In Parlamento
FOCUS INNOVAZIONE TECNOLOGICA #2. Pastorella: «Garantire una copertura uniforme di rete»
Di Andrea Sivo
A meno di una settimana dal voto continua l’analisi di The Watcher Post sull’innovazione tecnologica. Tema affrontato in maniera laterale in campagna elettorale, pur essendo uno dei pilastri del Pnrr. Dopo aver inaugurato la rubrica dedicata all’argomento con Luca Carabetta (M5S), l’intervista con Giulia Pastorella Vicepresidente e Responsabile Innovazione e digitale di Azione.
Lo sviluppo delle infrastrutture digitali fisse e mobili rappresenta uno dei grandi obiettivi del PNRR italiano (che prevede un investimento di 6,7 miliardi di euro) nonché uno dei pilastri fondamentali per costruire una “Smart Italy” e colmare il digital divide che ancora oggi caratterizza il nostro Paese. Negli ultimi anni sono state messe in campo diverse misure di semplificazione volte ad accelerare la diffusione delle reti ultraveloci che però hanno avuto finora un impatto limitato, anche a causa dei numerosi vincoli ancora presenti a livello locale. Ritiene che il prossimo Governo debba “cambiare passo” sulla questione, prevedendo, ad esempio, invece di interventi normativi estemporanei, una “Legge Obiettivo” o una “Legge Annuale sulla Transizione Digitale” che consenta di definire a livello normativo, finanziario ed operativo la realizzazione delle infrastrutture di comunicazione elettronica, così da assicurare una crescita uniforme dell’ordinamento italiano sulle telecomunicazioni, in particolare sul 5G?
«Le infrastrutture di comunicazione sono ormai da considerarsi a tutti gli effetti di primario interesse nazionale, al pari di quelle energetiche o idriche. Si tratta tuttavia di implementazioni ad alto contenuto tecnologico che hanno incontrato ed incontrano ancora forti resistenze in alcune aree, spesso a causa di errate convinzioni che inducono a un atteggiamento cosiddetto NIMBY. L’attuale struttura normativa, già implementata dal ministro Colao, necessita sicuramente di un rafforzamento mirato da un lato a stabilizzare e semplificare la realizzazione delle necessarie infrastrutture, e dall’altro a rassicurare i cittadini sul rispetto di parametri ambientali e sanitari adeguati agli standard europei. Occorre garantire a cittadini e aziende una copertura uniforme e con essa pari opportunità di accesso e sfruttamento delle moderne risorse presenti in rete. Negli anni ‘60 e ‘70 è stato necessario implementare una rete infrastrutturale di trasporti senza la quale non avremmo potuto sviluppare i comparti turistici ed industriali; allo stesso modo oggi dobbiamo completare la copertura digitale, anche, dove necessario, con interventi normativi e di partecipazione diretta da parte dello Stato».
Altra priorità per completare la transizione digitale dell’Italia è senza dubbio la piena e integrata digitalizzazione dei servizi pubblici. Per raggiungere questo obiettivo, è fondamentale che tutte le PA, sia a livello nazionale sia a livello locale, si dotino di soluzioni ICT in grado di facilitare e velocizzare il rapporto con cittadini e imprese. Sotto questo profilo, tuttavia – sebbene il Codice degli Appalti abbia introdotto il passaggio dal criterio del massimo ribasso all’offerta economicamente più vantaggiosa per l’aggiudicazione degli appalti pubblici – in molti casi le PA privilegiano la convenienza economica a discapito della qualità dei servizi offerti. Ritiene sia possibile prevedere, all’interno della riforma del Codice degli Appalti, oggi inclusa nei programmi di molti dei principali partiti politici, dei meccanismi finalizzati a premiare le imprese (in particolare quelle del settore dell’ICT) impegnate a sviluppare soluzioni innovative per le Pubbliche Amministrazioni italiane garantendo contemporaneamente elevati standard di sicurezza e affidabilità?
