Innovazione

Fusione nucleare, via al progetto europeo Demo

14
Luglio 2022
Di Giuliana Mastri

L’Europa inizia a progettare le prime centrali commerciali a fusione nucleare da 500 megawatt: è il programma Demo (Demonstration Fusion Power Reactor), il successore del reattore sperimentale Iter che sta nascendo in Francia. Un traguardo che comunque vedrà la luce non prima di 30 anni, ma su cui si inizia a lavorare. La strategia Horizon EUROfusion è stata presentata a Bruxelles. «Ottenere energia elettrica in forma vantaggiosa dalla fusione nucleare è ancora lontano ma sarà realtà, se continueremo a lavorare insieme», ha detto Rosalinde van der Vlies, direttrice del Direttorato Clean Planet della Commissione Europea.

Al Consorzio Europeo per lo sviluppo dell’energia di fusione (Euratom – Eurofusion) aderiscono 26 stati membri, più Svizzera, Regno Unito e Ucraina per un totale di 29 partner ai quali Euratom affida l’attuazione del programma di sviluppo della fusione nucleare, come definito nella tabella di marcia europea sulla fusione. Il Consorzio è nato nel 2014 e ha ricevuto un primo grant per il periodo 2014-2020 nell’ambito di Horizon 2020. Recentemente un secondo Grant nell’ambito di Horizon Europe 2021-2027. Vengono condotte attività di ricerca teorica e sperimentale in preparazione delle operazioni sul reattore a fusione sperimentale Iter (International Thermonuclear Experimental Reactor), la cui costruzione è in fase di completamento a Cadarache (Francia), e un programma tecnologico mirato alla progettazione del reattore Demo. In ciascun Paese un program manager coordina le attività dei partner, comprese quelle delle parti terze affiliate al programma. In Italia, Enea, su indicazione del Ministero dello Sviluppo Economico, coordina i 21 partner che comprendono enti di ricerca, università e imprese.

Le incognite del reattore Iter

Nonostante il reattore Iter, il primo progettato a livello comunitario, dovrebbe essere pronto entro il 2030-2035, potrebbe già partire con degli impedimenti. Il problema principale riguarda il trizio, un isotopo ottenuto dall’idrogeno che serve per la fusione. Iter infatti utilizza trizio e deuterio che si scontrano, generando un plasma più caldo della superficie del sole. Ma il trizio è molto raro e attualmente se ne trova sempre meno in natura. Forse ne esistono ancora 20 chili in tutta la superficie terrestre e alcuni Stati che studiano la fusione nucleare, tra cui l’India, hanno fatto scorta di questo elemento. Meno riserve ha invece l’Europa, da quando furono messi i primi vincoli agli esperimenti negli anni ’60. Il trizio inoltre si deteriora rapidamente. In circa 12,3 anni. Al contrario, il deuterio è di più facile reperimento e si può estrarre dall’acqua di mare. Una soluzione potrebbe allora essere quella di sfruttare i vecchi reattori di fissione nucleare per generare trizio da poi riusare. Adoperando anche il litio nella reazione per una maggiore sicurezza, ma molti esperti non sono d’accordo. Dunque si pensa anche di operare la fusione tra idrogeno e boro. C’è già chi ha presentato il progetto. Ma, a onor del vero, la preoccupazione tra gli specialisti è tanta. Sia sul far funzionare Iter sia sull’alternativa del boro, più costosa.

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