Food
Doggy bag? Chiesta solo dal 15% degli italiani ma torna “Rimpiattino”
Di Ilaria Donatio
Secondo il dizionario Usa Merriam Webster l’espressione “doggy bag” – letteralmente “borsa per il cane” – si sarebbe diffusa nel 1957, quando il sacchetto per portare a casa gli avanzi del pasto consumato al ristorante, era già diventato una pratica comune e consolidata.
Fatto sta che, come spesso accade, esistono varie versioni su come sia nata la doggy bag ma luogo e periodo storico convergono in tutte: negli Usa alla fine della II Guerra Mondiale.
Una delle storie più accreditate racconta del ristorante Steak Joint di Dan Stampler: una bisteccheria che, nel 1949, escogitò un modo per accontentare i clienti che chiedevano di portare a casa gli avanzi per il cane. Venne realizzato, così, un sacchetto di carta oleata con una caricatura dello scottish terrier di Stampler, battezzandolo come la busta per il cane: la doggy bag. L’escamotage del nome serviva anche a togliere i clienti dall’imbarazzo di dover chiedere gli avanzi per se stessi.
In Europa, Italia in testa, la doggy bag ha sempre fatto fatica ad affermarsi e anche oggi stenta a decollare: questo, nonostante il Covid abbia sdoganato l’asporto e dunque fatto attrezzare rapidamente i ristoratori, per tutto il periodo in cui mangiare fuori non era ammesso a causa della pandemia.
Consapevolezza o obbligo?
Da qualche giorno esiste anche una proposta di legge, depositata da due deputati di Forza Italia, dal titolo “Obbligatorietà della doggy bag” che ha tre punti salienti: tutti i bar, ristoranti, pizzerie dovranno esporre un cartello con su scritto che, per chi lo richiede, il locale mette a disposizione contenitori riciclabili e riutilizzabili per portare via il cibo avanzato. Il ristoratore, o comunque l’esercente, sarà obbligato a fornire questi contenitori solo se il cliente li chiede. Gli esercizi pubblici che non rispetteranno la regola del cartello, e che non provvederanno a rifornirsi di contenitori, dovranno pagare delle multe da 25 a 125 euro.
Obbligatorietà o meno, è ora di cambiare: mossi sia dalla consapevolezza – che dovrebbe aumentare in tutti – circa il gigantesco problema dello spreco alimentare, sia perché più di una proposta di legge punta a regolamentare questa possibilità. I ristoratori comunque si dicono pronti e possono giocare un ruolo importante per contrastare gli sprechi e promuovere buone prassi.
L’indagine presentata
Questo risulterebbe anche dall’indagine, presentata a Roma lo scorso 24 gennaio da Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi), Confcommercio e Comieco (Consorzio Nazionale Recupero e Riciclo degli Imballaggi a base cellulosica), dal titolo “Spreco alimentare: al ristorante la Doggy Bag si chiama Rimpiattino”, che scatta un’istantenea impietosa: solo il 15,5% degli italiani porta a casa il cibo non consumato durante un pranzo o una cena al ristorante – percentuale che scende addirittura all’11,8% se si considera il vino – ma che la quasi totalità dei ristoratori (91,8%) è attrezzata per consentirlo.
Secondo un ristoratore su due, il basso numero di richieste può essere spiegato da un certo imbarazzo del cliente a richiedere di portare via gli avanzi. Ma anche la scomodità (19,5%) e l’indifferenza (18,3%) sono tra le ragioni alla base della riluttanza dei consumatori ad avanzare la richiesta. Eppure, secondo la stessa indagine, una sensibilità già esiste dato che il 74% degli italiani si dice a favore della possibilità di portare a casa il cibo che non è riuscito a consumare.
Il progetto “Rimpiattino”
Fipe e Comieco hanno rinnovato in questa occasione la collaborazione che nel 2018 lanciò il progetto “Rimpiattino”: nome che venne fuori da un concorso nazionale lanciato da Fipe tra centinaia di ristoratori per rendere in italiano la doggy bag. Un’espressione che riporta alla nostra cultura del “rimpiattare”, ovvero del saper rielaborare gli avanzi del giorno precedente: perché il cibo non si spreca non solo o non tanto per ragioni economiche ma anche per rispetto alla fatica ed al lavoro necessari per portarlo in tavola e di tutti coloro che ogni giorno fanno fatica per procurarselo.
“Rimpiattino”, dunque, «sintetizza perfettamente lo spirito dell’iniziativa per il contrasto dello spreco alimentare al ristorante e l’impegno profuso dai ristoratori su un tema di rilevante importanza», ricorda una nota di Fipe.
Il secondo passaggio è stato creare dei contenitori dal design accattivante così da azzerare l’eventuale imbarazzo di quegli avventori che vogliano riportare il cibo avanzato a casa.
Box di design e App
Per questo sono intervenuti il designer Giulio Iacchetti e l’illustratore Guido Scarabottolo che hanno creato due box di forme diverse per confezionare il cibo avanzato e le bottiglie di vino non terminate: scatole belle e di forte impatto di cui finora sono stati distribuiti 24mila pezzi, in 875 ristoranti in 22 città. Il progetto, infatti, nato nel 2019, è stato frenato bruscamente dalla pandemia ma oggi, Rimpiattino riparte: i ristoratori interessati possono farne richiesta alla Fipe.
Presentata anche la nuova funzionalità dell’app “Sprecometro” che misura lo spreco alimentare al di fuori delle mura domestiche, frutto di una collaborazione tra Fipe e l’Osservatorio Waste Watcher International guidato dal professor Andrea Segrè dell’Università di Bologna.
Gli avanzi da smaltire sono un problema che pesa sulla collettività: buttare il cibo grava sul ciclo dei rifiuti ed ha un costo per il singolo ristorante e per la comunità, dato l’impatto energetico, ambientale ed economico dello smaltimento.