Esteri

Ue: elezioni europee, i Grandi svoltano a destra, l’Europa tiene la barra al centro

10
Giugno 2024
Di Giampiero Gramaglia

Grossi scossoni in Germania e in Francia, con le avanzate dei partiti di estrema destra e le sconfitte dei partiti al governo, specie i socialdemocratici e Renaissance del presidente Emmanuel Macron, che scioglie l’Assemblée nationale e indice elezioni politiche immediate. Nei maggiori Paesi dell’Unione europea, solo in Italia e in Polonia le forze al potere vincono.

Ma, nel Parlamento europeo, si sposta relativamente poco: il gruppo del Partito popolare europeo resta il maggiore dell’Assemblea e aumenta i propri seggi. Il gruppo del Partito socialista compensa in Italia, in Spagna, in Francia e altrove la disfatta tedesca: perde qualche colpo, ma resta secondo. E i liberali, che accusano l’emorragia maggiore, causa il tracollo francese, sono sempre terzi, pur scendendo da oltre cento a circa 80 eurodeputati. In caduta quasi libera i Verdi, quarta forza europeista dell’Assemblea di Strasburgo.

L’affluenza alle urne si attesta intorno al 50% – l’Italia è sotto la media -, su valori simili al 2019 (50,7%): i dati non sono ancora definitivi, ma sono già molto attendibili. Risultati e partecipazione sono indici univoci: gli europei sono in genere insoddisfatti dei loro governi e dell’Unione e danno retta alle ricette populiste su economia e immigrazione. Per Politico, l’Unione “vira a destra” e sta vivendo un suo “momento Trump”: il voto “ridisegna il panorama politico europeo”. Pessimista l’analisi del Washington Post: “La destra è qui per restare”.

La campagna elettorale è stata fortemente polarizzata quasi ovunque, carica di tensioni e violenze: il ferimento del premier slovacco Robert Fico, l’aggressione alla premier danese Mette Frederiksen, le minacce di morte al premier polacco Donald Tusk, un morto e feriti in scontri in Germania. L’esito è un voto da cui praticamente solo in Italia e in Polonia i governi escono consolidati. Altrove, dove sono al governo, sovranisti ed euro-scettici vanno male, dall’Ungheria alla Slovacchia.

In questa ridda di risultati spesso contraddittori da Paese a Paese, la crescita dei partiti di destra, critici verso l’Unione o decisamente contrari all’integrazione, non si traduce nella capacità di offrire alternative di maggioranza in Europa. Ma l’assetto dell’Assemblea di Strasburgo non è ancora chiaro del tutto: ci sono un centinaio di euro-deputati senza collocazione certa, fra cui i tedeschi dell’AfD, gli italiani del M5S, gli ungheresi del partito del premier Viktor Orban. Quando, e se, troveranno una collocazione i rapporti di forza fra i gruppi potrebbero modificarsi.

Ue: elezioni europee, un terremoto in Germania e in Francia
I dati tedeschi e francesi sono impressionanti. In Germania, la Cdu/Csu centrista, raggiunge il 33% e ha oltre il doppio dei voti dell’AfD neo-nazista, seconda davanti all’Spd socialdemocratica ferma sotto il 15%. I Verdi scendono al 12%. Le forze che compongono l’attuale maggioranza – Spd, Verdi e liberali – raccolgono meno di un voto su tre. Nessuno chiede le dimissioni del cancelliere Olaf Scholz, ma il governo è chiaramente indebolito.

Il Francia, il Rassemblement National di Marine Le Pen, guidato alle urne da Jordan Barella, tocca il 31,5% ed è il primo partito: ha più del doppio dei voti di Renaissance di Macron, sotto il 15%. Macron tira subito le conseguenze dal voto: scioglie l’Assemblée e indice elezioni per il 30 giugno, con ballottaggio il 7 luglio. Il presidente scommette sull’ ‘esprit républicain’ che finora ha sempre relegato all’opposizione e marginalizzato l’estrema destra: al ballottaggio, c’è una maggioranza degli elettori che sbarra la strada al Rassemblement National.

