Innovazione
HereAfter IA e la possibilità di parlare con i propri cari che non ci sono più
Di Daniele Bernardi
“Cosa faresti se scoprissi che esiste un posto dove i tuoi ricordi possono vivere per sempre?”. Si presenta così HereAfter, una nuova Intelligenza Artificiale in grado di riportare alla luce i ricordi di un proprio caro che non c’è più, simulandone atteggiamento, pensiero e le possibili risposte alle nostre domande.
Siamo ormai sempre più abituati a vedere le IA sconfinare in tutti i campi della nostra quotidianità: guidano, producono immagini, musica, arte in generale, ci ricordano gli impegni, ci consigliano che strada percorrere, ci suggeriscono che musica ascoltare e, sempre più spesso, ci tengono semplicemente compagnia. A quest’ultima categoria appartengono i cosiddetti chatbot: algoritmi con i quali si interagisce mediante (appunto) una chat. Ce ne sono dei più vari: da chatbot semplici deputati al customer service delle aziende, ad altri più complessi come BlenderBot di Meta. Quello che si è raggiunto con HereAfter, tuttavia, va molto più in là di quanto non sia stato fatto finora.
HereAfter è un’IA a cui puoi raccontare i tuoi segreti, i tuoi ricordi, i tuoi pensieri, puoi caricare foto, video e altri elementi di cui l’algoritmo si prenderà cura e che conserverà negli anni a venire. Molti, molti anni a venire. L’IA a quel punto, quando consultata, racconterà i tuoi ricordi alle nuove generazioni. Le storie del nonno tramandate (con la sua stessa voce) al nipote.
Per citare lo spot dell’azienda americana: “La tua voce, la tua personalità e storia, il tuo per sempre”, il tutto gratuitamente (almeno per il periodo di prova di 14 giorni).
Una volta iniziata la prova, l’IA ti porrà delle domande su di te, la tua infanzia, le tue esperienze e la tua personalità. Tu potrai rispondere registrando un messaggio vocale, a corredo delle tue storie, potrai poi caricare delle immagini, tutto materiale che verrà conservato e analizzato dall’algoritmo. Fatto ciò, ai tuoi cari basterà accedere e porre delle domande al tuo alter-ego virtuale per veder comparire sullo schermo una tua foto e sentir rispondere con la tua voce.
L’editor del MIT Technology Review (rivista dell’omonima università americana) Charlotte Jee ha testato l’IA, avendo dozzine di conversazioni virtuali con i genitori (quelli veri sono ovviamente ancora vivi). “Da quello che ho potuto capire … questo renderà più facile tenere vicine le persone che amiamo” ha detto Jee che, tuttavia, ha sostenuto anche di aver riscontrato problemi in un primo momento e che solo col tempo i genitori hanno cominciato a “sembrare più simili a loro stessi”.
Questa di HereAfter IA, seppur rivoluzionaria, è solo l’ultima Intelligenza artificiale a toccare l’argomento. Già da un po’ di tempo, il settore si sta popolando di algoritmi che simulano il comportamento dei nostri cari, cercando di mantenerli ancora in vita e accanto a noi anche molto tempo dopo la morte (come StoryFile,che permette addirittura di vedere una simulazione video del defunto, o You, Only Virtual, con le cosiddette “Versonas”, persone virtuali).
Ma HereAfter ha qualcosa che gli altri competitor non hanno: una storia. L’algoritmo è una creazione di Vlahos, ingegnere informatico che, mentre era impegnato nella stesura di un libro proprio sulle Intelligenze Artificiali conversazionali, viene a scoprire della malattia terminale del padre, affetto da un cancro al quarto stadio. È a questo punto che decide di creare Dadbot: invece di limitarsi a registrare le storie raccontate dal padre, dà vita ad un’IA in grado di rivisitare i suoi ricordi e renderli più vivi, spontanei. Quando l’invenzione di Vlahos è diventata di dominio pubblico, lo sviluppatore ha iniziato a ricevere migliaia di richieste da utenti che volevano un proprio Dadbot, o un Mombot, per continuare a conversare con i propri cari. È così che è nata HereAfter IA.
Ad ogni modo, la piattaforma non è priva di difetti: le risposte a una data domanda, ad esempio, tenderanno ad essere sempre le stesse, seppur modificando leggermente il racconto, e l’IA non è in grado di comprendere realmente con chi sta parlando e dunque modificare le proprie emozioni e il proprio rapporto a seconda dell’utente che interagisce con la piattaforma. Tutte problematiche che la compagnia intende superare da qui ai prossimi anni, ma che per adesso limitano l’esperienza.
Fin qui abbiamo considerato l’utilità (oggettiva potremmo dire) di questa piattaforma, ma non possiamo evitare di considerare altresì la presenza, altrettanto importante, di rischi e dubbi etici che un algoritmo del genere porta con sé: è giusto continuare a consultare i propri cari dopo la morte? Non si rischia, così facendo, di non elaborare compiutamente il lutto e prolungare il proprio dolore? Probabilmente è ancora presto per dirlo e forse non sarà mai semplice trovare delle risposte concrete a queste domande, ma speriamo che queste tecnologie scatenino un acceso dibattito nella società e che si raggiunga quanto prima una coscienza collettiva attorno al tema, così da evitare eventuali degenerazioni.