«Assolutamente sì. Da tempo risulta chiaro che la logica dell’offerta economicamente più vantaggiosa permetta poco margine di manovra nella Pubblica Amministrazione per acquistare i servizi migliori, o quelli più verdi o più sicuri nel senso della cybersecurity. In altri Paesi ci sono criteri premianti per queste caratteristiche. Per fortuna, il Green Public Procurement europeo e’ stato declinato anche in Italia e già va in questa direzione. Mi piacerebbe che lo stesso avvenga per la cybersecurity – e quindi non solo acquistare soluzioni e prodotti DI cybersecurity, ma anche prodotti conformi CON caratteristiche di cybersecurity che siano premiate. In generale, tanti governi stanno scoprendo in ritardo il potenziale non sfruttato degli appalti per l’innovazione – l’Italia non ancora del tutto. In tanti l’hanno capito durante il covid, quando l’emergenza ha reso possibile appalti rapidi ed innovativi – ma ora va istituzionalizzato. Gli appalti pubblici devono diventare driver di cambiamento, con semplificazioni burocratiche e “coraggio” nella scelta di soluzioni innovative».
La pandemia ha accelerato il percorso di trasformazione della società verso il futuro digitale. Tutti abbiamo infatti potuto verificare anche in prima persona come le nuove tecnologie possano abilitare soluzioni e applicazioni che facilitano l’organizzazione delle principali attività quotidiane e, contemporaneamente, permettono alle imprese di essere più resilienti e sostenibili: basti pensare all’Intelligenza Artificiale che – utilizzando infrastrutture ad altissime prestazioni come quelle High Performance Computing (HPC) – consente a imprese e PA di gestire in modo efficace quantità di dati sempre più vaste. Tuttavia, nonostante siano state avviate diverse iniziative finalizzate a sostenere lo sviluppo delle nuove tecnologie, il nostro Paese fa ancora fatica e manca di un piano strutturato di medio-lungo periodo sugli investimenti per le infrastrutture all’avanguardia e i centri di R&S. Come si dovrà muovere il prossimo Governo, a vostro parere, per spingere maggiormente lo sviluppo delle key enabling technologies, in modo da riuscire a colmare i gap che l’Italia ancora sconta rispetto ai principali partner europei?
«Innanzitutto c’è bisogno di una implementazione totale del piano PA digitale 2026 contenuto nel PNRR, in particolare la piattaforma nazionale dati per interoperabilita’ dei dati pubblici, ma anche l’attenzione ai comuni più piccoli perché senza una diffusione capillare sul territorio di una vera amministrazione digitale di base non si può pensare di proporre tecnologie all’avanguardia. Nell’attesa che il Regolamento europeo sull’Intelligenza Artificiale sia votato dal Parlamento europeo e dal Consiglio, si potrebbe dare attuazione alla strategia italiana per l‘intelligenza artificiale, che dovrebbe però essere fatto con una governance rafforzata rispetto a quella contenuta nella strategia. L’adozione delle nuove tecnologie da parte delle aziende deve passare per il modello Industria (poi Impresa) 4.0, che incentiva gli investimenti senza indirizzarli verso una tecnologia specifica. Noi intendiamo ampliare la platea di beni inclusi in questi benefici anche a beni innovativi per raggiungere la transizione ecologica. Molto spesso l’economia blu del digitale e verde della lotta al cambiamento climatico si sovrappongono. Basti pensare all’utilizzo di tecnologie di IA come supporto alla realizzazione della transizione ecologica (ad es. algoritmi predittivi già esistenti per minimizzare gli sprechi di acqua o di altre risorse primarie, etc.)».
È ormai sotto gli occhi di tutti che se da un lato la diffusione delle nuove tecnologie consentirà di raggiungere la piena e integrata digitalizzazione di imprese, PA e cittadini, dall’altro questa renderà inevitabilmente tutti sempre più vulnerabili a nuove forme di cyber-attacchi. Di conseguenza, e anche alla luce dell’attuale contesto geopolitico, gli investimenti nella cybersecurity rivestono un ruolo sempre più importante per lo sviluppo del Paese. In particolare, quali ritiene che possano essere le misure principali da mettere in campo per sostenere le imprese che decidono di investire per rafforzare i propri sistemi di cybersecurity?
