Fill the gap
Hai spiattellato tutto alla stampa e adesso ti tolgo il bambino
Di Gaia De Scalzi
Può riassumersi così la storia di Luca (nome di fantasia), un bimbo di 4 anni affidato a una coppia di Varese ad appena un mese di vita perché i suoi genitori biologici non erano in grado di badare a lui. Nella sua nuova casa Luca sarebbe dovuto restarci massimo 24 mesi; si chiama “affido ponte” ossia un’adozione temporanea. Invece, per una serie di lungaggini e dimenticanze, il bimbo cresce con i suoi nuovi genitori, quelli che per lui sono mamma e papà.
Nel 2023 – 3 anni dopo l’affidamento – la coppia deposita personalmente un’ “istanza di adozione nazionale mirata”, giacché il decreto di adottabilità del bambino, propostogli precedentemente dal Tribunale per i Minorenni di Milano, non era ancora stato emesso. Ma finalmente a dicembre 2024 gli assistenti sociali di Como mandano un’ e-mail agli affidatari in cui comunicano che Luca è diventato “adottabile”. Una buona notizia direte voi. Sì, se non fosse che il 31 gennaio dell’anno successivo (cioè nemmeno due mesi dopo), sempre gli stessi servizi sociali di Como stabiliscono che ad adottare (quindi in via definitiva) il bambino sarà un’altra coppia. Tutto è oramai pronto per il trasferimento previsto per il 3 febbraio; del 2025. Avete capito bene, tre giorni dopo la convocazione Luca viene affidato come un pacco ad un’altra famiglia.
Nessun calendario di incontri per l’avvicinamento graduale, nessun affiancamento piscologico, nessun progetto. Niente di tutto quello che è previsto in questi casi è stato fatto. Addirittura la cosa viene comunicata al piccolo Luca da un’assistente sociale, senza la presenza della sua – oramai – mamma.
Immaginatevi la scena. Un bambino di 4 anni, chiuso in una stanza qualunque con uno sconosciuto che gli dice: da domani vai “in un’altra casa più bella, rossa e gialla con tanti giochi”.
Luca piange, si dispera, ricomincia a farsi la pipì addosso, smette di mangiare. Esce dall’unica casa che per lui ha un significato dicendo ai suoi genitori: “Non porto tutti i giochi, tanto stasera torno”. Ma i suoi genitori da quel momento non li ha più rivisti, perché gli sono stati persino negati gli incontri per tutelare la “continuità affettiva”. Un diniego motivato dal tribunale per l’eccessiva “esposizione mediatica” che la coppia che ha cresciuto Luca ha generato per essersi rivolta al Tribunale per i Minorenni con un ricorso per “adozione in casi particolari”, rigettato poi il 7 aprile scorso.
Una storia definita dalla deputata leghista Simonetta Matone, durante un’interrogazione parlamentare di qualche giorno fa, “di una gravità inaudita”.
Aggiungendo che “da un punto di vista tecnico-giuridico ciò che il Tribunale per i Minorenni sostiene è errato, è falso, è menzognero e mi assumo la responsabilità di quello che dico, perché l’errore è stato fatto da loro”.
Infatti, l’errore sarebbe stato commesso a monte dalle autorità che affidarono a suo tempo il bambino a una coppia che non rispettava i limiti di età per l’adozione. Limiti che possono tuttavia essere derogabili, come in questo caso specifico.
Relativamente al passaggio contenuto negli atti in cui si punta il dito contro la scelta della coppia di “mediatizzare la vicenda”, Matone commenta duramente: “Scegli la strada di farlo sapere e allora paghi. (…) Questo non è un Paese democratico, è un Paese che deve mettere mano alla legislazione, deve dare voce alle famiglie affidatarie. (…) Lo Stato ha ucciso per questo bambino i genitori”.
Adesso la palla passa al Ministro per la Giustizia, Carlo Nordio, che si è detto pronto ad approfondire per garantire maggiore tutela ai minori.
Intanto Luca, a soli 4 anni, ha già dovuto fare i conti con la malagiustizia.
