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Giornata internazionale della donna, l’obbligo di sanare i gap esistenti
Di Alessandro Cozza
L’8 marzo non può ridursi né a giornata della memoria né a celebrazioni ipocrite. Se serve, è per ragionare sulle mancanze che ancora oggi esistono nella nostra società. E sanarle, per davvero. Perché il gap uomo-donna, in ogni ambito, è più vivo che mai.
Se è vero che aumentano gli incarichi di vertice ricoperti da donne, purtroppo il risultato finale è ancora insufficiente. Si accolgono pertanto con positività i dati che emergono da uno studio di Unioncamere, secondo cui oltre un quarto dei ruoli imprenditoriali italiani sono coperti da donne: per la precisione, 2,8 milioni in termini assoluti, equivalenti al 26,8% del complesso di titolari, amministratori e soci d’impresa del nostro Paese. Ma ancora non basta.
Tra i settori dove operano principalmente le donne imprenditrici vi sono quelli dei servizi alla persona: persiste ancora un bias culturale molto stringente tra lavori considerati “da donna” e “da uomo”. È un ambito su cui lavorare, per ampliare le possibilità di impiego femminile anche laddove attualmente si riscontrano resistenze.
Questo è solo uno dei gap che esistono, forse tra i più importanti perché intacca le aspirazioni delle donne. Un altro altrettanto dirimente è quello legato al salario. Non è certo una novità che vi sia una disparità di trattamento economico tra dipendenti uomo e donna con il medesimo inquadramento lavorativo.
“Le donne devono imparare a trattare: appena un quarto di loro riesce a farlo in sede accettazione di offerta lavorativa. Al contrario, è consuetudine per oltre la metà degli uomini”. È quanto affermato dalla professoressa Azzurra Rinaldi – Head of the School of Gender Economics Università degli Studi di Roma Unitelma Sapienza – durante il talk “Donne a tutta birra” organizzato da AB InBev, il più grande produttore mondiale di birra.
Un dibattito interessante, che ha ricordato come sia l’inclusione a portare benessere dentro l’azienda. Nonché reputazione all’esterno. Lo ha sottolineato nel corso del suo intervento Serena Pasquetto, Senior Legal and Corporate Affairs Manager di AB InBev.
La società birraria è impegnata in un serio percorso di implementazione di politiche D&I, ultima delle quali l’adesione alla Carta per le Pari Opportunità e l’Uguaglianza sul Lavoro della Fondazione Sodalitas, che impegna i sottoscrittori alla diffusione di una cultura aziendale e di politiche delle risorse umane inclusive, libere da discriminazioni e pregiudizi, capaci di valorizzare i talenti in tutta la loro diversità.
“In questi anni, in Italia, la Carta è stata sottoscritta da oltre 800 tra imprese, organizzazioni non profit e pubbliche amministrazioni che impiegano oltre 700.000 lavoratori, e ben 26 stati membri dell’Unione Europea hanno adottato delle Diversity Charter”, ha dichiarato Pasquetto nel corso del talk, che prosegue: “Quest’anno abbiamo lanciato un programma di D&I volto a sostenere l’intero ciclo di vita delle persone, che ha concorso al raggiungimento del punteggio del 93,3% in ambito D&I secondo Fondazione Sodalitas. Puntare sul merito, un impegno essenziale per AB InBev: è da questa visione che può e deve partire un cambiamento che combatta finalmente ogni ingiustizia legata alle disuguaglianze di genere”.
Nonostante alcuni dati positivi, come quello di +8.600 donne al vertice da inizio pandemia, un altro dei temi posti al centro del dibattito è stato quello del “maternity gap”: una nuova forma di discriminazione sulla quale c’è ancora molto da lavorare.
“Oggi, letteralmente, assumere donne non conviene”, è la denuncia di Azzurra Rinaldi. “Tra le best practice in questo ambito, ci sono quelle dei paesi del nord Europa e degli spagnoli. A Madrid, hanno equiparato il congedo parentale facoltativo e obbligatorio tra padre e madre. Da noi, a quest’ultima, spettano 5 mesi. Al padre 10 giorni”, ha aggiunto Rinaldi.
La questione dei congedi è uno dei temi più urgenti da affrontare. Perché la disparità normativa relega la donna al mondo della cura della famiglia, distogliendola da altri impegni della sfera lavorativa. Un punto su cui la stessa AB InBev ha iniziato a lavorare, estendendo il congedo parentale al 100% della retribuzione oltre quanto prevede la legge sia per le mamme sia per i papà. Magari, perché no, andando anche oltre nei prossimi anni, con un’equiparazione definitiva. Perché si sa, su questi temi le aziende sanno essere sensibilmente più avanti delle istituzioni.
Ma in cosa consiste il piano D&I di Ab Inbev? Lo ha spiegato Clelia Brandonisio People Lead dell’azienda: “Nel 2021, a livello europeo, abbiamo puntato su quattro pilastri. People, affinché l’azienda rifletta la diversità dei nostri consumatori; Workplace, per creare un ambiente inclusivo dove tutte le persone percepiscano un senso di appartenenza; Value Chain, percreare valore condiviso in tutta la nostra catena di valore per una crescita inclusiva; Customers & Communities, affinché la nostra azienda venga riconosciuta come ambasciatrice di diversità e inclusione”.
Di lavoro da fare ce n’è molto, se è vero che – come ha ricordato la professoressa Rinaldi – per ridurre il gender gap ci vorrebbero più di duecento anni. Sì, duecento: nessun refuso. E allora bene iniziare un percorso che porti alla fine delle disparità. Bene che le aziende si muovano indipendentemente dalle istituzioni: una nuova cultura la si può creare anche così. Con l’auspicio, però, che la questione dell’empowerment femminile non sia solo tematica da talk tra donne, ma diventi un’esigenza sentita da ognuno di noi, uomo o donna che sia.