Esteri

USA 2024: che lo critichino o che lo arrestino, Trump canta vittoria

24
Agosto 2023
Di Giampiero Gramaglia

Donald Trump vince anche quando dà forfait; e anche quando sforna prestazioni mediatiche senza fuochi d’artificio. In sua assenza, infatti, i suoi rivali per la nomination repubblicana a Usa 2024 non trovano il colpo del ko – era difficile – e neppure lo mettono alle corde con sventole ai fianchi e ganci al mento. Lui ne esce indenne o quasi

E, fra poche ore, Trump si prenderà tutta la scena mediatica consegnandosi alle autorità ad Atlanta per essere arrestato, formalmente rinviato a giudizio – per la quarta volta – e subito messo in libertà su cauzione da 200 mila dollari. Tutte circostanze che di solito ti cuciono addosso la lettera scarlatta del presunto colpevole, ma di cui Trump fa, invece, un’occasione di propaganda, a suon di slogan e di menzogne: Colpevole? Lui è la vittima di una giustizia politicamente corrotta. La rete di accuse che da quattro mesi lo sta avvolgendo, invece di alimentare il sospetto di reato, è – dice – la prova della sua innocenza: lo vogliono fare fuori per via giudiziaria perché ne hanno paura al test del voto.

Per l’ex presidente, la decisione, sulla carta rischiosa, di schivare il primo dibattito fra gli aspiranti alla nomination repubblicana per Usa 2024 si rivela azzeccata. Sul palco di Milwaukee (Wisconsin) e sugli schermi di Fox News, i suoi avversari parlano più di lui che di se stessi e nessuno si impone come in grado di batterlo. Intanto, lui manda su X, l’ex Twitter, un’intervista compiacente e un po’ trita con il giornalista amico Carlson Tucker, ex ‘stella’ di Fox News, che l’ha da poco cacciato proprio per ‘eccesso di trmpismo’: il social dei cinguettii gli è di nuovo amico, ora che lo gestisce un suo potenziale ‘alter ego’ degli Anni Trenta, Elon Musk,

Sul palco di Milwaukee, sette cravatte rosse e una donna in bianco
Nel loro primo dibattito, gli otto aspiranti alla nomination repubblicana che rispettano i criteri fissati dal Comitato nazionale repubblicano si sono dati battaglia per emergere e si sono scontrati sull’Ucraina, sull’aborto e su Trump. Per milioni di elettori delle primarie repubblicane, che inizieranno solo fra quasi cinque mesi, il 15 gennaio, nello Iowa, era la prima occasione di vederli e di valutarli: alcuni di essi hanno scarsa riconoscibilità a livello nazionale.

Sul palco c’erano, al centro, il governatore della Florida Ron DeSantis, la cui campagna è in panne da mesi, e l’imprenditore Vivek Ramaswamy, il cui populismo gli sta, invece, valendo più impatto del previsto. Alla destra di DeSantis, l’ex vice di Trump Mike Pence, il più esperto e quello che parla di più; l’ex governatore del New Jersey Chris Christie; e il governatore del North Dakota Doug Burgum.

Alla sinistra di Ramaswamy, c’erano l’ex governatrice della South Carolina, ed ex rappresentante degli Usa all’Onu, Nikki Haley, l’unica donna; il senatore della South Carolina Tim Scott, un nero; e l’ex governatore dell’Arkansas Asa Hutchinson.

Due curiosità: una politica, sei degli otto sono o sono stati governatori (Pence dell’Indiana); ed una cromatica, tutti gli uomini sono in scuro con la cravatta rossa – rosso è il colore dei repubblicani -, mentre Haley ha un vestito bianco con riflessi azzurri.

Si comincia dall’economia, il che dà a tutti la possibilità d’attaccare il loro ‘nemico numero 1’, cioè il presidente Joe Biden, il cui fallimento è l’unico punto su cui c’è un consenso generale. Poi, sull’Ucraina, sull’aborto, sul clima, gli otto si attaccano fra di loro e attaccano, con più o meno intensità e convinzione, Trump. C’è chi ipotizza un ticket tra il magnate e l’imprenditore populista Ramaswamy, che, per qualche verso, gli assomiglia, anche se appare dialetticamente meno grezzo e greve.

Il momento più insidioso è quando viene loro chiesto se sosterranno Trump, se, nonostante un’eventuale condanna in uno dei suoi tanti processi, sarà il candidato repubblicano a USA 2024. Solo Christie, il più critico con l’ex presidente, e Hutchinson (non a caso, i due ex procuratori) dicono che non l’appoggeranno, perché il suo comportamento è stato eversivo.

