Esteri
Usa 2024: repubblicani, tanti rivali per Donald Trump, più sono meglio è per lui
Di Giampiero Gramaglia
Si affolla la corsa alla nomination repubblicana alla Casa Bianca: i candidati sono ormai una decina, ma altri ne arriveranno. Ce n’è per tutti i gusti: trovi un ex presidente, un ex vice, due governatori, quattro ex governatori, un senatore, un ex ambasciatore all’Onu, due imprenditori, un nero, una sola donna finora.
Si allarga il campo dei contendenti; e si allunga la lista dei guai giudiziari di Donald Trump, che, nei sondaggi, resta il battistrada per la nomination. Il magnate è oggetto di un Grand Jury federale che sta raccogliendo testimonianze in Florida sulla gestione delle centinaia di documenti riservati sottratti alla Casa Bianca finché l’Fbi non li sequestrò nella sua residenza di Mar-a-lago: segno che gli inquirenti si preparano a chiedere un rinvio a giudizio.
Mercoledì 7 gennaio, è stato ascoltato un suo ex stretto collaboratore. Ed è saltata fuori sui media un’imbarazzante telefonata in cui Trump si vanta di essersi tenuti i dossier classificati, fra cui uno su un possibile attacco all’Iran.
Più candidati ci sono, più i voti si disperdono. Questo fa il gioco dell’ex presidente, che può contare su uno zoccolo di sostenitori ampio e ‘fedele’. Tra quelli in corsa, non c’è nessuno che per ora lo sopravanzi o lo avvicinii: RealClear Politics, che fa la media dei sondaggi, gli dà tra i 10 e i 20 punti di vantaggio su tutti gli altri, incluso il suo spauracchio, il governatore della Florida Ron DeSantis.
Democratici: calma piatta, tutti dietro Biden
In campo democratico, invece, non si muove foglia: dopo che il presidente Joe Biden ha annunciato la sua candidatura, nessuno l’ha sfidato, a parte la scrittrice Marianne Williamson, 70 anni, che s’era già fatta avanti – ci provò anche nel 2020, senza alcun successo – e Robert F. Kennedy jr, nome altisonante, nipote di JFK e figlio di Robert, fratello di JFK. Se la Williamson è un’idealista ‘neo-rooseveltiana’, Kennedy mescola ‘no vax’ e complottismo: nessuno dei due andrà lontano.
E’ possibile che la situazione fra i democratici evolva se Trump, che sta per compiere 77 anni, perderà terreno e se dovesse profilarsi un match tra Biden, che avrà quasi 82 anni all’Election Day, il 5 novembre 2024, e Ron DeSantis, che ne avrà appena 46 e che potrebbe sfruttare a suo vantaggio l’evidente e ovvia fragilità fisica del presidente.
Per ora, però, è calma piatta, pure a sinistra. Il People’s Party ha deciso di candidatre Cornel West, 70 anni, nero, filosofo morale e attivista per i diritti civili, che nel 2016 e nel 2020 aveva sostenuto la candidatura alla nomination democratica del senatore ‘socialista’ Bernie Sanders, che stavolta dà forfait.
Con l’accordo che sventa il rischio di default dell’Unione fino al gennaio 2025, Biden s’è inoltre tolto dal capo una spada di Damocle che pendeva sulla sua campagna elettorale: è uno dei motivi per cui l’intesa fatta dall’Amministrazione democratica con lo speaker repubblicano della Camera Kevin mcCarthy è molto criticata dagli ‘aspiranti’ repubblicani.
Repubblicani: le facce nuove d’un lotto già numeroso
Gli ultimi scesi nell’agone repubblicano sono personaggi importanti, ma non hanno molte chances. Pence, 64 anni, ex governatore dell’Indiana, ex vice di Trump, una vena di sangue italiano da parte di madre, s’è candidato nel giorno del suo compleanno: una ‘mela avvelenata’, perché i ‘trumpiani’ lo giudicano un traditore che, dopo quattro anni di totale appiattimento sulle posizioni del suo boss, si rifiutò, il 6 gennaio 2021, di avallare il rovesciamento dell’esito delle elezioni sotto la pressione dei facinorosi che davano l’assalto al Campidoglio sobillati dall’allora presidente.
