Esteri
Ucraina: Stoltenberg a Washington non ‘sdogana’ gli aiuti Usa bloccati
Di Giampiero Gramaglia
Per una volta, un segretario generale dell’Alleanza atlantica non va a Washington a prendere ordini, ma a cercare di svolgere una delicata operazione di mediazione tra la Casa Bianca e il Congresso. Che non riesce, perché non poteva riuscire: Jens Stoltenberg, 65 anni, norvegese, a capo della Nato da oltre nove anni – il più longevo nell’incarico -, non ha contropartite da offrire ai repubblicani nella sua questua per gli aiuti all’Ucraina: a loro, interessa la sicurezza del confine con il Messico; e, soprattutto, ai ‘trumpiani’, interessa mettere in difficoltà il presidente Joe Biden. Su questi fronti, Stoltenberg è disarmato.
E, infatti, la battaglia per una intesa sull’immigrazione che sblocchi anche i fondi per Ucraina, Israele e Taiwan – tutti bloccati nello stesso negoziato – prosegue. Biden chiede ai repubblicani d’approvare un disegno di legge bipartisan, frutto di trattative, che costituisce “l’insieme di riforme più dure e più giuste che abbiamo mai avuto nell’Unione per proteggere il confine” con il Messico: è pronto a usare subito i poteri di emergenza fornitigli dal provvedimento “per chiudere la frontiera quando viene travolta” dalle ondate migratorie.
In chiave elettorale, è una mossa audace e rischiosa per il presidente democratico, che vuole mettere i repubblicani nell’angolo: contraddice promesse fatte nella campagna 2020; e potrebbe suscitare critiche nell’ala liberal del suo partito e nella minoranza ispanica.
Ma Donald Trump, d’intesa con lo speaker della Camera Mike Johnson, non vuole sentire parlare d’intesa: lui preme perché il Congresso non approvi nessun accordo, perché – afferma su Truth – “una cattiva intesa sui confini è molto peggio di nessun’intesa sui confini”. Il magnate vuole potere continuare a fare campagna sulla crisi migratoria senza offrire a Biden una via d’uscita, ignorando gli interessi dell’Unione. E anche le sorti dell’Ucraina.
C’è una richiesta di 107 miliardi di dollari di aiuti militari ferma in Congresso dall’autunno: soldi per l’Ucraina, ma anche per Israele e Taiwan. Senza quegli aiuti, la capacità di resistenza dell’Ucraina all’invasione russa s’assottiglia.
In questo contesto, si colloca la visita a Washington di Stoltenberg, che lunedì ha avuto una serie d’incontri con il segretario di Stato Antony Blinken, con il segretario alla Difesa Lloyd J. Austin III – al ritorno al lavoro dopo quasi un mese di assenza per un intervento per un cancro alla prostata -, con il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan. Ieri, Stoltenberg ha incontrato Johnson, il leader democratico alla Camera Hakeem Jeffries, il leader repubblicano al Senato Mitch McConnell e deputati e senatori democratici e repubblicani.
Oggi, il segretario generale terrà un discorso alla Heritage Foundation, poi andrà a Troy, Alabama, per visitare un impianto di missili della Lockheed Martin. Domani, sarà a Tampa, Florida, alla sede del Comando delle operazioni speciali degli Stati Uniti.
Dopo gli incontri, Stoltenberg ha ripetuto i suoi mantra: “Oggi tocca all’Ucraina; domani potrebbe essere Taiwan”; il sostegno all’Ucraina è “nell’interesse di sicurezza” di tutta l’Alleanza; “Se Putin vincesse, sarebbe una tragedia per gli ucraini, ma renderebbe anche il mondo più pericoloso e tutti noi più insicuri”; un successo della Russia “incoraggerà altri leader autoritari, la Corea del Nord, l’Iran e la Cina, a usare la forza”. Ma i repubblicani non si sono smossi: la sicurezza degli Stati Uniti – e soprattutto la vittoria di Trump alle elezioni del 5 novembre – dipendono, per loro, dal confine con il Messico, non da quelli di Donbass e Lugansk.
Ucraina: aiuti latitano, non solo Nato e Usa, anche Ue
Prima di partire per Washington, Stoltenberg aveva insistito sulla necessità che Nato e Ue facciano “di più in termini di assistenza finanziaria all’Ucraina perché se Vladimir Putin vince c’è il rischio che usi la forza nuovamente” – un discorso rivolto al premier montenegrino Milojko Spajić in visita a Bruxelles -. E su X si era rallegrato con il presidente turco Racep Tayyip Erdogan per la ratifica, da parte del Parlamento turco, dell’adesione della Svezia alla Nato. Perché essa sia effettiva, resta, però, il nodo dell’Ungheria: “Il messaggio che ho avuto da Budapest è che il Parlamento si riunirà di nuovo alla fine di febbraio e allora ci sarà il voto sull’ingresso della Svezia nella Nato”, assicura Stoltenberg.
Anche l’Ue deve ancora sbloccare i suoi 50 miliardi di euro di aiuti all’Ucraina: dovrebbe essere cosa fatto al Vertice europeo di giovedì e venerdì, superando le riserve dell’Ungheria. Kiev ne ha bisogno e ci conta, ma non riesce a liberarsi dal cancro della corruzione, che rischia di condizionare i negoziati sull’adesione. Al punto che Politico scrive: “Le bombe russe non hanno distrutto l’industria energetica ucraina. Ma la corruzione potrebbe riuscirci”.
Ucraina: Kiev e Mosca, droni e missili, polemiche incrociate
Sul fronte militare, le cronache di un conflitto che ha superato i 700 giorni propongono ogni notte bombardamenti incrociati, droni e missili. In visita a Riga Volodymyr Zelensky, presidente ucraino, dice che il conflitto “potrebbe finire quest’anno”, purché Kiev riceva adeguato sostegno. Ma Putin emana fiducia, stringe alleanze, vede l’Occidente allentare l’appoggio all’Ucraina ed essere diviso su quel che accade in Medio Oriente. L’intelligence Usa anticipa che nel 2024 l’Ucraina non saprà riconquistare i territori occupati, ma potrà al massimo consolidare le proprie posizioni e recuperare forse e mezzi entro fine anno.
Nato, Ue e intelligence Usa si tengono ai margini dello scambio di accuse tra Russia e Ucraina dopo l’abbattimento, da parte ucraina, di un aereo da trasporto militare russo, nei pressi di Belgorod: l’episodio risale al 24 gennaio, ma non è stato ancora chiarito del tutto. Secondo Mosca, a bordo dell’aereo c’erano, fra l’altro, 65 prigionieri di guerra ucraini che dovevano essere scambiati con prigionieri di guerra russi; secondo Kiev, c’erano armi.