In Parlamento
Che fine hanno fatto i popolari? Intervista con Lorenzo Malagola
Di Pietro Cristoferi
Cosa muove l’impegno dei cattolici in politica nei giorni nostri? Lo abbiamo chiesto a Lorenzo Malagola, degasperiano da sempre, un passato in politica da giovanissimo e successivamente segretario generale della Fondazione De Gasperi, il think tank politico legato al pensiero dello statista trentino. Attualmente candidato con Fratelli d’Italia nel collegio plurinominale Lombardia 1 – P01 che copre la città di Milano.
Lei porta la sua esperienza di nuovo al servizio delle istituzioni dopo un periodo in cui non ha fatto politica attivamente, è stato il più giovane consigliere comunale a Milano nel 2006 e successivamente ha ricoperto il ruolo di capo segreteria tecnica di Sacconi al Ministero del Lavoro e di Alfano alla Presidenza del Consiglio. Cosa la porta ora a interrompere la sua carriera professionale per fare politica attivamente?
«La politica è stata la mia passione fin da ragazzo. Ho sempre sentito dentro di me la spinta a servire la convivenza civile, il bene comune. Ho iniziato a scuola, ho proseguito in università fino all’arrivo a Palazzo Marino dove ho esordito nella politica dei grandi. Con l’esperienza come capo segreteria tecnica dei ministri Sacconi e Alfano, mi sono misurato con l’arte del governo: ho capito che domande complesse necessitano di risposte complesse. In questi ultimi otto anni, invece, ho guardato il mondo da un altro punto di vista, quello dell’impresa. Questa esperienza mi ha dato ordine e nuove competenze; oggi torno a fare politica attiva con occhi diversi ma mantenendo sempre la stessa spinta ideale che ha animato i miei primi passi in politica In fondo la politica è questo: servirà un ideale grande e portarlo al servizio del bene comune. Il periodo che viviamo è dominato da incertezze, inquietudine per il futuro e anche una certa sfiducia nella classe dirigente, penso allora che serva tutto l’impegno per permettere ai cittadini di tornare a credere nella politica come azione per il bene di tutti».
Un punto forte del suo impegno politico è la vicinanza con il mondo cattolico, cosa vuol dire per un cattolico fare politica oggi, qual è la responsabilità che i cattolici impegnati in politica hanno nei confronti della società civile?
«Negli ultimi anni un certo scetticismo percorre noi cattolici. Non capiamo più lo “sporcarsi le mani” con la realtà della politica: i partiti, il dibattito pubblico usano toni troppo accesi e per questo distanti dall’idea cattolica della politica come dialogo. Allo stesso tempo, sentiamo vero l’invito di Papa Francesco a “scendere dal balcone”, a immischiarsi. La politica per un cattolico è questo: implicazione reale nei temi e nei problemi quotidiani delle persone. Priva di questa dimensione, la politica non occupa più uno spazio di servizio ma solo di esaltazione del proprio ego. Per me, fare politica oggi implica necessariamente occuparsi di lavoro, di famiglia e di politica estera: è la dottrina sociale della Chiesa a evidenziare che lo sviluppo della persona si ha tramite il suo lavoro e per questo dobbiamo ripartire da un’antropologia positiva; abbiamo un’emergenza demografica tangibile e per questo occorre rilanciare l’attenzione alle politiche per la famiglia; le principali vicende degli ultimi anni, crisi finanziaria, Covid e guerra in Ucraina, hanno toccato gli italiani e tutte dipendono da fattori esterni alla nostra Nazione, anche per questo occorre rilanciare un’Unione europea “unità nella diversità”, che esalti e non denigri le preziose differenze tra i popoli».
Dal 2014 è Segretario Generale della Fondazione De Gasperi, un impegno che ha una connotazione precisa per la nostra storia repubblicana, una politica ispirata ai valori degasperiani e dei popolari, come questi si conciliano con la storia di Fratelli d’Italia che trae le sue origini da ideali diversi?
«La storia ci ha lasciato un ricordo indelebile di Alcide De Gasperi e di come abbia rappresentato per la nostra Nazione un faro, un punto di riferimento nella ricostruzione morale e materiale dopo la guerra mondiale. In questi anni, ho imparato dalla compianta Maria Romana De Gasperi, prima figlia dello statista trentino, che l’asse centrale della politica degasperiana era laicamente la sua fede e che il suo portato era la rinascita di un popolo. Il popolarismo non è sparito, è tuttavia necessario che quei valori che incarnano la storia popolare, che è la storia da cui io provengo, trovino le gambe per guardare al futuro. Un partito conservatore può essere il contenitore in cui possono trovare spazio e sintesi diverse anime, tra cui quella popolare. Il popolarismo, come il conservatorismo, si pensa in un’ottica antitetica al progressismo che appartiene alla storia della sinistra e di cui non posso condividere la visione anti-personalista e radicale».
Rispetto al tema del conservatorismo, cosa vuol dire essere conservatori oggi?
