Fill the gap

Bilancio di genere: lo strumento per colmare i gap esistenti

01
Febbraio 2024
Di Ilaria Donatio

Il Bilancio di Genere è uno strumento di analisi e valutazione delle politiche pubbliche rispetto al diverso impatto che queste hanno sulle donne e sugli uomini. È fondamentale perché si parte dal presupposto che donne e uomini siano diversi per esperienza di vita, condizione economica e sociale, e che quindi non esistano politiche “neutre” rispetto al loro impatto. 

In Italia si sperimenta da circa 20 anni: è del 1996 la prima comunicazione della Commissione Europea per integrare la “parità di opportunità tra le donne e gli uomini nel complesso delle politiche e azioni comunitarie”.

Le province di Genova, Modena e Siena furono le prime a sperimentare, tra il 2001 e il 2003, la redazione di questo documento; mentre oggi si contano circa 200 Comuni, oltre a Università ed Enti di ricerca. Dal 2016 si è aggiunto anche lo Stato: con una modifica alla legge di contabilità e finanza pubblica del 2009, la redazione di questo documento è diventata obbligatoria in sede di rendiconto, a conclusione dell’esercizio.

Il Decreto Legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 (Decreto Brunetta) inserisce infatti il Bilancio di Genere tra gli strumenti per migliorare le performance delle amministrazioni pubbliche che lo dovrebbero inviare al Ministero entro il 30 giugno di ogni anno. Il Decreto, ad oggi, è rimasto però in gran parte inapplicato su questo punto, dal momento che non prevede alcuna sanzione per le amministrazioni per il mancato rispetto di tale previsione.

Il punto è che «il bilancio di genere non è solo il prodotto», spiega Giovanna Badalassi, cofondatrice di Ladynomics, da anni è incaricata, a livello locale ed europeo, della redazione di questi documenti, «ma anche il processo: per ogni fase del ciclo del budget (pianificazione, programmazione, implementazione, monitoraggio e rendiconto) ci sono strumenti specifici per condurre un’analisi di genere».

Per costruire un bilancio di genere bisogna fare, innanzitutto, un quadro della situazione: un’analisi di contesto per cui è importante avere a disposizione un set di dati, alcuni dei quali disaggregati per genere. Poi, si procede con una valutazione delle intenzioni dell’amministrazione, per capire se sta imboccando la strada giusta nel riequilibrio dei divari. Un ulteriore step importante è la riclassificazione di bilancio, per capire quali spese sono “neutrali al genere”, e dunque non hanno un impatto, diretto o indiretto, sui gap e quali sì. Successivamente, è possibile finalmente valutare come vengono utilizzate queste risorse. Ed è in questa prospettiva che l’utilizzo del bilancio di genere permette di distribuire le risorse in modo più equilibrato

Finora, al contrario, nel nostro Paese il bilancio di genere viene presentato solo in sede di rendiconto, ma tra le riforme previste dal Pnrr c’è anche la riclassificazione delle spese del bilancio preventivo dello Stato. La nuova formulazione, secondo quanto evidenzia la Ragioneria generale, entrerà a regime con la prossima legge di bilancio, e introdurrà la logica di genere anche nella fase iniziale di pianificazione e programmazione delle entrate e delle spese statali. 

Se utilizzato, il Bilancio di genere ha delle potenzialità davvero trasformative per la nostra economia e la nostra società. Ragionare dell’impatto sulle donne e sugli uomini di tutte le politiche, anche quelle apparentemente neutre, come ad esempio le attività produttive, la mobilità o l’ambiente, significa promuovere un cambiamento di sistema e affrontare le disuguaglianze, le differenze e le discriminazioni in modo strutturale. Per questo motivo, ci sono forti resistenze al cambiamento che ostacolano un utilizzo politico del Bilancio di Genere.

All’estero il Bilancio ha iniziato ad essere sperimentato fin dagli Anni ’80. Ci sono numerose esperienze di ogni tipo, il Fondo Monetario Internazionale nel 2015 ha censito 82 paesi nel mondo che lo hanno adottato, tra questi circa la metà sono dell’OECD. L’Unione europea, attraverso l’EIGE, l’Istituto per la parità di genere, è molto attiva su questo tema, mentre un punto di riferimento storico è l’esperienza inglese del Women’s Budget Group.

È importante ricordare che le donne in Italia hanno una partecipazione politica molto bassa: alle ultime elezioni europee hanno votato solo la metà delle donne aventi diritto, mentre 11,7 milioni di donne over 14 non parlano mai di politica, contro 6,9 milioni di uomini (dati Istat). C’è quindi ancora molto da lavorare per migliorare la nostra democrazia attraverso una maggiore cittadinanza attiva delle donne, nell’interesse loro e di tutto il Paese.

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