Fill the gap
Se la crisi climatica influisce sul gender gap
Di Ilaria Donatio
Una donna cammina tra le rovine del suo villaggio in Bangladesh, distrutto dopo il passaggio del ciclone: è l’immagine simbolo, scelta da Oxfam – organizzazione umanitaria attiva in tutto il mondo – per rappresentare la crisi umanitaria provocata dal cambiamento climatico. Lo aveva riportato a dicembre l’UNPFA – l’agenzia delle Nazioni Unite per la salute riproduttiva e materna – poco prima dell’inizio della Conferenza sul clima delle Nazioni Unite, la COP28: la crisi climatica minaccia l’uguaglianza di genere nei paesi più vulnerabili al riscaldamento globale.
Secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite, “la crisi climatica sta peggiorando il mondo delle donne e delle ragazze, con l’aumento delle temperature che mette a rischio la salute materna, le inondazioni che mettono a repentaglio l’accesso ai servizi e disastri che aumentano il rischio di violenza di genere”.
Tra i 14 paesi più vulnerabili agli sconvolgimenti climatici, ci sono Somalia, Sud Sudan, Yemen, Afghanistan, Ciad, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Niger, Mozambico, Siria, Mali, Etiopia, Nigeria e Iraq. Non a caso, sono gli stessi paesi ad avere tra i più alti tassi di mortalità materna e, al contempo, di natalità tra le adolescenti, a soffrire i peggiori tassi di matrimoni precoci e di violenza da parte del partner. Infine, sono Stati che attraversano da tempo una crisi umanitaria che esploderà nel corso di quest’anno e che richiedono, dunque, di essere assistiti.
Nel mese di dicembre l’UNFPA aveva raccomandato alla COP28 di finanziare quei sistemi sanitari che fossero “resilienti al clima” e che rispondessero ai “bisogni delle donne e delle ragazze”, includendo entrambe nei processi decisionali per le soluzioni di mitigazione del clima.
Operazione quest’ultima che non sembra facilissima, neanche in prospettiva, visto che – anche se è ormai evidente che le donne e le ragazze sono particolarmente colpite dalla crisi climatica – su 133 leader mondiali che hanno partecipano alla COP28 solo 15 erano donne, in lieve miglioramento rispetto al 2022, ma con dati ancora scoraggianti.
Tuttavia, gli accordi presi nell’ambito dei negoziati sul clima, non sono ancora in linea con l’urgenza della crisi climatica e con la portata degli sforzi necessari per affrontarla. Ci vuole infatti una forte volontà politica capace di riconoscere che la lotta al cambiamento climatico e quella alle disuguaglianze vanno nella stessa direzione.
E il dato storico della partecipazione femminile alla leadership mondiale che siede al tavolo sul clima, è anche via via peggiorato. Care International UK riporta infatti che “solo il 37% dei delegati nazionali alla COP27, nel 2022, erano donne, una percentuale inferiore a quella del 2021. La rappresentanza delle donne era ancora più bassa tra i negoziatori e le negoziatrici più esperte”.
Questa situazione non permette alle donne e alle ragazze di essere ascoltate e di poter partecipare a processi decisionali che le riguardano da vicino, non consente di affrontare la crisi climatica in modo efficace ed esacerba anche la disuguaglianza di genere.
Si pensi, per fare solo alcuni esempi, al ruolo fondamentale che hanno acqua potabile e servizi igienici, tra i diritti umani essenziali. La scarsità d’acqua e le interruzioni di approvvigionamento colpiscono soprattutto le donne che percorrono lunghe distanze o aspettano ore in fila per raccogliere le provviste. Questo fatto fa sì che rinuncino ad altre attività essenziali come l’istruzione e il tempo libero o per guadagnarsi da vivere: una scelta forzata che non fa che approfondire i tanti divari di genere, ancora oggi esistenti.
Ancora. Le donne sono molto spesso incaricate del lavoro di cura: con l’aumento delle temperature o in caso di disastri, una maggiore diffusione delle malattie significa anche più lavoro per loro e più rischi di ammalarsi. E nel prendersi cura degli altri, dei bambini e degli anziani nelle loro famiglie, mettono la vita degli altri davanti alla propria e sono vittime in numero superiore in caso di disastri naturali.
Intanto, da questa parte del mondo, al Parlamento Europeo la FEMM – Commissione per i Diritti della donna e l’uguaglianza di genere – spesso ricorda nei propri documenti come l’uguaglianza di genere sia un “catalizzatore per lo sviluppo sostenibile”. Per questa ragione, le donne dovrebbero essere incluse nella creazione di politiche su questi temi. Le donne non sono solo “vittime, spesso lavorano la terra, si occupano di acqua e energia”. Se viene data loro l’opportunità e il potere saranno degli agenti del cambiamento e guideranno le strategie di adattamento all’interno dello proprie comunità.