Il referendum indetto da Putin per considerare annesse le zone del Donbass è un modo per segnare il campo. Giustificando eventuali azioni di maggiore impatto. In realtà segnala una situazione già configurata di fatto, che comunque non è stata formalmente riconosciuta dagli avversari. Se Putin ha perso la guerra, lo si può stabilire dalle premesse: in tal caso la volontà di controllare tutta l’Ucraina con un cambio di governo arrivando anche a uccidere Zelensky. Obiettivo mai dichiarato esplicitamente, ma confermato anche da fonti non ufficiali direttamente coinvolte sul campo. Il piano B era quello di impossessarsi solo delle zone formalmente annesse: le Repubbliche di Lugansk, Donetsk, più le regioni di Zaporizzja e Cherson. Venduto alla popolazione come necessario a liberare i fratelli ucraini russofoni e i cittadini russi dalla presenza di nuclei paramilitari neo-nazisti, tra cui Azov e Pravy Sektor, la cui presenza, al di là della effettiva centralità nelle dinamiche politiche, comunque non è mai stata smentita dai maggiori esperti. Il responso permetterebbe anche di reclutare i cittadini annessi.
La battaglia sul campo
Insomma se la grande Russia non è riuscita a prendere l’Ucraina, non è neppure vero che le forze di Kiev l’abbiano ricacciata. Nonostante le ultime vittorie e la riconquista di Lyman (nella auto-proclamata Repubblica di Donetsk) e di quattro città nella regione di Cherson. I tratti di cui parliamo sono strategici per i russi perché permetterebbero uno sbocco sul mare fino alla Crimea già annessa, permettendo di avere all’orizzonte Odessa. Fino ad oggi la resistenza degli ucraini, che ha permesso di mantenere sostanzialmente al sicuro la parte occidentale del Paese, è stata resa possibile dai corposi aiuti degli alleati europei e americani. Tuttavia la disponibilità di uomini di Mosca, una volta addestrati e pronti, può logorare lentamente le truppe ucraine.
L’avanzata russa però, lenta e più macchinosa del previsto, con un numero di perdite impressionante, fa ritenere alle intelligence che l’uso dell’arma atomica da parte di Putin sia possibile. Anche se non probabile. Già solo questo rischio dovrebbe spingere a un negoziato che a giudicare da cosa vediamo non sembra di là da venire. Ma che in realtà potrebbe star avendo i suoi germogli sotto banco. In contatti di cui non si hanno riscontri aperti. Dicono infatti gli studiosi, che secondo la dottrina russa, se un territorio è facente parte della federazione, l’uso dell’arma nucleare è giustificato. Questo comunque provocherebbe l’immediata risposta degli Stati Uniti, i quali lo interpreterebbero come un evento troppo pericoloso per la stabilità globale.
Nucleare, le basi italiane coinvolte
L’Italia anche avrebbe un ruolo. Siccome parte dell’arsenale nucleare Usa è tenuto anche nelle basi Nato di Aviano e Ghedi. Un motivo in più per la nostra politica di cercare la diplomazia. Ma qui entriamo in un terreno complesso. «Dovrebbero essere circa una sessantina le bombe B-61 presenti presso le due basi, pronte per essere utilizzate dagli F-16 dell’Usaf o dai Tornado italiani», ha detto Pietro Batacchi a Sky, direttore della Rivista Italiana Difesa. Gli ordigni sono distribuiti sul territorio europeo nell’ambito del programma di deterrenza nucleare. La deterrenza dunque. Palesare il possesso di determinate armi per non usarle ed evitare che altri le usino contro di te. Fino a quando non si arriva a un punto di rottura. Durante la guerra fredda non ci si è mai arrivati. Oggi la multipolarità del quadro politico e la varietà delle posizioni in gioco, anche all’interno del blocco europeo, paiono favorire quello stallo, che però non va dato per scontato.