«Nel nostro programma ci sono sia supporti agli investimenti, ma anche altri importanti elementi che riteniamo fondamentali per permettere alle imprese e alla PA italiana di sfruttare al massimo la digitalizzazione riducendo i rischi di cyber attacco o minimizzando le conseguenze. Un ruolo chiave dovrà averlo la nuova Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale che deve contribuire nel fornire alle aziende indicazioni chiare in merito alle misure di sicurezza auspicabili e agire più come partner che meri controllori. L’agire come partner è per noi un cambiamento culturale in direzione liberale e garantista che cambierebbe l’approccio in essere in Italia che è in direzione quasi opposta. Questo cambiamento è auspicato dalle aziende che in caso di security incident sono restie alle notifiche alle autorità in quanto vedono il loro coinvolgimento più come un ulteriore problema che un aiuto. Altro elemento fondamentale per sostenere le aziende, ma anche per offrire ai giovani l’occasione di opportunità lavorative qualificate è la formazione. Oltre a voler orientare scuole, università e centri di ricerca a sviluppare piani di formazione e progetti in ambito cybersecurity, riteniamo che nel piano di potenziamento per gli ITS si debbano dedicare risorse a percorsi sulla cybersecurity per incrementare il numero di studenti formati con le skill che non sono soltanto richieste dal mercato, ma che hanno, ormai, una rilevanza strategica nel sistema Paese. Gli ITS possono essere pensati come vivai di talenti con expertise in cybersecurity e digitale in generale da inserire nelle PA locali e nazionali. Da questo punto di vista le amministrazioni di Bologna e Milano si sono già mosse in questa direzione accingendosi ad avviare dei corsi-concorsi appositi. Infine, anche in relazione alle forze armate si dovrebbero incrementare gli investimenti nella formazione continua dei corpi specializzati nella cybersecurity, incentivando i propri membri e tutti i possibili interessati con un percorso di certificazione delle competenze che abbia valenza anche in ambito civile».
Per contrastare la crisi derivante dall’aumento dei prezzi dell’energia, una delle ipotesi sul tavolo è che venga allargata la platea delle aziende cd. energivore (e che quindi abbiano benefici fiscali), ad esempio le aziende delle telecomunicazioni, uno dei settori industriali a maggior consumo energetico. Che cosa ne pensa?
«Avrebbe assolutamente senso che le aziende che gestiscono datacenters siano non solo considerate come aziende energivore e quindi aiutate, ma riconosciute in quanto parte delle infrastrutture critiche per il nostro Paese. Sono quindi favorevole a evitare che il piano di razionamento europeo dell’energia tocchi questo settore perché senza una corretta coordinazione, le limitazioni all’uso della rete elettrica potrebbero costituire una seria minaccia alla disponibilità di dati e servizi di interesse pubblico. Sono d’accordo con il Presidente dell’AIIP che suggerisce che il Governo istituisca un tavolo tecnico urgente affinché i benefici che derivano dalla protezione delle reti di telecomunicazione non vengano minacciati da quello che, di fatto, sarebbe il marginale risparmio energetico. Le aziende di telecomunicazioni vanno preservate perché sono al cuore della nostra capacità di mantenere la società funzionante. Oggigiorno, la connettività è un elemento imprescindibile per il funzionamento del Paese dal punto di vista strategico e generale».
La filiera delle Telecomunicazioni riveste un ruolo strategico per il Sistema-Paese. Si pensi, in particolare, agli ingenti investimenti in infrastrutture messi in atto dalle imprese per la digitalizzazione del Paese. Tuttavia, da anni gli Operatori registrano forti difficoltà in termini di sostenibilità economico-finanziaria, a causa di un mercato ipercompetitivo e di calo strutturale dei margini e dei ricavi. Alla luce del quadro sopra indicato, quali misure strutturali ritiene siano prioritarie per arginare tali difficoltà e permettere alle aziende di continuare ad investire per completare la diffusione delle reti e dei servizi di connettività su tutto il territorio nazionale e raggiungere gli obiettivi di digitalizzazione previsti dal PNRR?
«Il PNRR destina 6,7 miliardi di euro per progetti che costituiscono la Strategia per la banda ultralarga, che si pone in continuità con la Strategia varata dal Governo Renzi nel 2015. Di fatto quindi, il PNRR già prevede moltissime misure per diffondere reti e servizi di connettività. Proprio a giugno 2022, si è conclusa per esempio l’assegnazione di 480 milioni di euro per portare Internet ultraveloce a circa 10 mila scuole e oltre 12 mila strutture sanitarie in tutto il Paese. Questa è solo una delle misure messe in campo dal Governo Draghi che per ora ha assegnato 4 miliardi di finanziamenti per avere, entro il 2026, un Paese perfettamente connesso ai migliori livelli europei, anche nelle cosiddette aree a fallimento di mercato. Sempre il PNRR contiene un piano specifico per lo sviluppo della rete del 5G. Quindi, la prima cosa da fare, è anche la più importante per il nostro Paese, è portare a compimento gli obiettivi del PNRR senza se e senza ma. Poi si potrà discutere di cosa fare per migliorare ulteriormente la situazione, se ancora ci saranno gap».