questo mercato ha visto la luce solo quest’anno), la fa considerare come qualcosa che ci verrà addosso, prima o poi, e che va in qualche modo “arginato”». 

Nel frattempo, dall’altra parte dell’Oceano, «il Ceo di BlackRock – una delle maggiori società di investimento al mondo – parla di tokenizzazione di asset finanziari come asset principale di cambiamento della finanza tradizionale. Questo vuol dire cavalcare la nuova tecnologia per andare a modificare da dentro tutto quello che è il mercato finanziario, togliendo dalle posizioni dominanti gli intermediari». E abbattendo i costi per l’investitore finale.

Ci sarà un «cambio di paradigma molto forte – sia tecnologico che filosofico – sul tema della finanza tradizionale: su questo, negli Usa stanno investendo miliardi».

L’obiettivo su cui lavorare per i prossimi cinque anni? «Far diventare questa tecnologia abilitante per nuovi mercati e investitori, con una polarizzazione dei player» perché, con più risorse, ci sono maggiori margini di sviluppo. Intanto, conclude, «spero che le istituzioni finanziarie inizino a utilizzare questo tipo di tecnologia e questo tipo di prodotti e che possano diventare un “asset class” per l’investitore retail e per quello tradizionale».