Esteri
Ucraina, il diario delle atrocità, la testimonianza della vice primo ministro Olga Stefanishyna
Di Flavia Iannilli
L’indifferenza è il rischio in cui la comunità internazionale non deve cadere. Raccontare determinate atrocità nel 21esimo secolo non è facile. Da una parte siamo abituati a dirci che certe cose appartengono al passato, dall’altra preferiamo girare lo sguardo verso orizzonti diversi e relegare la violazione dei diritti umani a paesi definiti talmente tanto distanti dall’Europa che vale la pena pensare che non esistano affatto.
Ad oggi il nemico alle porte e i social a portata di mano non consentono la stessa indifferenza applicata solitamente. Ad esserne particolarmente cosciente è Olga Stefanishyna, vice Primo Ministro dell’Ucraina con delega all’integrazione europea ed euro-atlantica, ascoltata la settimana scorsa in Commissione Diritti umani, Femminicidio e Antidiscriminazioni.
La sua posizione ed il fatto di non avere scelta le impongono di riportare ad alta voce le testimonianze, per chi ha avuto il coraggio di raccontarle. Sì, perché ci vuole coraggio a raccontare, ci vuole coraggio a parlare, ci vuole coraggio ad ascoltare e non stoppare l’ascolto. In cuor proprio ognuno può solo immaginare dove può spingersi la guerra, la violenza, l’irrazionalità. Ma avere un immaginario personale è diverso dall’ascoltare quanto è realmente accaduto ed è difficile accettarlo, perché si sa che certe situazioni non conoscono confini né tempo.
Torture, fosse comuni, violenze di massa, stupri commessi davanti a bambini o sui bambini stessi di fronte ai genitori. Alcune sorti non hanno fatto distinzioni tra uomini o donne, tra anziani o giovani, le atrocità non conoscono razzismo. Il reale problema che emerge dalle parole di Olga Stefanishyna è che il volto della guerra non porta solo il viso di Putin, ma di ogni singolo soldato che commette violenza o crimini di guerra. Ha il volto della deliberata politica russa decisa a tavolino dalla più alta sfera della politica interna.
La città di Mariupol non esiste più e per sapere questo non serve un’audizione. Ma Olga Stefanishyna, in qualità di membro della squadra di negoziato sui corridoi umanitari si sente in diritto di denunciare la totale sconsideratezza, da parte delle truppe russe, verso i civili.
«I civili vengono presi in ostaggio, deportati in Russia senza poter avere accesso alla Croce rossa internazionale e senza sapere dove li stiano portando, tutt’ora non sappiamo dove sono» dichiara Olga Stefanishyna. Un passaggio che sembra banale ad un primo esame, ma poter accedere alla Croce rossa significa avere la possibilità di dare avvio alle indagini che servono a certificare quanto accade.
E da una prima stima, a Bucha, quasi il 90% delle vittime riporta una ferita da arma da fuoco alla tempia. Risultato delle indagini? Giustiziati. Su 700 corpi esaminati dalle forze d’ordine ucraine 400 provengono da Bucha, senza contare i civili scomparsi nel nulla. Da questo procedimento sono stati passati in rassegna 36 crimini di guerra differenti e, stando alle parole di Olga Stefanishyna, «La guerra russa non si fermerà, nonostante le decisioni dell’Ue e della NATO questa operazione continuerà».
Da questo deriva il grido di aiuto nello spingere il mondo ad una risposta immediata. All’incessante richiesta dell’Ucraina si aggiunge la guerra dei social, dei mass media, dell’informazione. Una spina nel fianco che non si opera facilmente. Da una parte, la nostra, corre velocemente, dall’altra viene bloccata dalle autorità russe ed il messaggio che si cerca di far passare è chiaro e univoco: «Gli ucraini non possono più essere un popolo distinto, ma devono far parte del popolo russo». Parole che fanno parte di un programma esplicitamente pubblicato dalla stampa ufficiale russa in cui si parla di eliminazione dell’Ucraina.
Parole che ricordano una parte di storia europea, nota e importante, un bagaglio a mano che non si può imbarcare. La senatrice Segre incalza: «Bisogna temere l’indifferenza. Le parole spese per le vittime di questa guerra devono scuotere le nostre coscienze. La capacità di indignarsi è la cifra della nostra umanità».
Questo accade nel 21esimo secolo alle nostre porte. Una ragazza di 16 anni stuprata da cinque soldati russi di fronte alla sua famiglia, che rimane incinta, non merita l’indifferenza di nessuno. E come non la merita lei, non la merita nessuna vittima, in nessuna parte del mondo, in alcuno spaccato storico, tantomeno nel presente. «Dobbiamo proteggere la nostra umanità conservando la capacità di indignarsi di fronte a violenze e soprusi, sapendo che non dobbiamo e non possiamo rimanere indifferenti» conclude Liliana Segre.