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Fake Made in Italy: quanto valgono i cibi contraffatti

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Marzo 2023
Di Daniele Bernardi

120 miliardi di euro persi ogni anno. È questa la cifra stimata da Coldiretti riguardo le perdite dovute al cosiddetto Italian Sounding, ovvero la contraffazione di prodotti alimentari che richiamano – nel nome, nei colori o perfino più esplicitamente nell’origine geografica – un’italianità che in realtà non esiste. Fake Made in Italy che fanno concorrenza ai veri prodotti italiani, spesso più competitivi, meno cari e che comportano dunque una perdita di valore per il nostro export.

Il dato arriva nella Settimana dell’Anticontraffazione, organizzata dal Ministero dello Sviluppo Economico, che oggi prende la denominazione (non a caso) di Ministero delle Imprese e del Made in Italy. Dalla prima edizione nel 2016, la settimana vede svolgersi eventi, webinar e tanto altro sulla lotta ai prodotti che spacciati per nostrani. Un’iniziativa aperta a tutti che mira a coinvolgere il più ampio pubblico possibile, perché, come recita lo slogan, “La lotta al falso passa anche da te”.

Sono 2 su 3 i prodotti che sfoggiano il tricolore sebbene non abbiano alcun legame né produttivo né occupazionale col nostro Paese. Al primo posto tra i prodotti contraffatti spiccano i formaggi, su tutti il Parmigiano Reggiano. Chi non ha mai sentito parlare del Parmesan? Tuttavia non esiste solo quello: infatti, spiega Coldiretti, bisogna prestare molta attenzione anche alle varianti sudamericane come il Parmesao e il Reggianito. Restando in Emilia-Romagna, il formaggio non è il solo prodotto ad essere fortemente oggetto di italian sounding nel mondo. Accanto al parmigiano troviamo, infatti, il Prosciutto di Parma e la Mortadella bolognese, sebbene non manchino imitazioni anche del San Daniele friulano.

Non solo cibo, purtroppo. Da alcuni anni a questa parte l’Italia costituisce il primo mercato al mondo per il settore vinicolo, un dato che incentiva il marchio tricolore ad affermarsi nel mondo, ma comporta anche un maggior rischio di trovare sugli scaffali dei supermercati prodotti contraffatti. Come dimenticare, ad esempio, la disputa sul Prosek croato, evidente imitazione del Prosecco che ha scatenato non pochi malumori da parte della Regione Veneto. «Questo non è il nostro Prosecco, ma è un prodotto che crea solamente confusione nel mercato dei vini italiani e veneti, ma soprattutto nel consumatore – sentenziò circa un anno fa il Presidente di regione Luca Zaia. Dobbiamo andare all’attacco – continuò Zaia – contro la menzione speciale del Prosek chiedendo i danni. Rovesciamo la visione e facciamo togliere quel nome ingannevole dalle etichette croate».

I mercati con maggiori prodotti taroccati sono anche quelli in cui esportiamo maggiormente, tendenzialmente paesi ricchi. In primis gli Stati Uniti, il paese da cui proviene il già citato Parmesan e in cui – spiegano da Coldiretti – il 90% dei formaggi spacciati per italiani sarebbero invece frutto di produzioni locali, per giunta spesso discutibili. Ma in seguito allo scoppio della guerra in Ucraina e all’embargo che l’Europa ha imposto sulla Russia, anche la Federazione governata da Putin ha visto un incremento repentino dei Fake Made in Italy sugli scaffali. Una situazione, ad essere sinceri, che va avanti dal 2014, ovvero dalle sanzioni seguite all’annessione della Crimea al territorio russo. Si stima che negli ultimi otto anni queste misure siano costate al nostro paese circa due miliardi di euro. Ad essere colpita soprattutto è anche qui la filiera di salumi e formaggi, al cui deficit italiano ha compensato l’apertura di nuove imprese locali.

A peggiorare le cose ci sarebbero anche gli accordi che negli ultimi tempi l’Unione europea ha siglato con diversi paesi stranieri, liberalizzando il commercio di imitazioni, prodotti che vantano nomi italiani e sfoggiano indebitamente il tricolore. Il primo accordo è stato quella col Canada, ma a stretto giro sono seguiti Giappone, Singapore, Messico e i paesi del Mercosur, quelli – per intenderci – da cui provengono il Parmesao e il Reggianito. Nel 2020, sulla questione si espresse anche l’allora Presidente Coldiretti Roberto Moncalvo: «È inaccettabile che il settore agroalimentare sia trattato dall’Unione Europea come merce di scambio negli accordi internazionali senza alcuna considerazione del pesante impatto che ciò comporta sul piano economico, occupazionale e ambientale».

Nel frattempo – lo si diceva in apertura – sono oltre 120 i miliardi persi dal nostro paese e il panorama internazionale non promette bene. Inoltre, arginare il problema non sembra tra le questioni in cima all’agenda delle istituzioni, eppure – ci dice Ettore Prandini, attuale Presidente della Confederazione Nazionale Coltivatori Diretti – «ponendo un freno al dilagare dell’agropirateria a tavola si potrebbero creare ben 300mila posti di lavoro in Italia».

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