«Molto spesso pensiamo alla contrapposizione conservatori-progressisti come antitesi tra chi è ancorato al passato e chi invece abbraccia il futuro, trovo questa una banalizzazione. Essere conservatori, oggi, non è affatto non credere nel cambiamento dell’Italia. Tutt’altro il conservatorismo è rendere attuali e conservare per il futuro quegli aspetti ideali che sono parte della nostra tradizione. Senza questi la politica è solo ancorata ad una sterile idea di evoluzione priva di contenuti: progresso sì, ma verso cosa? Essere conservatori oggi è questo: spinta ideale verso il futuro con coscienza della tradizione che abbiamo ereditato. Siamo figli del personalismo, di una concezione comunitaria della convivenza civile e della convinzione che la libertà sia il motore dello sviluppo».
Sul lavoro, i nostri giovani si trovano molto spesso in difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro. Quali pensa possano essere le strategie per permettere un rilancio delle politiche attive del lavoro?
«La nostra idea è scommettere sulla persona, sulla sua pro-attività. Non dobbiamo ingabbiare le potenzialità dei giovani in forme assistenziali. Visitando a Milano i centri di formazione, gli istituti professionali, le scuole ho visto che è possibile garantire una formazione all’altezza delle aspirazioni dei ragazzi che al contempo serva a posizionarli per un lavoro. Da queste esperienze nasce la nostra osservazione sulle politiche attive: formazione perpetua, decontribuzione degli accordi tra datore di lavoro e lavoratore, separazione tra sostegno al reddito per i fragili e politiche per il lavoro. Il reddito di cittadinanza e il salario minimo rispecchiamo un’idea passiva, non abilitante della persona e delle relazioni industriali. Per noi, la partecipazione del lavoratore alla vita della propria impresa è la strada per innovare il mercato del lavoro».
Parlando di politica, non si può prescindere dal contesto europeo, De Gasperi che lei ha citato è stato uno dei padri fondatori dell’unità europea quali pensa possano essere oggi le nuove possibilità per l’Unione europea?
«Dopo il Covid e con la guerra in atto, è chiaro per tutti che l’Unione Europea è un punto di non ritorno. Questo però non significa rinunciare a rendere questa Europa migliore. I padri fondatori – De Gasperi, Schumann e Adenauer –non pensavano certo a un super Stato che addirittura avesse la preoccupazione di creare un nuovo cittadino europeo. L’origine dell’Europa unita era quello di una unione tra popoli e nazioni che mettessero a fattore comune alcune funzioni chiave come l’esercito (pensate se avessimo fatto la Comunità Europea di Difesa nel 1954), la politica estera e la moneta. Oggi affinché L’Unione Europea rimanga unita e non si sgretoli sotto la pressione di pandemie e guerre è bene riuscire a contemperare i legittimi interessi nazionali dentro la cornice comunitaria. Ciò significa anche rispettare le tradizioni e le identità di ciascun popolo europeo, senza mortificarne l’espressione e proseguendo in una cooperazione solidale tra gli Stati membri».
Dopo 2 anni di pandemia, il tema “salute” sembra scomparso dalla campagna elettorale a causa di altre emergenze. Nei fatti la nostra spesa sanitaria risulta sotto finanziata rispetto agli altri Paesi europei, c’è un grosso divario Nord-Sud e differenze regionali enormi. Quali sono le vostre proposte per rilanciare la sanità? Qual è il contributo che i privati possono dare per l’accesso alle cure?
«La pandemia ha messo in luce pregi e difetti della sanità italiana. Tra i punti di forza annoveriamo l’universalismo, il livello delle prestazioni e la sussidiarietà; tra quelli di debolezza mettiamo l’accento sulla carenza di investimenti, di personale e di servizi territoriali. Con il PNRR, il Paese ha la possibilità di attuare una nuova governance Stato-Regioni per innovare, digitalizzare e rendere più vicini al cittadino e alle comunità i servizi socio-sanitari. Da un lato, il sistema sanitario ha bisogno di un governo centrale forte e capace di costruire con le Regioni un’erogazione dei servizi sanitari innovativa. Attraverso i LEA, il Ministero e l’AGENAS possono incentivare modelli virtuosi e facilitare la diffusione delle eccellenze. Dall’altro, le Regioni debbono sperimentare e potenziare i servizi sanitari e tecnologici più utili alle sfide demografiche. Questo modello garantisce che i diritti costituzionali siano goduti nell’intero paese, e che la differenziazione dei modelli organizzativi aiuti una sana concorrenza tra buone pratiche e lasci spazio al contributo di operatori privati e del privato sociale nella gestione dei sistemi sanitari. Vogliamo in sintesi riorganizzare l’offerta e finanziare maggiormente la domanda».
Da esordiente nell’arena politica nazionale, cosa immagina, o comunque spera che potrà darle questa esperienza?
«Ad oggi sono concentrato sulla campagna elettorale che, per chi ama fare politica, è la parte più bella. L’immersione nella vita delle persone, delle imprese, delle famiglie e della società civile rappresenta per me un processo accelerato di conoscenza della realtà. In questo mese di campagna elettorale, sto capendo quanto la pandemia ha impattato sulla vita delle nostre città, quanta incertezza porti per la crisi energetica e quanta preoccupazione abbiano i genitori e gli educatori per il futuro dei giovani. Al tempo stesso, vedo tanta forza e capacità di immaginare e vivere nuove risposte ai bisogni che nascono dalla vita di ogni giorno. Se dovessi essere eletto, la promessa è di continuare a farmi generare da un rapporto libero e stretto con la gente».