Nel video di lancio della sua campagna, Pence non nomina Trump e non ne mostra immagini, ma afferma che “tempi diversi richiedono una diversa leadership”: “Il nostro partito e il nostro Paese oggi hanno bisogno che faccia appello, come disse Lincoln, ai migliori angeli della nostra natura”, dice, mettendo in risalto la sua personalità, la sua franchezza, il carattere gioviale. E’ la prima volta nella storia Usa che un ex vice sfida il suo ex capo.
Contemporaneamente, si sono candidati Chris Christie, 61 anni, ex governatore del New Jersey, già aspirante alla nomination nel 2016 senza grande successo, spesso coinvolto in vicende giudiziarie – promette di contrapporsi a Trump e dargli filo da torcere -; e Doug Burgum, 67 anni, governatore del North Dakota, che deve costruirsi una notorietà nazionale e che scrive sul Wall Street Journal “Abbiamo bisogno di un nuovo leader per l’economia che cambia”.
Pence, Christie e Burgum raggiungono il governatore della Florida Ron DeSantis, l’ ‘anti-Trump’ più accreditato; il senatore nero della South Carolina Tim Scott; l’ex governatore dell’Arkansas Asa Hutchinson, 73 anni; l’ex rappresentante degli Usa all’Onu Nikky Halei, 51 anni, già governatrice della South Carolina; il magnate del biotech Vivek Ramaswamy, 37 anni.
Altri che valutano se scendere in lizza sono i senatori Ted Cruz e Rand Paul, l’ex segretario di Stato Mike Pompeo e il governatore della Virginia Glenn Youngkin.
La stella nel firmamento degli ’anti – Trump’ che sono stati – o quasi – trumpiani, è DeSantis, che esorta il Partito a “voltare pagina”. La campagna dell’ex presidente lo accusa di plagio per lo slogan “Great American come back” (contrapposto a ‘Make America great again’). Dell’intesa sul debito, DeSantis dice: “Prima dell’accordo, il nostro Paese stava andando verso la bancarotta; dopo l’accordo, il nostro Paese va ancora verso la bancarotta”.
Passerelle nello Iowa per gli ‘aspiranti’ repubblicani
Molti dei candidati alla nomination repubblicana si sono fatti vedere nello Iowa al ‘Roast and Ride’, un evento annuale che ha loro offerto una passerella nello Stato che aprirà la serie delle primarie fra meno di otto mesi. Assente Trump, oggetto per questo di attacchi dei rivali e critiche del pubblico.
Pence è stato fra i protagonisti dell’evento, in sella a una Harley Davidson, una sua passione, giacca di pelle e stivali da cowboy. Una volta raccontò di avere chiesto alla moglie in regalo una moto e di avere avuto un cane, chiamato poi Harley.
Haley ha sollecitato “un cambio generazionale”, che lei e DeSantis interpretano meglio degli altri, mentre colpiva la notizia che suo marito Michael sta per iniziare una missione d’un anno in Africa con la Guardia Nazionale della South Carolina – la lascerà sola per tutta la campagna -.
Nello Iowa, l’interesse del pubblico s’è concentrato su DeSantis, combattivo, con a fianco la moglie Casey, giubbotto in pelle e sulla schiena l’immagine di un alligatore della Florida e la scritta ‘Where woke goes to Die’ – un riferimento alla ‘woke culture’ osteggiata dai conservatori -.
Trump, invece di evitare le polemiche, se le va a cercare: le sue congratulazioni sul suo social Truth al dittatore Kim Jong-un per l’ingresso della Corea del Nord nel board dell’Oms suscitano le critiche dei suoi rivali. Haley, che ne sa di più di esteri, nota che “non ci si rallegra con un delinquente che ha minacciato l’America e i nostri alleati”. DeSantis osserva che “Kim è un dittatore omicida”; Pence dice che “nessuno dovrebbe lodare il dittatore della Corea del Nord o il leader della Russia che ha lanciato l’aggressione dell’Ucraina… siamo per la libertà e per chi difende la libertà”. Ma non saranno Kim e Putin a decidere Usa 2024.