Bisogna vedere se il fenomeno si verificherà anche questa volta, perché l’insoddisfazione espressa dagli elettori è molto forte e investe le politiche economico-ambientali e dell’immigrazione, oltre che forse anche l’atteggiamento di Macron nei confronti delle guerre in Ucraina e in Medio Oriente. E, in ogni caso, la composizione dell’Assemblée rischia di essere frammentata, in una Francia che non ama le coalizioni. Per Politico, la destra trae vantaggio dal fatto che “la Francia odia Parigi”. Per Macron, il Paese “ha bisogno di una maggioranza chiara per agire con serenità e concordia”: non è sicuro che la trovi nel voto indetto in tutta fretta.

In Spagna, si ripete, in sostanza, il risultato delle politiche: i popolari avanti, i socialisti dietro (ma capaci di alleanze), Vox all’estrema destra in crescita. In Polonia la Coalizione civica (Ko) di Tusk supera i conservatori di Diritto e Giustizia.

Negli altri Paesi, i risultati sono variegati, sempre influenzati dai fattori nazionali: il voto europeo resta, essenzialmente, un mosaico di referendum nazionali sulla popolarità del governo. In Belgio, dove europee e politiche sono abbinate, il premier liberale Alexander De Croo si dimette in lacrime: il suo partito esce sconfitto, nelle Fiandre al Nord vincono gli estremisti di destra separatisti; al Sud, in Vallonia, sono avanti centristi e socialisti. La spaccatura linguistica fra fiamminghi e francofoni s’interseca con il crinale politico: non è una novità assoluta.

Ue: elezioni europee, sostanziale stabilità nel Parlamento europeo
Ai terremoti nazionali, si contrappone una sostanziale stabilità a livello europeo: la maggioranza che nel 2019 diede l’investitura alla presidenza della Commissione europea alla popolare tedesca Ursula von der Leyen, è sopra i 400 seggi su 720 – la soglia di maggioranza è 361 -, indipendente da quella che sarà la collocazione del centinaio di euro-deputati al momento non collocati.

Le attribuzioni dei seggi, che salgono da 705 a 720, non sono ancora definitive: al Ppe ne vengono ora attribuiti 184, più degli attuali; ai socialisti 139, meno degli attuali – guadagni e perdite sono minimi -. I liberali, invece, scendono in modo netto, da 102 a 82 seggi; i verdi in modo ancora più netto, da 72 a 52. Il gruppo delle sinistre euro-critiche è piuttosto stabile, poco sotto i 40 seggi.

L’avanzata delle destre non si traduce, in prima battuta, in grossi rafforzamenti dei loro gruppi: salgono da 67 a 73 i conservatori di Ecr, dove Fratelli d’Italia compensa largamente l’arretramento dei polacchi; scendono, addirittura, da 59 a 58 i sovranisti xenofobi di Identità e democrazia, ma solo perché scontano l’espulsione dai loro ranghi dei neo-nazisti di AfD.

Nel Parlamento europeo, la maggioranza composta da popolari, socialisti e liberali è per molti versi l’unica percorribile: se il Ppe guardasse a destra, non si raggiungerebbero i 361 seggi; e lo stesso vale se Ppe e liberali aprissero ai conservatori. I socialisti escludono di collaborare con conservatori e sovranisti. I verdi subordinano l’appoggio alla coalizione europeista a impegni sul Green Deal.

Manfred Weber, Cdu, tedesco, capogruppo dei popolari, prospetta una nuova alleanza pro-europea e rilancia la candidatura di von der Leyen a un secondo mandato (la designazione spetta, però, ai capi di Stato e di governo). Pedro Marques, portoghese, ‘numero due’ dei socialisti, dice che “l’importante è plasmare un programma per la Commissione” che trovi la coalizione d’accordo.

Il Parlamento europeo dell’ultima legislatura ha lasciato un numero consistenti di provvedimenti non approvati: sulle 119 proposte in discussione a Bruxelles, solo 52 sono già state discusse e votate dall’Assemblea di Strasburgo e ‘consegnate’ al Consiglio dei Ministri. Sul fronte economico, la Bce ha appena dato il suo viatico alla nuova legislatura abbassando dello 0,25% il costo del denaro. Ma la presidente Christine Lagarde non ha dato assicurazioni sui prossimi passi: “Non ci impegniamo su una traiettoria particolare – ha detto -, decideremo volta per volta”.

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