Esteri
Ucraina: punto, escalation nella risposta all’invasione, diplomazia sterile su più fronti
Di Giampiero Gramaglia
L’attacco con i droni al cuore di Mosca – fallito – segna un’escalation nella risposta ucraina all’invasione russa. Kiev, che aveva già tentato senza esito di colpire il Cremlino a inizio maggio, organizza una nuova incursione sulla capitale russa. Ci sono edifici danneggiati, alcuni feriti, numerosi evacuati, la contraerea – sostengono le fonti locali – abbatte tutti i droni, sul cui numero c’è, però, incertezza.
Poche ore prima, Mosca aveva condotto il suo terzo attacco aereo contro la capitale ucraina in meno di 24 ore: una pioggia di ordigni mai così intensa – dicono alcuni osservatori, senza però suffragare l’affermazione con dati – dall’inizio del conflitto; ed eccezionalmente le incursioni proseguono pure durante il giorno. Nel mese di maggio, Kiev è stata attaccata almeno 18 volte, l’ultima proprio questa mattina.
Il governo russo parla di “terrorismo”. Il governo ucraino nega ogni responsabilità, ma il portavoce del presidente Volodymyr Zelensky, Mykhailo Podolyak, prevede che azioni del genere “aumenteranno”. Sabotaggi nei territori occupati, attentati e incursioni in territorio russo sono, ormai, all’ordine del giorno, sono parte della controffensiva ucraina i cui tempi – dice Zelensky – sono stati definiti, ma non vengono annunciati.
Le forze ucraine non appaiono scalfite dalle ondate di attacchi russi. Le forze russe, invece, restano dilaniate da polemiche interne, tra il capo dei mercenari del Gruppo Wagner, Evgeny Prigozhin, e l’apparato militare regolare. I Wagner, che hanno subito pesanti perdite nella battaglia di Bakhmut, stanno cercando nuove reclute su Facebook e su Twitter. E, da Kherson, giungono nuove denunce di crimini di guerra nei confronti di quattro soldati russi, che avrebbero organizzato finte esecuzioni e avrebbero trasformato i centri di detenzione in luoghi di tortura.
Il Cremlino afferma che Kiev e Nato vogliono “terrorizzare i russi”; e lamenta che le assicurazioni dell’Occidente che “l’Ucraina non avrebbe colpito in profondità sul territorio russo si siano rivelate completamente ipocrite”: Kiev ha di molto incrementato negli ultimi giorni gli attacchi in Russia, basi logistiche, depositi di munizioni, nodi di trasporti e infrastrutture.
Washington ribadisce di non essere favorevole ad attacchi ucraini sul territorio russo. Ma gli Usa appaiono, da qualche settimana, poco concentrati sull’Ucraina. Da Bruxelles e da Washington, continuano però ad arrivare aiuti a Kiev, militari e finanziari. Zelensky chiede aerei da guerra: se non gli F-16, difficili da ottenere, gli Eurofighter. Se ne parla, ma non c’è ancora nessuna decisione.
Balcani: fiammata di tensione frutto del conflitto
Attacchi sulle città a parte, il fronte è fermo. Ma il protrarsi del conflitto russo – ucraino alimenta tensioni altrove in Europa e infiamma di nuovo i Balcani: nel Kosovo, decine di soldati della Kfor, la forza d’interposizione della Nato, fra cui 14 militari italiani, sono rimasti feriti lunedì 29 mentre cercavano d’arginare una sommossa serba contro elezioni amministrative contestate (e inique). C’è il rischio che l’equazione occidentale Serbia = Russia = torto induca a ripetere errori del passato.
I ministri degli Esteri della Nato, riuniti a Oslo, devono, dunque, occuparsi anche di Kosovo, oltre che di Ucraina: l’Alleanza manda rinforzi – 700 uomini – nel Nord del Paese per riportare la calma. “Valuteremo – dice il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani – cosa si può fare per rafforzare la sicurezza dei militari sul campo, ma è confermato che la missione rimarrà per garantire la pace e la stabilità nei Balcani”. L’Ue invita alla de-escalation: Kosovo e Serbia sono entrambi candidati all’adesione, difficile da immaginare in questo contesto – senza contare il fatto che il Kosovo non è riconosciuto da tutti i 27 -.
Diplomazia: Vaticano e Cina in azione, in attesa della Turchia
In attesa che, dopo il ballottaggio presidenziale vinto domenica, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan torni a lavorare a una mediazione tra Russia e Ucraina, Podolyak insiste sul fatto che Kiev ha un suo ‘piano di pace’ che comporta il ritiro dei russi e il ripristino dei confini ‘pre – invasione’, la creazione di una zona smilitarizzata profonda 100/120 km in Russia dalle frontiere con l’Ucraina; e il processo per crimini di guerra al presidente russo Vladimir Putin.
Dopo avere bocciato la mediazione papale, Zelensky mette fuori gioco anche quella cinese. Non si arrende, però, la Santa Sede: “Favorire un dialogo tra Kiev e Mosca che porti alla pace? Io ci credo e prego”, dice il presidente della Cei, arcivescovo di Bologna, Matteo Zuppi, cui Papa Francesco affida la delicata missione. “Quello che il Pontefice chiede a me e a tutti quanti, nella sua passione per la pace e nel non accettare che ci siano le guerre, è che di fronte agli orrori della guerra, che toglie tutti i diritti e calpesta la dignità, si tutelino soprattutto i più piccoli”.
La sua missione, quindi, è un invito “a non arrendersi”. Il Papa stesso alza un velo sull’incontro, avvenuto il 13 maggio, con Zelensky in Vaticano: “Gli ucraini non sognano tanto le mediazioni, perché il blocco ucraino è davvero molto forte. Tutta l’Europa, gli Stati Uniti… In altre parole, hanno una forza molto grande”. Dal Vaticano, Zelensky si aspetta che interceda solo per il rientro dei bambini portati via dai russi.
C’è un’apertura della Russia all’azione del Papa – il che, però, rafforza le riserve dell’Ucraina -. Mosca prende atto “del sincero desiderio della Santa Sede di promuovere il processo di pace”. Il Segretario della Santa Sede Pietro Parolin dice: “Il cardinale Zuppi è interlocutore di Putin e Zelensky nel processo di pace”.
L’inviato cinese per una soluzione negoziata del conflitto ucraino Li Hui vede a Mosca il ministro degli Esteri russo Serguiei Lavrov. Secondo il Wall Street Journal, le cui illazioni sono state però smentite da Pechino, la Cina punta su due temi: che Mosca possa mantenere i territori annessi – Donetsk e Lugansk, e le regioni di Zaporizhzhia e Kherson –, senza escludere una nuova verifica della volontà popolare, e che l’Europa lavori per chiedere un cessate-il-fuoco immediato. La prima condizione appare inaccettabile agli ucraini; la seconda richiede un cambio di passo all’Ue.
Intanto, il Sudafrica concede a Putin l’immunità diplomatica, così che possa partecipare, ad agosto, al vertice dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e appunto Sudafrica): un modo per superare l’imbarazzo del mandato di arresto di Putin emesso a marzo dalla Corte penale internazionale.