Esteri
Uk, Liz Truss subito fuori. Per la successione rispunta Bojo
Di Giampiero Cinelli
Solo quarantacinque giorni. La permanenza di Liz Truss a Downing Street. Dieci anni e trecentoventi giorni in meno rispetto alla donna a cui si ispirava, Margareth Tatcher. La premier uscente ha annunciato ieri le sue dimissioni e ora resterà in carica il tempo necessario affinché la maggioranza Tory trovi un altro volto spendibile alla guida dello Uk. Tra i principali inneschi della sua dipartita, la mini-crisi economica scatenata dai mercati, in seguito all’annuncio di una riforma fiscale a debito, mirante a ridurre il carico di tasse sui più ricchi. Una mossa che gli investitori hanno ritenuto errata in questo periodo incerto e di inflazione, determinando una significativa svalutazione della sterlina.
Più che l’avvicendamento in sé, stupisce che sia l’ennesimo. E la repentinità della tempesta che ha fatto capitolare Truss fa riflettere anche sulla capacità del partito conservatore di dare stabilità al Paese.
“Britaly”
Si sprecano in queste ore i paragoni con la travagliata Italia. Accostata ora a Londra per avere una sgangherata situazione economica che influenza il corso degli esecutivi. Vero, ma vero in parte. Sia l’Italia che il Regno Unito nel 2022 sono attese crescere tra il 3,1 e il 3,4%. Tuttavia il Regno Unito, nel 2021, dopo la maggiore ondata del Covid è cresciuto del 7,4%, il risultato migliore dal dopo-guerra e il più alto del G7 nel periodo, Roma dal canto suo registrò un 6,6%. Sempre nel 2021 la sterlina aveva goduto di un forte rialzo. Però hanno molto risentito dei disagi dovuti all’assestamento post lockdown, che in Inghilterra è stato acuito dai postumi della Brexit, con la questione degli accordi commerciali con l’Irlanda del Nord e i problemi di scorte nei supermercati. Questioni non ancora metabolizzate del tutto. La nazione guidata fino a poco fa da Draghi invece non si può dire fosse ancora ondivaga dal punto di vista della collocazione nello scacchiere. Ora legata pure più saldamente dal vincolo del Pnrr.
Le correnti
Al netto di un’analisi macroeconomica della situazione oltre La Manica, certamente importante, ma che tuttavia contempla una delle maggiori potenze mondiali, la cui moneta ha già recuperato ieri l’1% sul dollaro dopo l’uscita della Truss, il sospetto sia che il fattore più disgregante sia una faida nel partito conservatore che non accenna a scemare. E i motivi, possono essere riconducibili alla disomogeneità di posizioni sulla Brexit che il partito ha comunque dovuto portate avanti alla luce del referendum, oltre a una certa tensione data dal nuovo scenario di politica estera. Forse per questo Boris Johnson è stato portato a lasciare, festini a parte (lui che è dato come papabile per riprendersi il premierato), dal momento che la classe dirigente britannica, storicamente più esposta e nevrile nelle questioni geopolitiche a differenza dell’Italia, non vede significativi risvolti nell’appoggio all’Ucraina. Insomma due fattori di disequilibrio e di scontro, in un soggetto politico centrale in cui non si trova una dialettica.
Per questo ora i laburisti pretendono che si rivada a elezioni, intenti a voltare pagina nella fase che è iniziata con David Cameron, passando per May, fino a Truss. Ma tutti gli indizi ci dicono che il nuovo leader spetterà ancora ai conservatori. Oltre a Bojo, i candidati che circolano sono l’ex cancelliere Rishi Sunak, così come quello di Kemi Badenoch, segretario al commercio internazionale. Oltre a Penny Mordaunt e Grant Shapps.