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Viaggio nel mondo del Marsala

11
Marzo 2024
Di Sara Fronda

Ne sono trascorsi 250 di anni da quel lontano 1773 quando l’inglese John Woodhouse, per ottenere un liquore simile allo Sherry e al Madera e trasportarlo in Inghilterra, iniziò a fortificare il vino bianco ossidativo, chiamato anticamente perpetuum. Parliamo del Marsala che oggi conosce una seconda giovinezza. 

Il primo disciplinare di produzione per i vini di questa parte occidentale della Sicilia consentiva produzioni elevatissime, grazie anche all’incoraggiamento del Governo italiano verso i produttori ad aumentare i raccolti. Per esempio, si incentivò il metodo di guyot e tendone (pergola) rispetto a quello più tradizionale ad alberello. La conseguenza fu un’eccessiva produzione che portò ad uno scadimento della qualità del vino di base. Dobbiamo aspettare il 1984 per la revisione del disciplinare che ridusse la produzione per i vigneti portandole a 100 quintali per ettaro per le uve bianche e 90 quintali per le rosse. Insomma, una misura che privilegiava la qualità anziché la quantità. Un impegno che le odierne aziende locali hanno fatto proprio volendo conservare e consolidare una fetta di mercato enologico che gli spetta storicamente di diritto.

Frutto della sapienza e della cura delle famiglie che da sempre lavorano e amano il meraviglioso territorio trapanese, il Marsala è il risultato di un perfetto mix di vino, alcool (la categoria Vergine non ammette altro), mistella (un mosto a cui viene aggiunto alcool per bloccarne il processo di fermentazione) ed eventuale mosto cotto. 

Prodotto a marchio DOC dal 1969, oggi viene esportato in tutto il mondo: dalla Spagna alla Francia, dal Giappone agli Stati Uniti. Lo sa bene la famiglia Alagna che da oltre 70 anni trasforma le uve pregiate dei propri vigneti, che crescono solo qui grazie al microclima locale, in un prodotto di eccellenza nel pieno rispetto della tradizione, della natura e di quella fierezza tipica di chi ama la propria terra e le proprie origini. E lo leggiamo chiaramente negli occhi delle generazioni fotografate nel ritratto di famiglia che accoglie i visitatori curiosi di scoprire cosa si conservi nelle botti o nelle cisterne. 

Sono i più giovani ad aprire a The Watcher Post le antiche cantine di tufo di Baglio Baiata, dove le botti in rovere riposano adagiate l’una sull’altra in un ordine preciso che sa di storia e sapienza. È qui infatti dove si custodisce tutto il sapere di un’arte antica come il Soleras o l’alcolizzazione dei mosti. L’azienda, a pochi passi dal mare grazie al quale oltre due secoli fa iniziò la fortuna oltremanica di “quel vino liquoroso, che da queste parti si beveva solo per le grandi occasioni” ha una capacità di 50mila ettolitri di vino e, oltre al Marsala, produce vini di alta qualità (se vi capita consigliatissimi il grillo Griarì o l’Orange Wine che a dispetto del nome deriva dalla tradizione di questi luoghi; oltre ai più noti Zibibbo o Moscato e  ai vini aromatizzati che uniscono al Marsala fine, ad esempio, l’inconfondibile dolcezza della mandorla.

La conferma che non siamo più davanti ad un prodotto per troppo tempo considerato “l’ancella della cucina” arriva dalle parole dei visitatori spagnoli incontrati in azienda: “Noi abbiamo il Porto, vini liquorosi che amiamo e pasteggiamo abitualmente, ma il Marsala entra di diritto tra i nostri preferiti”
E noi di The Watcher Post ci uniamo a loro nel sostenere un’eccellenza della produzione enologica nazionale che arriva da una terra fiera e culla della cultura dove la Storia è frutto del vissuto come quello che vi abbiamo raccontato.

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