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Donne e politica: di questo passo, la parità sarà nel 2063

19
Gennaio 2024
Di Ilaria Donatio

Secondo i dati Council on Foreign Relations al mondo solo 13 stati sono a guida femminile. E solo in 13 Paesi c’è almeno un numero pari tra ministri uomini e donne. Ma in ben 75 nazioni le ministre sono meno del 20%: queste poche ministre si occupano, per la maggior parte di parità di genere, famiglia e infanzia, inclusione e protezione sociale, sviluppo e minoranze.

Spostando lo sguardo sulla composizione dei Parlamenti nazionali, le percentuali non cambiano di molto. Il 26,5% dei seggi sono occupati da donne: 23 Paesi hanno superato almeno la soglia del 40% – tra cui 13 stati europei – e in 22, le donne sono meno del 10% di chi siede in Parlamento. 

Si calcola che, continuando di questo passo nel mondo, la parità nei luoghi decisionali a livello nazionale non verrà raggiunta prima del 2063.

Eppure, sempre più segnali indicherebbero che le nazioni a guida femminile “stanno meglio”: i dati mostrano come la presenza delle donne in politica migliori i processi decisionali. Secondo i dati riportati da UN Women – Ente delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere e l’empowerment femminile – nei Paesi dove sono state adottate legislazioni che prevedono regole per il bilanciamento delle candidature, la rappresentanza femminile è salita di 7 punti percentuali rispetto a quelle nazioni che non hanno introdotto nessuna riforma in questo senso. 

Ma l’inserimento di regole formali a presidio della parità di genere rappresenta solo una (buona) partenza perché tutte le pratiche di selezione informale che esistono all’interno dei partiti suggeriscono che le regole possono non bastare. La parola chiave, dunque, è politiche pubbliche.

Lo spiega benissimo nel suo ultimo libro Paola Profeta – Parità di genere e politiche pubbliche – professoressa di Scienza delle finanze in Bocconi, con una lunga militanza negli studi di economia di genere:

“La politica pubblica”, scrive, “è lo strumento che accelera il progresso verso la parità di genere. Comprende l’assistenza all’infanzia, i congedi di maternità, paternità e parentali, le politiche fiscali, le quote di genere, gli interventi sul mercato del lavoro, specifiche regole del sistema pensionistico e l’organizzazione del lavoro flessibile”. 

C’è però anche un aspetto «politico» della relazione tra uguaglianza di genere e politiche pubbliche: in quanto agenti economici, le donne stesse possono avere un impatto sulle politiche pubbliche. Come?

Profeta fa un esempio significativo che ha studiato: è stato osservato che in alcuni Comuni che si ritrovano a essere guidati da sindache, alcune categorie di spesa, come quella per i servizi all’infanzia, sono maggiori rispetto a comuni guidati da sindaci. Questa maggiore spesa per l’infanzia delle sindache a sua volta fornisce un contributo alla riduzione delle disparità di genere. 

Ecco, seguendo questo ragionamento, possiamo aspettarci che il cambiamento del ruolo delle donne nelle famiglie e nelle società e la loro maggiore rappresentanza nelle posizioni decisionali contribuisca a riorientare l’agenda politica verso aspetti che rispondano meglio ai bisogni delle donne che hanno un effetto positivo, a cascata su tutto il resto, con l’obiettivo finale di ridurre le differenze di genere. Oltre a un effetto sostanzionale: le donne possono ampliare la diversità di punti di vista, esperienze, interessi e competenze, arricchendo così il dibattito politico e influenzando la direzione delle politiche pubbliche.

Eppure, secondo l’Harvard Business Review, alle donne viene finalmente data la possibilità di mettersi alla prova in una posizione di alto livello quando – e soltanto quando –  le possibilità di fallimento sono alte, in pratica, viene loro consegnato qualcosa che è già, almeno in parte, rotto.

Pensiamo alle nomine di Ursula Von Der Leyen come presidente della Commissione europea, proprio nella fase di maggior successo dei partiti euroscettici o quando arriva ai vertici dell’Organizzazione mondiale per il commercio (Wto) Ngozi Okonjo-Iweala, ex ministra delle Finanze della Nigeria e già numero due della Banca Mondiale – la prima donna e la prima africana a ricoprire la carica di direttore generale dell’Organizzazione – quando l’OMC ha già perso la maggior parte della sua legittimità: sono due esempi internazionali. 

Ma pensiamo a casa nostra, in Italia, due donne sono a capo del governo e dell’opposizione: non era mai successo prima e non è un caso sia accaduto dopo una pandemia mondiale e uno sconvolgimento di tutti gli equilibri, economici e sociali.

Ecco, si è atteso già troppo la creazione di condizioni economiche, politiche, sociali, culturali favorevoli a innescare un circolo virtuoso di parità di genere, leadership femminile e crescita economica sostenibile. Ora tutto questo non è più rimandabile.

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