Esteri

Ue: Trump, l’elefante nella stanza dei consulti europei sull’Ucraina, Medio Oriente, economia e migranti

23
Dicembre 2024
Di Giampiero Gramaglia

È stato Donald Trump l’inevitabile convitato di pietra degli appuntamenti europei che in settimana hanno visto i primi passi della nuova Commissione Ue e dei nuovi leader delle istituzioni UE, il portoghese Antonio Costa alla presidenza del Consiglio e l’estone Kaje Kallas alla guida della diplomazia europea: un incontro con i sei Paesi dei Balcani candidati all’adesione, il Vertice dei 27 di fine anno, un summit Nord-Sud in Lapponia.

Gli incontri si sono svolti in un clima internazionale turbolento, tra i conflitti e i fermenti in Ucraina e nel Medio Oriente. Ad aggiungere elementi di angoscia, l’ombra del terrorismo che s’allunga sull’Europa, con l’attentato – dalla matrice ancora nebulosa – al mercatino di Natale di Magdeburgo, in Germania: cinque le vittime, decine i feriti. In questi drammi, c’è spesso un grillo parlante: Elon Musk, il sodale di Trump, se la prende con l’Islam e i migranti, decreta che l’estrema destra dell’AfD è l’unica risposta ai problemi della Germania ed etichetta il cancelliere Olaf Scholz come «un pazzo incompetente».

Oltre a Trump – uno scomodo ritorno, dopo quattro anni di assenza dai Vertici europei – c’erano altri due convitati ormai abituali, dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia il 24 febbraio 2022: i presidenti russo Vladimir Putin e ucraino Volodymyr Zelenski, che è intervenuto di persona, chiedendo garanzie di sicurezza che i 27 da soli non possono dargli e ammettendo per la prima volta in modo esplicito che Kiev non è in grado di riconquistare i territori occupati dagli invasori e men che meno la Crimea annessa da Mosca nel 2014.

A Bruxelles, tutti si chiedevano che cosa farà Trump sull’Ucraina (e sulla NATO). Alcuni Paesi UE e NATO, come la Francia e la Polonia, stanno valutando se spiegare truppe d’interposizione in Ucraina dopo un cessate-il-fuoco e l’avvio di negoziati sul futuro assetto dei confini russo-ucraini. Il gesto sarebbe un pegno di sicurezza per Kiev e una risposta alle richieste di Trump che gli europei facciano di più per la loro sicurezza.

Ma siamo ormai lontani le mille miglia dal mantra fin qui ripetuto della «pace giusta»; e l’adesione dell’Ucraina alla NATO appare ora fuori discussione. Senza dirlo apertis verbis, l’Europa s’adegua alla linea di Trump e vede emergere un nuovo crinale al proprio interno, tra neo e vetero ‘trumpiani’ fautori più o meno sinceri della democrazia illiberale e fautori dell’ortodossia democratica.

L’impatto delle crisi interne di Francia e Germania
Questi ultimi hanno la sordina, in questa fase. Lo stato di crisi politica ed economica in cui versano Francia e Germania rende impossibile all’Unione assumere posizioni incisive e tanto meno prendere decisioni. La Francia è senza governo – François Bayrou sta provando da settimane a formarne uno – e senza bilancio: il disavanzo cresce, lo spread sale. La Germania attende il voto del 23 febbraio, dopo che la coalizione di Scholz è stata sfiduciata dal Bundestag; e vive una fase per lei inconsueta di crescita zero o negativa, con settori industriali chiave, come l’automobile, in grave crisi.

Scrive Politico: «L’apocalisse economica dell’Europa è ora: stagnazione, competitività, Trump», il continente deve affrontare «una sfida esistenziale». La BCE ha appena fatto un regalo di Natale a famiglie e imprese, abbassando i tassi dello 0,25%, giudicando «ben avviato» il calo dell’inflazione – fa meno un punto, dall’inizio dell’anno.

La presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde apre all’idea dell’Unione di bilancio, utile per futuri eurobond; e chiede alla politica di decidere in fretta per rilanciare crescita e competitività. La presidenza di turno polacca del Consiglio dell’UE vuole attuare le ricette indicate nel rapporto Draghi, ma riuscirci sarebbe un’impresa nelle attuali circostanze.

Michele Prospero parla, sul sito del Centro per la Riforma dello Stato, dell’«inverno democratico» di Francia e Germania: «Guerra e crisi socio-economica affliggono i sistemi politici dei due Paesi… Il parlamentarismo si è dimostrato migliore del presidenzialismo nell’arginare le democrature. Ma le tecnocrazie liberali sono più allarmate dalle riforme della sinistra che dalla destra autoritaria».

Fra le spine dell’UE, ci sono i migranti o – meglio – il contrasto all’immigrazione illegale. L’Italia trova molte sponde su questo fronte: Olanda e Austria, Ungheria e Slovacchia, Polonia e vari altri danno un giro di vite sul diritto d’asilo e reintroducono controlli alle frontiere. E Von der Leyen fa da spalla a Giorgia Meloni.

Persino il cambio di regime in Siria diventa un pretesto per limitare il diritto d’asilo, nonostante Bruxelles riconosca che «il futuro del Paese è pieno di rischi» e diffidi della nuova leadership, suggerendo d’adottare «un approccio graduale».

Proprio mentre la libera circolazione delle persone appare compromessa, Bulgaria e Romania completano il processo di adesione agli accordi di Schengen: dal primo gennaio 2025, non ci saranno più controlli alle loro frontiere interne.

Le sollecitazioni esterne
I giochi di potere di UvdL, che flirta volta a volta con leader e forze politiche di diverse tendenze, stanno esacerbando – secondo Politico – alcuni capi di Stato o di governo, che avrebbero invitato Costa a tirarle le briglie. Quanto a Kallas, l’ex premier estone è pronta a fare sentire la sua voce anche su registri poco diplomatici, come faceva negli ultimi mesi il suo predecessore Josep Borrell. Ma non è affatto detto che sia ascoltata.

Ad esempio, Kallas ritiene che negoziati affrettati con la Russia condurranno a «un accordo cattivo» per l’Ucraina: «Le vicende della Siria mostrano che la Russia non è invincibile e noi non dovremmo sottovalutare la nostra forza».

Clima e timore di aggressioni militari: i leader dei 27 dicono di volere un’UE «pronta ad affrontare le crisi»; e il Parlamento europeo si dota di due nuove commissioni, difesa e salute (reminiscenza della pandemia). Ma decisioni concrete contro il riscaldamento globale e per la difesa comune non sono imminenti – anzi, sull’ambiente l’UE ha innescato la marcia indietro.

Come spesso accade, c’è più fiducia nell’UE fuori che dentro: oltre all’Ucraina, anche Moldavia e Georgia guardano all’Europa come a un approdo. La presidente georgiana filo-europea uscente Salomé Zourabichvili, che non vuole cedere il posto al suo successore, un ex calciatore filo-russo, Mikheil Kavelashvili, chiede ai 27 di intervenire in difesa della popolazione e contro quelli che chiama «i soprusi» del governo, «per spezzare la spirale di violenze e interrompere la russificazione del Paese».
L’appello trova eco in Parlamento. Ma fra i 27 non c’è accordo: la Slovacchia accusa l’Assemblea di «interferenze» nelle elezioni georgiane.