Esteri
Ucraina: genocidio e violazioni diritti umani, fronti giudiziari in moto all’Aja e a Ginevra
Di Giampiero Gramaglia
Se il fronte è quasi in stallo, i procedimenti giudiziari e le inchieste internazionali contro la Russia per l’invasione dell’Ucraina, i crimini di guerra, le deportazioni di bambini vanno avanti, ma sono ancora lontani da punti d’approdo. Nell’ultima settimana di settembre, ci sono stati sviluppi davanti alla Corte internazionale di Giustizia dell’Aja, che ha ripreso le udienze nella causa per genocidio intentata da Kiev contro Mosca, mentre a Ginevra il team di esperti incaricato d’Onu di investigare sui crimini di guerra ha fatto rapporto al Consiglio per i diritti umani; ci sono le prove di torture e violenze sessuali sistematiche e brutali da parte di soldati russi sulla popolazione ucraina. Intanto, prosegue l’istruttoria, sempre all’Aja, della causa per la deportazione dei bambini che ha già portato a emettere, in marzo, un mandato di cattura internazionale contro il presidente russo Vladimir Putin e contro Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria ai diritti dei bambini presso il Cremlino – il numero dei minori deportato è stimato a 20 mila -.
Sono alcune delle inchieste innescate dall’invasione dell’Ucraina. Mentre al fronte le notizie salienti sono qualche progresso nella controffensiva ucraina e il ritorno, nell’area di Bakhmut, di mercenari della Wagner che, dopo la morte del loro capo Evgheny Prigozhin, hanno ridefinito il loro ingaggio con l’esercito russo.
Ucraina: gli sviluppi giudiziari, udienze e audizioni all’Aja e a Ginevra
Dal 18 al 27 settembre ci sono state all’Aja udienze pubbliche sulle obiezioni preliminari di Mosca alle accuse di genocidio di Kiev. I legali della Russia hanno parlato il 18 e 25 settembre, quelli dell’Ucraina il 19 e 27.
La controversia riguarda l’interpretazione, l’applicazione e il rispetto della Convenzione del 1948 sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio. Nella causa intentata contro la Russia, l’Ucraina chiede che il Cremlino sia ritenuto responsabile di aver distorto il concetto di ‘genocidio’, invocandolo nei confronti dei russofoni del Donbass a giustificazione dell’invasione.
L’Ucraina aveva presentato il ricorso il 26 febbraio 2022, due giorni dopo l’inizio dell’invasione, respingendo l’accusa della Russia. Che, dal canto suo, mantiene l’accusa di genocidio, perpetrato dall’Ucraina nel Donbass dal 2014.
Alle udienze, c’erano i 32 Stati che hanno chiesto di intervenire nella causa e il cui coinvolgimento era stato approvato dalla Corte il 5 giugno.
A Ginevra, invece, il team investigativo della Nazioni Unite ha riferito che gli occupanti russi hanno torturato gli ucraini in modo così brutale che alcuni ne sono morti; ed hanno talora costretto le famiglie ad assistere allo stupro delle donne. Secondo quanto riferisce la Reuters, Erik Mose, presidente della Commissione d’inchiesta sull’Ucraina, ha dichiarato al Consiglio per i diritti umani riunito a Ginevra che il suo team ha “raccolto ulteriori prove che indicano che il ricorso alla tortura da parte delle forze armate russe nelle aree sotto il loro controllo è stato diffuso e sistematico”.
Mose ha aggiunto: “I soldati russi hanno violentato e commesso violenza sessuale contro donne d’età compresa tra i 19 e gli 83 anni”, nelle zone occupate della provincia di Kherson. La Russia nega di avere commesso atrocità o di avere preso di mira i civili in Ucraina. Mose ha però affermato che i tentativi della Commissione di dialogare con Mosca sono stati senza esito: nessun esponente russo ha partecipato alla riunione del Consiglio, dove avrebbe potuto prendere la parola.
L’indagine dell’Onu sulle violazioni dei diritti umani in Ucraina dopo l’invasione della Russia rileva che alcune espressioni retoriche diffuse dai media russi possono costituire incitamento al genocidio: per Mose, “le accuse di genocidio” destano preoccupazione, perché la retorica dei media statali russi e di altri media “può costituire un incitamento a tale crimine”. L’inchiesta continua.
Ucraina: gli sviluppi militari, i mercenari della Wagner per fermare la controffensiva
Mentre Mosca avvia la circoscrizione d’autunno, le cui reclute – assicura il Ministero della Difesa – non saranno inviate al fronte, Kiev conferma il ritorno in prima linea di un contingente di mercenari della Wagner, circa 500, nella zona di Bakhmut, proprio dove la controffensiva ucraina starebbe ottenendo qualche successo.
