Fill the gap

Pensiamo ai figli troppo tardi. Intervista con Luca Mencaglia

15
Dicembre 2023
Di Gaia De Scalzi

Caro Babbo Natale, quest’anno sotto l’albero vorrei trovare 400 mila neonati, quelli che oramai da troppo tempo lasciano le culle degli ospedali vuote e di cui si fa un gran parlare.

«Se solo fosse così facile. Il problema è che oggigiorno le coppie ragionano così. Pensano che un figlio arrivi nel momento in cui decidono di averlo ma è un dono che, appunto, non si trova sempre sotto l’abete nonostante la richiesta». 

A rispondere è Luca Mencaglia, Medico Chirurgo – Spec. in Ginecologia e Ostetricia, Direttore della Rete Regionale della Toscana per la cura dell’infertilità e Presidente della Fondazione Procreazione Medicalmente Assistita Italia.

«Negli ultimi anni abbiamo registrato un incremento esponenziale dell’età nella quale la donna decide di cercare la gravidanza, passando da 22 anni – cinquant’anni fa – a oltre 32. E questa è una media, perché il dato allarmante è che le coppie iniziano a pensare a un figlio intorno ai 35-38 anni. Ed è troppo tardi. Mi spiego meglio: se ci rendiamo conto di essere di fronte a una paziente con problemi a 22 o 28 anni, ad esempio per via di un’endometriosi, abbiamo un tempo di reazione medica accettabile, mentre a 38 anni quest’ultimo diminuisce sensibilmente. E qui arriviamo alla cosiddetta trappola demografica. Se da un lato diminuiscono le nascite, con appena 370 mila nati ogni anno nel nostro Paese, dall’altro lato si registrano nello stesso lasso di tempo 700 mila decessi. Insomma, il saldo è completamente sballato perché ci troviamo di fronte a una riduzione esponenziale delle persone in età fertile, donne soprattutto».

Lei, come è facile immaginare, con le sue pazienti instaura un dialogo. In base alla sua esperienza, perché si tende a procrastinare la pianificazione di un figlio? 
«Assolutamente, il dialogo è alla base del nostro mestiere. Il motivo principale è che oggi come oggi la donna giovane ha altro per la testa. A una ragazza di 25 anni non sfiora minimamente l’idea della gravidanza. Prima vuole sistemarsi con il lavoro, con la casa, cerca stabilità nella coppia e, solo dopo, pensa a un figlio. Ma quando hai compiuto 30 anni il numero di ovociti si riduce di oltre il 90%. Non amo generalizzare, sia chiaro, né faccio a queste donne una colpa, ci mancherebbe. Sono scelte lecite e legittime ma visito quotidianamente pazienti quarantenni in perfetta forma, che mangiano sano, non fumano, non bevono. Tuttavia la loro riserva ovarica non è più adeguata e non se ne capacitano».

Posso dirle che, essendoci passata anche io, rimasi un po’ di sasso quando me lo dissero la prima volta?
«C’è una disinformazione pazzesca. Nessuno spiega alle ragazze che dopo i 35 anni la capacità riproduttiva femminile si riduce drasticamente. Lo dico sempre alle mie pazienti: arrivate a una certa età dovreste smettere di pensare al famoso corredo matrimoniale e mettere da parte gli ovociti, perché sebbene oggi non abbiate un partner, tra qualche anno potreste incontrarlo. Altrimenti il rischio di dover ricorrere all’eterologa è molto alto. Ed è ciò che avviene nel 30% delle coppie».

Ma qual è il momento migliore per mettere su famiglia?
«Per l’uomo quasi sempre, per la donna – ahimè – dai 25 ai 30 anni, massimo 35. Guardi, le dico una cosa che la sorprenderà: il calo riproduttivo inizia dalla nascita. Quando una neonata viene al mondo perde il 20% dei suoi ovociti. Nasci con circa 4 milioni di ovociti e quando arrivi a 38 anni facciamo fatica a tirarne fuori più di due; se siamo bravi arriviamo a 3».

Dal 1° gennaio 2024 entreranno in vigore i nuovi LEA, che sanciscono l’ingresso della procreazione medicalmente assistita nel Servizio Sanitario Nazionale. Questa novità può rappresentare un punto di svolta in termini demografici per il Paese?
«Beh, diciamo che da un punto di vista demografico potrebbe rappresentare un punto di svolta perché dà a tutte le donne la possibilità di avvicinarsi a un percorso per molte accessibile solo a pagamento. Infatti, in alcune regioni il sistema pubblico offre pochissime chance. Basti pensare che nel Lazio, nel 2022, sono state erogate oltre 5 mila prestazioni di PMA, di cui 811 nel pubblico e le restanti nel privato. Questo vuol dire che il 90% delle coppie ha pagato di tasca propria. E non è giusto».

Quindi troppe richieste che il SSN non riusciva a soddisfare?
«Esatto. Finora solo Lombardia e Toscana sono state in grado di offrire queste prestazioni ai cittadini di altre regioni. Dal 2024 ogni donna potrà chiedere al pubblico di accedere alla PMA, che entro 120 giorni dovrà effettuare la presa in carico. Diversamente sarà possibile rivolgersi, senza autorizzazione, a un altro centro fuori Regione o, in alternativa, a un centro privato per poi chiedere il rimborso alla Regione di competenza».

Ok, diciamo che questa misura potrebbe rappresentare una delle soluzioni al contrasto del calo demografico ma, dal suo punto di vista, cos’altro potrebbe essere utile?
«Ribadisco: sarebbe fondamentale avviare una campagna di informazione perché, ad oggi, i giovani non sono realmente consapevoli della propria capacità riproduttiva. Questo al netto dei sostegni alla genitorialità, sui quali questo Governo deve investire come gli asili nido o i congedi parentali. E poi, come dicevo all’inizio, sarebbe utile offrire alle giovani donne la possibilità di effettuare gratuitamente il prelievo ovocitario. Si potrebbe copiare il modello che è stato adottato da noi in Toscana, estremamente virtuoso».

Ossia?
«Se una donna decide di mettere da parte i propri ovociti, può farlo gratuitamente se acconsente a donarne un terzo».

Che dire, avanguardisti…
«No, pragmatici semmai. Le dico di più; si potrebbe anche ipotizzare di mettere una scadenza. Il prelievo ovocitario te lo faccio passare tramite SSN ma se tra dieci anni, per un motivo o per l’altro, gli ovociti in giacenza non vengono utilizzati dalla paziente – previa autorizzazione – automaticamente vengono donati alla Regione per aiutare altre coppie. Anche se prima bisognerebbe creare una banca ad hoc che ad ora nel nostro Paese manca…»

Ma questa è un’altra storia.

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