Food
Spreco di cibo, il report: l’Italia peggiora e gli italiani mangiano peggio
Di Giampiero Cinelli
Un Paese sprecone, secondo l’ultimo report “Il caso Italia” dell’Osservatorio Waste Watcher International, su monitoraggio Ipsos/Università di Bologna Distal, con la direzione del professore di Economia circolare e politiche per lo sviluppo sostenibile Andrea Segrè. In sostanza ecco quanto dicono i dati: si passa da 75 a 80,9 grammi di cibo buttato ogni giorno pro capite nelle nostre case e da 524,1 grammi settimanali del 2023 ai 566,3 grammi settimanali nel 2024. Significa l’8,05% di spreco in più rispetto a un anno fa.
Quanto ci costa? circa 290 euro annui a famiglia, 126 euro pro capite ogni anno. Lo spreco è maggiore nelle città e nei grandi Comuni (+8%) e meno nei piccoli centri, maggiori responsabilità sono state rilevate nelle famiglie senza figli (+3%) e molto di più i consumatori a basso potere d’acquisto (+17%). Geograficamente fa peggio il sud (+4% rispetto alla media nazionale) e un po’ meglio il nord (-6% rispetto alla media).
Dai costi pro capite all’impatto complessivo, che vale oltre 13 miliardi di euro. Lo spreco complessivo di cibo in Italia include quello a livello domestico (che incide per oltre 7 miliardi e 445 milioni), quello nella distribuzione che vale circa la metà (quasi 4 miliardi di euro), oltre allo spreco in campo e nell’industria, molto più contenuto.
Va detto comunque che il monitoraggio dello spreco nella ristorazione è più difficile. Per misurare meglio questa variabile è ora disponibile l’app Sprecometro dell’Università di Bologna (per IOS e android liberamente scaricabile e gratuita), che permette di misurare quanto cibo sprechiamo ogni volta che non mangiamo a casa, e anche l’impatto di questo spreco sull’ambiente. Basterà, nella fase di inserimento di un alimento sprecato, selezionare l’opzione “fuori casa” oppure “in mensa”. Questa novità consente di visualizzare l’aggregato di tutti gli sprechi registrati al di fuori dell’ambiente domestico.
Waste Watcher International questa volta ha analizzato la situazione anche sul piano della sicurezza alimentare usando l’indice FIES (Food Insecurity Experience Scale), che misura il livello di accesso delle persone a cibo adeguato e nutriente. Dal punto di vista socioeconomico, il ceto che si autodefinisce “popolare” («mi sento povero e fatico ad arrivare alla fine del mese») e che in Italia conta oltre 5,7 milioni di persone (oltre il 10% della popolazione, dati Istat) presenta un allarmante aumento del 280% di insicurezza alimentare rispetto alla media italiana. Insicurezza alimentare che aumenta dell’11% nelle famiglie con almeno un figlio minorenne e diminuisce dell’8% nelle famiglie senza figli minorenni. Ma l’aumento dell’insicurezza più significativo è nelle aree rurali, +66%.
Non solo: un consumatore su due a basso potere d’acquisto (ceto popolare) cerca cibo a ridosso di scadenza per risparmiare, e il 41% sceglie il discount a scapito del negozio sotto casa o del supermercato, il 77% ha intaccato i risparmi per fare fronte al costo della vita, il 28% ha tagliato ulteriormente il budget per la spesa alimentare. Scende con tutta evidenza il consumo del cibo biologico, perché più costoso. Le disparità geografiche sono evidenti, con il sud che registra un aumento del 26% di insicurezza alimentare rispetto alla media nazionale, mentre il nord e il centro mostrano scostamenti negativi del 14% e 7%, rispettivamente.
«Sono dati che dobbiamo attenzionare con cura – rileva il direttore scientifico di Waste Watcher Andrea Segrè – perché ci permettono di evidenziare la stretta connessione fra inflazione e insicurezza globale da un lato e ricaduta sociale dall’altro, fra potere d’acquisto in calo costante e conseguenti scelte dei consumatori che non vanno purtroppo in direzione della salute dell’ambiente, ma nemmeno di quella personale. Se in un primo momento l’effetto inflazione ha portato a misurare con decisione gli sprechi, prolungata nel tempo ha costretto i cittadini all’adozione di nuove abitudini ‘low cost’ per fronteggiare la crisi. Scegliere cibo scadente, meno salutare e spesso di facile deterioramento non comporta solo un aumento del cibo sprecato in pattumiera, ma anche un peggioramento nella propria dieta e nella sicurezza alimentare. Se la salute nasce a tavola, dal cibo scadente deriva l’aggravio dei costi sociali e ambientali. In definitiva: da poveri mangiamo e stiamo peggio, e sprechiamo persino di più. E questo circolo vizioso si riverbera sull’ambiente».