Dopo la scomparsa del loro leader, deceduto in un misterioso incidente aereo il 23 agosto, non era chiaro su che fine avrebbero fatto i mercenari, le loro armi e le loro dotazioni. Una parte di loro avrebbe ora rinegoziato con il Ministero della Difesa russo il proprio ingaggio.
Intanto, il Pentagono fa filtrare sui media Usa Usa la convinzione che la controffensiva ucraina possa ancora raggiungere i suoi obiettivi: un’idea ribadita pure dal segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, in visita a Kiev.
Persiste il giallo sulla sorte del comandante della flotta russa del Mar Nero, ucciso, per gli ucraini, da un missile che lunedì 25 ha colpito il quartier generale della marina russa in Crimea e fatto strage d’ufficiali, ben 34. Ma martedì Mosca ha mostrato immagini d’un incontro del ministro della Difesa Sergej Shoigu con alti ufficiali, fra cui, collegato da remoto, il vice-ammiraglio Viktor Sokolov, che veniva inquadrato senza però intervenire; e, il giorno dopo, ha diffuso altre immagini di Sokolov in azione, però non databili con certezza.
Né le affermazioni ucraine, secondo cui l’attacco delle Forze Speciali con un missile Storm Shadow su Sebastopoli avrebbe anche fatto oltre cento feriti; né la veridicità delle immagini russe possono essere verificate. Ma è vero che Mosca subisce in Crimea attacchi letali – c’è pure stata un’azione senza precedenti di disturbo delle reti informatiche – e replica infliggendo “danni significativi” al porto di Odessa. E ci sono raid con droni e attacchi con missili reciproci su diverse altre località.
La Russia insiste a colpire le infrastrutture per l’export di cereali ucraine, mentre il litigio sul grano tra Polonia e Ucraina sembra indebolire il sostegno di Varsavia alla causa di Kiev, di cui è stata fin qui la maggiore alleata. Nel contempo, la Polonia prepara ‘rotte’ alternative ai cereali ucraini, così che possano raggiungere le loro destinazioni finali (e non siano venduti sul mercato europeo); ma ripete che non darà a Kiev armi nuove, ma solo vecchie, perché vuole tenere per sé quelle moderne.
L’Istituto per lo studio della guerra (Isw), un ‘think tank’ Usa, scrive che Putin ha ordinato a Shoigu di fermare la controffensiva di Kiev entro l’inizio di ottobre. Ma agli ucraini sono stati appena consegnati i primi 31 carri armati Usa Abrams e altri sono in arrivo: secondo fonti ucraine, non saranno schierati in prima linea, ma saranno piuttosto usati “per operazioni molto specifiche e ben congegnate”, per evitare che siano subito distrutti, come è successo ai primi Leopard tedeschi usati nella controffensiva a giugno.
Dopo l’intensa fase di contatti delle scorse settimane, multilaterale e bilaterale, l’attività diplomatica pare in pausa. A complicare il quadro, c’è stato il riacutizzarsi delle trentennali tensioni fra Armenia e Azerbaigian – due Paesi dell’ex Urss – sul Nagorno-Karabakh: Erevan denuncia operazioni azere di “pulizia etnica”, l’Ue con Francia e Germania cerca di mediare e di raffreddare lo scontro, il cui sussulto ha già fatto centinaia di vittime e quasi centomila profughi.
I partner occidentali chiedono che l’Ucraina rispetti le scadenze elettorali, nonostante il conflitto: l’anno prossimo devono tenersi le presidenziali. L’Ue subordina le prospettive d’adesione di Kiev all’attuazione delle riforme anti-corruzione e per lo stato di diritto.
Il Cremlino prevede un massiccio aumento della spesa per la difesa nel prossimo anno, dell’ordine del 70%: secondo Bloomberg News, la spesa militare costituirà il 6% del Pil russo nel 2024, rispetto al 3,9% nel 2023 e al 2,7% nel 2021. E il ministro degli Esteri russo Serguiei Lavrov rinnova l’accusa all’Occidente di “essere in guerra con la Russia” per le forniture di armi all’Ucraina.
Uno scoop del Guardian alimenta dubbi sull’efficacia delle sanzioni: un documento di 47 pagine prodotto da Kiev indica che i droni iraniani utilizzati dall’esercito russo contro le città ucraine contengono almeno 50 componenti tecnologiche di fabbricazione europea e statunitense, prodotte da aziende con sede in Usa, Canada, Germania, Polonia, Olanda, Svizzera e Giappone. Tutti Paesi che applicano sanzioni all’export verso la Russia, però facilmente aggirabili con triangolazioni.