Secondo gli addetti ai lavori il tasso di inclusione delle donne nel mondo del lavoro sta migliorando, ma non abbastanza. In uno studio condotto da Reverse, società internazionale di Head Hunting e HR, il 67% degli intervistati (50 Head Hunter attivi tra Italia e Germania e 10 HR in Italia) ha dichiarato che oggi c’è una maggiore sensibilità al tema, ma il 50% di loro ha ammesso di aver ricevuto richieste informali di esclusione di candidate di genere femminile.
Indipendentemente dal settore di appartenenza dell’azienda, al 75% degli Head Hunter è successo di percepire una netta preferenza per candidati uomini da parte delle aziende, anche se non apertamente dichiarata. Questo perché ad oggi la gestione della casa e dei figli è ancora prevalentemente affidata alle donne che si trovano molto spesso a dover chiedere permessi extra e giorni di ferie per poter far fronte alle esigenze famigliari, questo in misura maggiore rispetto agli uomini. Le madri risultano così un investimento “rischioso” soprattutto per le piccole e medie imprese a conduzione famigliare.
Altro tema correlato è il Gender Pay Gap: in famiglia si sceglie tendenzialmente di sacrificare ore, giorni e a volte addirittura la carriera lavorativa di chi ha lo stipendio minore, che solitamente è quello della donna.
Serve dunque maggiore predisposizione da parte dei datori di lavoro verso le esigenze delle famiglie e delle donne lavoratrici, un elemento culturale che come detto all’inizio, seppure con difficoltà, è percepito emergente da chi si occupa di reclutamento e gestione delle risorse umane.
«Soprattutto in un mondo sempre più attento a diversity e inclusion, come imprenditori siamo consapevoli dell’arricchimento che una maggiore diversificazione delle risorse può portare in termini di produttività e raggiungimento degli obiettivi. Il business, oggi più che mai, ha bisogno di sfruttare tutte le risorse disponibili: escludere un’ampia fascia di donne dal proprio assetto aziendale significa privarsi di un’estesa fonte di ricchezza. Il tema è ampio e le sfaccettature molteplici, ma un focus sulle agevolazioni messe a disposizione dei genitori (entrambi i genitori) per tutto il ciclo di vita dei figli potrebbe essere un aiuto all’impresa più cospicuo rispetto a sgravi fiscali o molte altre iniziative», ha osservato Alessandro Raguseo, fondatore e Ceo di Reverse.
Come permettere una maggiore integrazione tra queste due realtà – imprese e genitori lavoratori – che sembrano oggi ancora molto distanti? Secondo l’esperienza interna e professionale di Reverse bisogna sicuramente lavorare a costruire un ambiente lavorativo sano e di piena collaborazione, pensare a un sistema di uscita e reintegro dalla maternità con una ristrutturazione dei team a copertura del passaggio, con meeting ad hoc sull’operatività e costanti update, prevedendo un percorso di reinserimento graduale.
Chiaramente poi c’è la politica, il cui intervento è fondamentale per favorire certi processi. La legge di bilancio, il cui testo è stato bollinato ed è atteso in Parlamento per la discussione (con gli emendamenti dell’opposizione, in assenza di quelli della maggioranza) dovrebbe confermare l’innalzamento a 150 milioni per il bonus asilo e un miliardo di investimenti per il supporto alle famiglie. Inoltre, ci si aspetta una nuova forma di decontribuzione lavorativa per le madri con più figli, ossia uno sgravio fino al 130% per le imprese che assumono madri. Il governo vorrebbe inoltre aggiungere un mese di congedo parentale con retribuzione pari al 60% dello stipendio. Ciò significa che dal 2024 ci potrebbero essere in sostanza 5 mesi di congedo retribuiti al 100%, un altro mese retribuito all’80%, utilizzabile da entrambi i genitori entro i 6 anni del figlio, più un ulteriore mese retribuito al 60%.