Innovazione
IA tra le righe. I primi libri scritti da algoritmi
Di Daniele Bernardi
“Non siamo mai stati sulla Terra”, il primo esperimento letterario italiano con una IA deputata al settore dell’editoria. Una macchina che scrive? Difficile da credere direte voi, sapete cosa? Avete ragione…almeno in parte: l’autore del libro è Rocco Tanica (comico, membro del gruppo Elio e le storie tese e, da oggi, anche scrittore) ma il suo co-autore è Out0mat‑B13 e, come si può immaginare dal nome, non è esattamente un suo normale collega.
Si tratta di una moderna IA di tipo OpenAI con funzioni di deep learning e tante altre cose molto complicate. Per semplificare: è una macchina in grado di apprendere dai testi degli altri autori e carpirne lo stile così da riprodurlo nei propri testi. I risultati sono incredibili. Incredibili si, ma non rivoluzionari: sostituire un autore fisico e superare il cosiddetto Test di Turing (quel test per cui si chiede ad un uomo di riconoscere tra due testi, quale è stato scritto da un essere umano e quale no) è ancora impossibile.
Il titolo del libro, “Non siamo mai stati sulla terra”, è un chiaro sfottò ai complottisti che non credono all’allunaggio. Il libro racconta di racconti fantastici e parodie intervallati da finte interviste tra Tanica e Out0mat‑B13, chiamato di volta in volta ad interpretare improbabili intervistati: Dio, l’acqua, il cinema porno…
Come è nata l’idea? «l’interesse si è risvegliato quando ho visto su TikTok il video di un utente che faceva una dimostrazione di testi generati da un’intelligenza artificiale», ha detto l’autore, «mi ha incuriosito, ho capito subito di essere di fronte a un fenomeno nuovo. Volevo capire fino a che punto questa versione di IA potesse avere o simulare una coscienza di sé. Sono rimasto folgorato dalla sua efficacia».
Un libro del genere venne scritto nel 2018 da Ross Goodwin: “1 the road”. L’autore ha compiuto un viaggio da New York a New Orleans a bordo di un’auto intelligente, dotata di sensori che rilevavano l’ambiente circostante e persino le conversazioni tra i passeggeri. Tutte queste informazioni venivano poi convertite da un’intelligenza artificiale in brevi racconti che Goodwin ha messo insieme e utilizzato per la stesura di un romanzo.
Le applicazioni, comunque, degli algoritmi al mercato dell’editoria sono molteplici. Un primo esempio proviene dalle traduzioni dei libri stranieri: un’operazione semplice e complesso allo stesso tempo. Traduttori automatici esistono da molto tempo, ma riuscire a trasmettere la stessa atmosfera e sensazione di un libro traducendolo in un’altra lingua richiede un duro lavoro e una buona conoscenza della lingua che si va a inserire.
Altro utilizzo ancora è quello della consulenza: Amazon, ad esempio, utilizza sofisticati algoritmi che suggeriscono all’utente il libro che più potrebbe piacergli, così come avviene per molti altri prodotti. Questa tecnologia, oltre ad avere ovviamente un’utilità immediata per le casse dell’azienda che intende vendere di più, può avere degli importanti sviluppi nella crescita della cultura e dell’informazione.
Tutte queste opportunità fanno sorgere un pericoloso dubbio: l’intelligenza artificiale potrebbe costituire un rischio per i lavoratori del settore dell’editoria? A questa domanda non è facile rispondere: sicuramente un algoritmo costa a un’impresa meno di uno scrittore, di un traduttore o di un’analista; tuttavia, i suoi lavori non sono mai perfetti e non eguaglieranno mai quelli dello scrittore, del traduttore e dell’analista. Lo ricordiamo: le IA finora utilizzate non passano mai completamente il Test di Turing e fin quando sarà così, non penso che assisteremo ad un esproprio da parte delle macchine.