Relazioni internazionali messe a nudo, aggiornamenti in diretta sull’evoluzione degli eventi, propaganda, frasi con pathos cinematografico, rivoluzione narrativa. Quello che sta accadendo sulle pagine social di Zelensky sarà studiato nei prossimi anni nei manuali di comunicazione come momento di rottura tra passato e presente, almeno per tutto ciò che riguarda la comunicazione in tempo di guerra.
La guerra nell’era della disintermediazione
Non è una novità che in ore tragiche un leader cerchi di instaurare un rapporto diretto con il pubblico per infondere coraggio, ricercare consenso, chiedere sostegno, suscitare timore nei nemici. La storia è ricca di esempi – celebre il discorso pronunciato alla radio da Giorgio VI nel 1939 in occasione dell’entrata in guerra del Regno Unito contro la Germania – mai però si era arrivati a un livello di disintermediazione simile tra il fruscio delle pallottole. Lo sappiamo, i social network prima non c’erano. La tragedia Ucraina è un fenomeno pop, un drammatico racconto dell’iperpresente. La narrazione social del commander in chief ucraino segue l’andamento degli eventi, delle relazioni diplomatiche, adatta la tragedia dell’invasione alle regole delle piattaforme, ai suoi linguaggi, ai suoi tempi, allo stile richiesto. La politica ha imparato ormai da tempo a raggirare la mediazione dei vecchi media e raggiungere per conto proprio il target desiderato. L’embrione fu la prima campagna di Obama, il primo politico a incidere i suoi messaggi di propaganda nel silicio. Da quel giorno, Four more Years, ci siamo abituati e rassegnati a seguire i leader dalle loro piattaforme. Lo abbiamo fatto durante le campagne elettorali, durante il loro quotidiano, in ore concitate, mai durante uno stato d’assedio che mettesse a rischio la stessa incolumità fisica del leader. Zelensky è l’anno zero della comunicazione social in tempo di guerra, non avevamo mai visto nulla del genere. Un profluvio di like. I suoi canali sono in costante crescita: su Instagram conta 15 milioni di follower, Facebook oltre 2 milioni, Twitter 5 milioni, cresce anche il suo canale Telegram. Lo staff di Zelensky è riuscito in brevissimo tempo a trasformare la tragedia ucraina in fenomeno socialpop, raccogliendo a suon di apprezzamenti e follower consensi tra la comunità internazionale. #Stoprussia l’hashtag di guerra. Zelensky è guerrigliero influencer, il primo della storia a condurre una guerra da un profilo social.
Dagli arcana imperii al reality delle cancellerie
Le relazioni tra stati si sono sempre mosse nel segreto degli arcana imperii, lasciando agli storici l’onere di ricostruire e dimostrare il dettaglio di una trattativa. La guerra in Ucraina è almeno nella sua evidenza un’eccezione, è il reality delle cancellerie. Dal suo account Twitter il presidente Zelensky riporta i rapporti che intercorrono con altri leader e paesi: telefonate, messaggi di solidarietà, invio di armamenti, adozione di sanzioni contro la Russia. Una rivoluzione nell’ambito delle relazioni internazionali da sempre – e specialmente nelle ore più buie – nascoste dietro la fitta nebbia della diplomazia. I tweet scorrono a decine, sono in ucraino quando vogliono aggiornare il suo popolo, in inglese quando si rivolge al resto del mondo per ringraziare o chiedere supporto. Seguono in tempo reale l’interlocuzione con i leader amici, anticipando spesso l’ufficialità della controparte. Lo spoiler è dietro l’angolo, come accaduto dopo la conversazione con Mario Draghi quando assicurava l’esclusione delle banche russe dai pagamenti SWIFT. Uno stile anche questo al quale forse ci dovremmo abituare.
La rivoluzione dello stile
Lo stile di Zelensky è cinematografico, frasi asciutte ad affetto che sembrano ricalcare il cinema d’azione USA: «La battaglia è qui, mi servono munizioni, non un passaggio» ha risposto agli americani che lo invitavano ad evacuare Kiev; «La prossima volta cercherò di spostare il programma di guerra per parlare con #MarioDraghi in un momento specifico», replica al Presidente del Consiglio italiano [ndr. con hashtag perché non possiede un profilo social] che dice di non essere riuscito a parlare con lui. Quando solenni, parole pronunciate dal podio diffuse in forma video sulla pagina Instagram, HD e controcampi, sottotitoli in inglese quando serve. Altrimenti video spartani, girati con la fotocamera interna del telefono quando vuole sottolineare la presenza sul campo. Quella di Zelensky non è solo una rivoluzione dei content in tempo di guerra, ma è anche una rivoluzione d’immagine. Sono bandite le alte uniformi, abiti sartoriali e cravatte. Il leader ucraino indossa sempre una t-shirt verde militare dall’eco zuckerbegheriano, pantaloni con tasconi e scarponi tattici. Un must ripetuto anche dalla delegazione ucraina seduta al tavolo delle trattative in Bielorussia. La volontà è quella di creare una rottura d’immagine nel confronto con l’establishment russo, impomatato e ben vestito. Il messaggio cardine è siamo qui per resistere, siamo sul campo, siamo vicini a chi combatte contro l’invasione. Una frattura netta tra gli stili comunicativi dei due leader. Quella di Vladimir Putin è una comunicazione ieratica, algida, marziale, votata a creare distanza e divisione. È un leader in guerra che vuole trasmettere sicurezza, timore, forza. Ricalca un assetto strategico e l’idealtipo dell’imperatore che si muove nel pathos di una gloria imperiale e millenaria. Lo abbiamo visto soprattutto nelle fasi iniziali del conflitto dietro ad un lungo tavolo, metro che misura distanza da tutto, compreso il tempo in cui vive. Zelensky è il suo perfetto contraltare. Leader in difesa che ricerca di sostegno, un canale diretto con il mondo presente e con il suo pubblico. Suscitare emozioni. Quello era il suo lavoro e in parte continua ad esserlo, con in mano un altro copione.