Innovazione
Data driven culture, quando i dati orientano le nostre scelte
Di Giampiero Cinelli
I dati non più unicamente come informazioni, ma come pilastri di un approccio lavorativo, politico, culturale. Se la realtà non può ridursi in ultima analisi a un insieme di dati, spesso però possiamo capirla meglio proprio grazie a essi. Soprattutto nel mondo aziendale il cosiddetto approccio guidato dai dati, la data driven culture, sta ridefinendo il modo di impostare i piani, la produzione e di vendere servizi.
Negli ultimi tempi abbiamo visto un grande sviluppo di tecnologie capaci di analizzare con estrema precisione grandi masse di informazioni, elaborandole in statistiche, previsioni, cluster, pattern. Attraverso i big data si interpretano i trend del mercato e si può anche studiare meglio il sentimento e i gusti all’interno del pubblico, permettendo maggiore efficacia nelle campagne marketing e di comunicazione legate ai brand. E come non menzionare la politica. Oggi sono molti i programmi che riescono ad analizzare l’opinione prevalente negli aggregati umani, filtrata dai social, sui temi d’attualità. Di conseguenza i leader avranno uno strumento non da poco per guadagnare consenso o per comprendere meglio come trattare una questione delicata.
Nel corso del 2022 il mercato italiano del Data Management e Analytics raggiungerà i 2,41 miliardi di euro, facendo registrare un incremento del 20% rispetto al 2021. Una crescita trainata soprattutto dalla componente software (54% del mercato, +25% sull’anno precedente), mentre la spesa in risorse infrastrutturali cresce in maniera meno sostenuta, al di sotto della media del mercato.
Solo alcuni dei dati che sono stati presentati oggi nel convegno “Data-Driven Culture: connettere algoritmi e persone“, che ha presentato l’indagine svolta dall’Osservatorio Big Data & Business Analytics della School of Management del Politecnico di Milano. L’evento si è svolto a Milano nel Campus Durando legato al Politecnico.
Lo studio evidenzia come nelle grandi aziende permanga la difficoltà nell’inserimento di ruoli professionali specializzati su gestione e analisi dei dati: il 49% dichiara di aver introdotto almeno un Data Scientist, il 76% un Data Analyst e il 59% un Data Engineer.
Dalla clientela al personale. Poter analizzare con estrema accuratezza le caratteristiche performative di un gruppo di lavoro, indirizza gli interventi di correzione e contribuisce a una migliore organizzazione. Qui si inserisce un tema etico, perché più la conoscenza del singolo aumenta, più tale conoscenza non deve dar adito a comportamenti discriminatori o punitivi. Del resto, il progresso tecnologico non è mai scevro da questioni filosofiche.
Altra implicazione del data driven è tutto il filone del machine learning. Se le tecnologie possono lavorare così bene sui dati, saranno in grado di calcolare e imparare. Qui dunque si apre la prospettiva dell’automazione dei processi decisionali. Ma questa prospettiva-timore può essere inappropriata e ad ogni modo siamo ancora ben lontani da ciò.
La sensazione è che da questo nuovo stadio del progresso tecnologico non torneremo indietro e dovremo saperlo usare secondo i migliori scopi, soprattutto in modo efficiente. Non siamo agli albori, ma neppure in una fase in cui questo modello di sviluppo è da considerarsi consolidato. Grande l’attenzione anche sugli effetti sociali e di sicurezza.