Sono passati 12 mesi dall’assalto a Capitol Hill, la sede del Congresso degli Stati Uniti d’America. Un attacco al cuore pulsante della democrazia americana che precedeva di circa due settimane il giuramento del neo presidente eletto Joe Biden. L’assedio avvenne con modalità ancora poco chiare, sotto lo sguardo dei media di tutto il mondo. Ebbene, a un anno di distanza da quella folle serata di Washington, è possibile trarre un bilancio sulla politica interna americana; in vista delle elezioni di midterm del prossimo novembre, le divisioni nel Paese restano ancora forti.
Un anno di presidenza Biden
Il 20 gennaio 2020 è iniziata l’era Biden. Dopo le caotiche elezioni di novembre e il disastro del Campidoglio, cercare di riunire la nazione era impresa ardua e complicata. Come abbiamo analizzato all’indomani del discorso inaugurale del Presidente su queste pagine, gli obiettivi di politica interna ed estera erano tanti e di difficile realizzazione. Biden si è ritrovato al cospetto di sfide complicatissime: il contrasto alla pandemia, un’inflazione che cresce agli esasperati ritmi degli anni ’80, il campo minato rappresentato da alcuni contesti geopolitici come l’Afghanistan. Tanti elementi che hanno ridotto il consenso per l’attuale amministrazione, secondo quanto riportato dallo statistico del New York Times Nate Silver.
Significative sono anche le divisioni all’interno dello stesso partito democratico. La scelta del senatore della West Virginia Joseph Manchin, da sempre visto tra i più conservatori della ala dem, di non appoggiare il piano economico Build Back Better, ha condannato di fatto il progetto ad un rovinoso naufragio per via della divisione 50-50 del Senato americano. Questo è stato l’ultimo episodio ad inserirsi in una serie di vicissitudini nel partito. Anche i democratici più radicali guidati da Alexandra Ocasio-Cortez, si sono dimostrati spesso critici nei confronti del Presidente.
Ecco che quindi le elezioni di midterm del prossimo novembre potrebbero in qualche modo rappresentare un crocevia fondamentale per le sorti del quadriennio Biden-Harris. Se i dem dovessero perdere questo passaggio elettorale, l’amministrazione rischia una paralisi fino a fine mandato, considerato che i repubblicani potrebbero conquistare il controllo di entrambe le camere.
Che fine ha fatto Donald Trump?
Dopo il ban permanente da Twitter e Facebook per la presunta istigazione alla rivolta di Capitol Hill, il Presidente uscente Donald Trump ha tenuto un profilo piuttosto basso negli scorsi mesi. La linea è stata quella di insistere con l’ipotesi della frode elettorale, e della big lie. Con l’avvicinarsi del ritorno alle urne, il tycoon sta preparando il terreno della campagna elettorale. Per farlo, dovrà però scontrarsi con una realtà che vede una commissione di inchiesta per i fatti del 6 gennaio 2020 agguerrita più che mai, pronta ad ascoltare anche l’ex vicepresidente Pence. Ad aggiungersi a questo, proseguono le indagini su possibili attività illecite della Trump Organization.
Le vicende giudiziarie non hanno scalfito però il percorso scelto dal leader repubblicano. Il lancio della nuova piattaforma Truth Social, previsto nel corso di quest’anno, è già sovvenzionato da più di un miliardo di dollari di investimenti. La strategia scelta da Trump è quella di creare, come si legge sul sito della piattaforma, “uno spazio che incoraggia una conversazione globale aperta, libera e onesta senza discriminare l’ideologia politica”. Le potenzialità di un nuovo social media a trazione trumpiana, sono altissime ma allo stesso tempo pericolose.
Vista sul midterm
L’appuntamento elettorale del prossimo novembre ci darà una chiara indicazione sullo stato della democrazia negli USA. La rivolta di Capitol Hill nella cultura di massa e nel sentire popolare ha contribuito ad acuire le profonde differenze che imperversano nella scena politica americana. Il 6 gennaio di quest’anno rappresenterà un momento di ricordo per le vittime di quella pazza serata del Campidoglio: è previsto un discorso congiunto di Biden e Kamala Harris, per esaltare i valori più alti della democrazia. Era atteso nello stesso momento un intervento di Trump, dalla sua dimora di Mar-A-Lago: conferenza stampa che è stata annullata e rimandata ad un comizio in Arizona il 15 gennaio.
La battaglia di metà mandato e il proseguimento della commissione di inchiesta rischiano di gettare benzina sul fuoco sulle sorti politiche statunitensi. Quella che tutti riconosciamo come la democrazia più importante del mondo, non può permettersi di ridursi ad un dannoso tutti contro tutti. L’orgoglio americano, fatto di impegno civico, partecipazione e rispetto dell’ars politica, non sembra più di casa dalle parti di Washington DC. La speranza è che, nel ricordo di chi a Capitol Hill ci ha rimesso la vita, ci si ricordi i valori che hanno reso grandi gli Stati Uniti d’America.