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Confagricoltura: la filiera vale oltre il 20% del Pil e resta strategica

12
Dicembre 2023
Di Giampiero Cinelli

L’Assemblea annuale di Confagricoltura ha confermato una consapevolezza che non bisogna smettere di tenere viva: la politica per l’Italia esige attenzione nei confronti del potenziale nel campo agroalimentare. Il Made in Italy dell’agricoltura ha toccato il valore massimo storico di export pari a 60 miliardi di euro e continua a salire, nonostante le difficoltà innescate dall’inflazione e dal rallentamento dell’economia in Europa e nel Mondo. Le esportazioni sono differenziate su un’ampia lista di prodotti. Nel periodo che va dal 2013 al 2022, la quota italiana sulle esportazioni totali della Ue verso i paesi terzi, ha riferito il Presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti, è passata dal 9,5 all’11,3%. Mentre la Francia è scesa dal 19,2 al 17,2%. E i risultati si vedono anche sul progresso tecnologico: l’industria alimentare è la terza al mondo per robot installati. L’intera filiera agroalimentare, dalle imprese agricole fino alla ristorazione è arrivata ad incidere per il 16% sulla formazione del prodotto interno lordo. «Tenendo anche conto dei mezzi tecnici per la produzione agricola, si sale oltre il 20%», ha spiegato Giansanti, con 1, 4 milioni di posti di lavoro assicurati dalla filiera.

L’agricoltura come valore costituzionale

Il Capo dello Stato Sergio Mattarella ha aperto i lavori dell’Assemblea ponendo l’accento sull’importanza che la carta costituzionale assegna all’ambito agrario. Il Presidente nel suo saluto ha detto: «La rilevanza del ruolo dell’agricoltura e la sua importanza per la ricostruzione dell’Italia e il rafforzamento della risorta democrazia la riscontriamo da una semplice constatazione: la Costituzione della Repubblica Italiana è l’unica del suo tempo a dedicare un articolo espressamente al settore primario e alle condizioni necessarie per promuoverne lo sviluppo. Neppure dalle Costituzioni precedenti era stata riservata analoga attenzione. Scelta politica di grande portata, dunque, quella di introdurre il tema agricolo nella nostra Costituzione, consacrandone il valore essenziale nell’Italia del dopoguerra e per quella del futuro, sul duplice versante della promozione della produzione e della questione sociale. Il testo dell’art. 44 è eloquente: “Al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, fissa limiti alla sua estensione secondo le regioni e le zone agrarie, promuove e impone la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo e la ricostituzione delle unità produttive; aiuta la piccola e la media proprietà”».

La visione di Lollobrigida

Le potenzialità ci sono ma il contesto generale non è mai neutro e va visto in modo strategico. Ecco perché il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida ha rimarcato: «Lavoriamo in Italia per aumentare i fondi per l’agricoltura, come abbiamo già fatto, ma lo facciamo anche in sede europea. Ieri a Bruxelles abbiamo ribadito la centralità del settore primario e la necessità di pianificare strategie che mettano in condizione di valorizzare le produzioni e di non rinunciare alle produzioni. Una scelta che l’Europa in maniera forse non particolarmente corretta in passato aveva sottovalutato, avendo certezza di approvvigionamenti. Questo ha portato al confronto sulla sovranità alimentare come elemento centrale delle future strategie. Ma la scelta di tornare alla terra per i giovani non può essere dettata solo dalla passione ma anche dalla redditività di questa attività, e quindi abbiamo chiesto sostegno maggiore alla Pac e una previsione chiara di quelli che dovranno essere i nuovi ingressi in Europa». Per essere più chiari, nell’intervento il ministro ha fatto dunque riferimento al nuovo programma della Politica Agraria Comune, che nella sua concezione prevede anche una ripartizione degli ambiti di coltivazione, questo un meccanismo coordinante che non sempre giova agli interessi nazionali.

Le considerazioni di Giansanti sulla competitività globale

Il Presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti ha riflettuto sulle fasi di crisi (prima la pandemia, poi l’inflazione, i costi energetici e le guerre) che stiamo attraversando anche alla conclusione del 2023: «In queste condizioni, la contrapposizione sta prevalendo sulla collaborazione tra gli Stati e le tensioni geopolitiche sono crescenti tra democrazie, autocrazie e Sud globale. Il Mondo ha sempre superato le catastrofi. Sarà così anche stavolta. Ma quando le molteplici crisi in atto saranno finalmente alle spalle, ci troveremo ad operare in un contesto nuovo e più sfidante sotto il profilo economico. In ambito agricolo, il Brasile punta a consolidare il ruolo primario nella produzione di proteine vegetali. Le esportazioni di grano russo già incidono per oltre il 20% sul totale globale. La Cina ha stoccato oltre il 50% delle giacenze mondiali grano, mais ed orzo. Nei giorni scorsi, l’Arabia Saudita ha annunciato un solido programma di investimenti per la produzione di olio d’oliva. Se i costi energetici delle imprese tedesche sono inferiori ai nostri grazie agli incentivi pubblici, la libera concorrenza risulta falsata. In questo modo, si mette a rischio il funzionamento del mercato unico».

Ampliamento e integrazione, ma senza fretta

Quindi Giansanti ha osservato: «Sul piano istituzionale, in vista del nuovo allargamento (dell’Ue, ndr), sono state già avanzate alcune ipotesi, tra le quali l’Unione a più velocità. Serve, in primo luogo, una modifica delle regole di funzionamento, a partire dalla definita affermazione del voto a maggioranza. Da parte nostra, siamo favorevoli, in via di principio, ad una Unione sempre più stretta tra un numero limitato di Stati membri, con una maggiore cessione di sovranità in linea con quanto stabilito all’articolo 11 della Costituzione».

Una seconda linea di incentivi

Di conseguenza si arriva alle proposte sulla politica agricola comune e sugli incentivi: «Nella prospettiva dell’allargamento dell’Unione, occorre ripensare in profondità anche la politica agricola comune, che dovrà essere estesa ai nuovi Stati membri a conclusione di un adeguato periodo transitorio. Vanno differenziati gli interventi tra imprese che producono per il mercato e strutture che svolgono un ruolo di presidio del territorio. Un ruolo importante che va supportato e valorizzato con fondi distinti da quelli assegnati dalla UE all’agricoltura».

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