Esteri
Ucraina: tre anni dopo l’invasione russa, l’ombra di una pace predatoria
Di Giampiero Gramaglia
Leader occidentali in processione, oggi, a Kiev, nel terzo anniversario dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Ci sono i vertici dell’Ue – la presidente della Commissione Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio Antonio Costa – e i leader di alcuni dei 27; il premier canadese Justin Trudeau, presidente di turno del G7, che indice una riunione virtuale dei Sette Grandi, come fece l’anno scorso Giorgia Meloni.
Il grande assente è il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che ha sconfessato e ribaltato, senza badare agli alleati, la consolidata posizione della Nato e dell’Occidente sul conflitto ucraino: il cambio di rotta a 180° di Trump, che antepone il rapporto con Mosca a quello con Kiev, allunga sulla guerra l’ombra tetra di una pace ‘predatoria’, dove l’aggressore trova un vantaggio territoriale e i sodali voltagabbana dell’aggredito gli reclamano il rimborso a tassi esosi degli aiuti forniti.
Per affrontare direttamente la questione con Trump, il presidente francese Emmanuel Macron è oggi a Washington invece che a Kiev; e ci sarà, nei prossimi giorni, il premier britannico Keir Starmer. Friedrichs Merz, vincitore delle elezioni in Germania e futuro cancelliere tedesco, prospetta di porre l’Europa sotto l’ombrello nucleare franco-britannico, temendo di non potere più contare su quello degli Usa. Al Cremlino, si prepara un colloquio telefonico tra i presidenti russo Vladimir Putin e cinese Xi Jinping, dopo il consulto Usa-Russia a Riad la scorsa settimana.
L’impressione è cha Trump abbia tratto d’impaccio Putin, ridandogli legittimità internazionale e facendolo apparire il vincitore di una guerra che, nei calcoli russi, doveva durare molto meno ed essere molto meno dispendiosa, in termini di costi e di perdite. Se sui suoi Appunti Stefano Feltri si chiede se vi sia un metodo “nella gestione caotica” del presidente Usa, e propende a rispondere no, Euractiv.it scrive che “l’Europa teme che sia arrivato un suo secondo ‘momento di Monaco’”, quando, nel 1938, temendo una nuova guerra, i leader europei credettero di rabbonire Adolf Hitler accettando di lasciargli i Sudeti.
Su la Repubblica, Timothy Garton Ash scrive che “l’Europa deve reagire a Trump”: per farlo, deve, però, trovare una coesione su difesa e sicurezza che a 27 è oggi impossibile, perché alcuni leader sono più tentati di cercare grazia a Washington che di organizzare la resistenza a Bruxelles.
L’anniversario dell’invasione è un’esplosione di retorica pro-Ucraina, dopo una notte di ‘fuochi d’artificio’ letali russi su tutto il Paese: “Sempre al vostro fianco”, assicurano i leader dell’Ue incontrando il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Ma tutti sanno che l’impegno oggi suona incrinato e compromesso dal voltafaccia statunitense.
Lo stesso Zelensky cerca di porre condizioni alla pace che sono una resa alla legge del più forte che Trump e Putin interpretano all’unisono: l’uno vuole i territori occupati, l’altro risarcimenti a tassi di usura agli aiuti prestati – 500 miliardi di dollari di terre rare e altre ricchezze ucraine, cioè tre volte il calore degli aiuti ricevuti -.
Alle parole, l’Unione europea aggiunge almeno qualcosa di concreto: c’è un pacchetto di aiuti da 20 miliardi di euro; e c’è l’ennesimo pacchetto, il 16°, di sanzioni economiche e individuali alla Russia – colpiti 48 individui e 35 entità -.
Zelensky dice di volere incontrare Trump prima che questi veda Putin e si dice disposto a dimettersi se la sua presenza è di ostacolo alla pace, non appena l’Ucraina sia entrata nella Nato. Condizione, però, impossibile da realizzarsi, sia perché un Paese in guerra non può aderire all’Alleanza sia perché Trump – e, in fondo, molti altri – non vogliono che ciò accada (e bisognerà poi contare quanti vogliano davvero che entri nell’Ue).
La diplomazia internazionale è confusa e interdetta dalla rapidità e dalle estemporaneità delle mosse di Trump. L’Assemblea generale delle Nazioni Unite vota una risoluzione intitolata ‘Path to Peace’: il testo, non vincolante, chiede l’immediato ritiro delle truppe russe e passa con 93 sì, fra cui quello dell’Italia, 18 no e 65 astensioni, dopo un balletto di voti sugli emendamenti presentati dalla Francia a nome dell’Ue al testo originario degli Stati Uniti – approvati – (un emendamento russo viene invece bocciato).
Gli Usa volevano che tutti gli emendamenti fossero bocciati. La risoluzione di Kiev, che sollecita il rispetto dell’integrità territoriale ucraina, viene pure approvata, ma con il no di Washington.
Sull’Ucraina, Costa ha convocato un consulto straordinario dei leader Ue il 6 marzo a Bruxelles. Sarà il primo dopo le elezioni tedesche, ma non è detto che vi partecipi il cancelliere in pectore Merz, che non avrà certo completato in dieci giorni i negoziati per la formazione di una coalizione con socialdemocratici e verdi. Toccherà a Merz, però, scrive Politico, “navigare la nuova era in cui l’Europa non si ritrova al fianco l’America nell’alleanza con l’Ucraina”.
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