DeSantis non esce dal grigiore: campagna in panne
Dal duello di Milwaukee, non esce un vincitore, ma uno sconfitto, DeSantis, che non trova il colpo di reni per rilanciare la sua campagna: troppo studiato, poco empatico, con scarso carisma, insiste sul declino del Paese e promette di “rimandare Joe Biden nel suo basement”, ma come proposta s’arena al controverso “modello Florida”.

Anche Trump con Carlson non fa il botto: ripetitivo e scontato, un disco un po’ rotto – e questo può cominciare a divenire un handicap -. Lui non ha certo bisogno di farsi conoscere; deve, però, evitare di offrire sempre solo la replica di se stesso: attacca Biden il “corrotto”, “un manchurian candidate”; ribadisce la tesi delle elezioni truccate; promette di chiudere la frontiera col Messico in funzione anti-immigrazione; ma divaga sui suoi rapporti col defunto finanziere pedofilo Jeffrey Epstein e sulle sue relazioni con il dittatore nord-coreano Kim Jong-un.

A Milwaukee, Pence mette a segno qualche punto: incassa il plauso dei rivali per essersi opposto alla richiesta di Trump di non certificare la vittoria di Biden, violando la Costituzione; e mette in riga il rampante Ramaswamy, imprenditore bio-tech senza esperienza politica, “non è tempo di esordienti e di apprendistato”.

Christie rincara la dose su Ramaswamy: «Non ne posso più di questo tizio che sembra ChatGtp”; e ricorda di essere l’unico del lotto ad avere battuto (nel suo Stato) un democratico in carica. Haley è la sola a dire di non “demonizzare” l’aborto ed evoca il plus femminile citando Margaret Thatcher: “Se vuoi che di una cosa si parli, chiedi ad un uomo; se vuoi che sia fatta, chiedi ad una donna”.

Scott, unico senatore afro-americano repubblicano, aspirante “Obama conservatore”, non fa gaffe, ma non buca lo schermo, come l’anonimo Burgum.

Sull’Ucraina, gran parte dei candidati è favorevole agli aiuti a Kiev, tranne Ramaswamy, fortemente criticato da Pence e Haley, i due più esperti di politica internazionale. DeSantis chiede agli europei un maggior impegno.

La scena di Atlanta
Il concorso di eventi fa dire ad Amber Philips sul Washington Post che la campagna per USA 2024 “comincia davvero questa settimana”. Il sipario sul dibattito è appena calato – il confronto è andato in onda alle 21.00 della East Coast, le 03.00 in Italia – che l’attenzione dei media s’è già spostata sulla Contea di Fulton, Atlanta, Georgia, dove fin da ieri si sono già sottoposti ai riti giudiziari alcuni dei 18 co-imputati di Trump, fra cui l’ex sindaco di New York Rudolph Giuliani, all’epoca dei fatti avvocato dell’allora presidente e suo guru nelle battaglie legali, tutte perdute, per provare che le elezioni presidenziali 2020 vinte da Joe Biden erano state truccate e rubate, e l’altro avvocato John Eastman, stratega dei tentativi di Trump di restare al potere nonostante la sconfitta – entrambi subito liberi su cauzione -.

Per molti, il processo in Georgia è il più insidioso fra quelli che Trump deve affrontare: è stato rinviato a giudizio pure a New York, in Florida e a Washington. Il procuratore generale della Contea Fani Willis lo accusa di essere a capo “d’un’organizzazione criminale” e “d’una vasta cospirazione” per rovesciare il risultato delle elezioni nello Stato e nell’Unione.

L’ex presidente è stato diffidato dall’intimidire co-imputati, testimoni, giurati e vittime, verbalmente e anche sui social. Ma gli esperti avvertono che la retorica del magnate sarà difficile da tenere sotto controllo. E provvedimenti che cozzano con la libertà d’espressione sancita dal primo emendamento della Costituzione statunitense offrono lo spunto a schermaglie che possono avvantaggiarlo.

La prossima settimana, ci sarà ad Atlanta l’udienza preliminare, mentre il via al processo si prevede a marzo, nel pieno della stagione delle primarie. In attesa dei processi, che i legali del magnate cercano di dilazionare, i conti di Trump come candidato alla nomination oggi tornano.

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