Esteri
Ucraina: spiragli di negoziato, davanti al “peggiore inverno della nostra vita”
Di Giampiero Gramaglia
Dall’invasione dell’Ucraina, nove mesi or sono, e dall’inizio della guerra, c’è, per la prima volta, forse, uno spiraglio di negoziato, una speranza di pace, nonostante che le cronache dal fronte continuino a riferire combattimenti, bombardamenti, vittime. Sul terreno, l’Ucraina segna punti, libera Kherson. Dal cielo, la Russia prosegue da sei settimane attacchi senza precedenti, con raid, droni, missili: colpisce soprattutto infrastrutture energetiche, in decine di città; ieri, ha bombardato un quartiere densamente popolato di Kherson, facendo morti e feriti fra la popolazione civile.
Nei prossimi mesi, comandati dal Generale Inverno, l’Ucraina è esposta a una crisi umanitaria: senza luce, gas, acqua, riscaldamento, e in difficoltà a riparare in breve tempo le infrastrutture energetiche danneggiate, milioni di persone dovranno spostarsi e cercare rifugio altrove, sia pure temporaneamente. E le due parti continuano ad accusarsi a vicenda di crimini di guerra, di delitti contro l’umanità e di atti di terrorismo. Dopo il sabotaggio dei gasdotti Nord Stream nel Baltico, Mosca sostiene di avere sventato un altro sabotaggio di matrice ucraina contro un gasdotto che, nella regione di Volgograd, alimenta il flusso d’energia verso la Turchia e l’Europa.
Se questo è il quadro, dove stanno lo spiraglio di negoziato e la speranza di pace? Sono giorni che, scrive Euractiv, citando fonti della NATO, gli Stati Uniti tengono una linea moderata nei confronti della Russia. Il Cremlino ne ha persino elogiato la prudenza a metà mese, quando frammenti d’ordigni della contraerea ucraina sono caduti in Polonia, uccidendo due persone. L’incidente, che Kiev attribuiva ai russi, poteva preludere, se mal gestito, a un allargamento del conflitto alla NATO.
Proprio il cambio d’atteggiamento di Washington è la chiave di volta del momento. L’Ucraina è galvanizzata, ma ha davanti a sé “il peggiore inverno della nostra vita”. La Russia è in difficoltà; ripiega e ha bisogno di tempo per riassestare le proprie linee, a Ovest del Dniepr. Gli Stati Uniti dell’Amministrazione Biden hanno sei / nove mesi per cercare una soluzione diplomatica, di qui all’estate, prima di essere di nuovo presi da una estenuante e paralizzante competizione elettorale per Usa 2024.
Passato il voto di midterm, Biden può cercare di attribuirsi il merito di fare cessare la guerra, anche solo con una tregua e l’apertura di una trattativa, senza trovare ostacoli nei repubblicani, la cui linea è “non più assegni in bianco all’Ucraina”. Quando comincerà la campagna elettorale per Usa 2024, la finestra d’opportunità si chiuderà: concessioni che possano essere presentati come cedimenti saranno impossibili.
In questo momento, il controcanto viene, però, dall’Europa, che pure è più esposta ai contraccolpi del conflitto, più spaventata dalla prospettiva di una lunga guerra e più incline al negoziato, ma che non riesce a essere incisiva con Kiev e con Mosca. Anzi, il cancelliere tedesco Olaf Scholz avverte che bisogna «essere pronti a un’escalation», per «gli sviluppi del conflitto in Ucraina e i visibili e crescenti fallimenti della Russia». E né Mosca né Kiev allentano la propaganda e le manifestazioni d’oltranzismo: al Financial Times il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ripete che la guerra finirà solo quando l’Ucraina avrà recuperato la sua integrità territoriale, compresa la Crimea
Il partito del negoziato ha un unico instancabile promotore: Papa Francesco, che ancora martedì, rivolgendosi al World Jewish Congress, diceva: «In tante regioni del mondo la pace è minacciata. Riconosciamo insieme che la guerra, ogni guerra, è sempre, comunque. e dovunque, una sconfitta per tutta l’umanità! Penso a quella in Ucraina: una guerra sacrilega che minaccia ebrei e cristiani allo stesso modo privandoli dei loro affetti, delle loro case, dei loro beni, della loro stessa vita! Soltanto nella volontà seria di avvicinarsi gli uni agli altri e nel dialogo fraterno è possibile preparare il terreno della pace. Come ebrei e cristiani cerchiamo di fare tutto ciò che è umanamente possibile per arrestare la guerra e aprire vie di pace».
Parlando a New York al Council on Foreign Relations, un prestigioso think tank, Petro Poroshenko, ex presidente ucraino, assicura: «Non c’è nessuno al Mondo che voglia la pace più degli ucraini»; ma aggiunge che «i nostri migliori negoziatori sono le nostre forze armate» e sostiene che, per fare finire il conflitto, servono tre cose: «Più armi – per la difesa aerea, specifica -, più sanzioni e l’ingresso dell’Ucraina nella Nato». Che, a leggerle in filigrana, paiono tre cose per fare la guerra, non la pace.
L’ultima strategia della Russia, in atto da oltre un mese, consiste nel distruggere le infrastrutture dell’Ucraina, specie quelle energetiche, privando la popolazione di acqua, luce e riscaldamento, nella speranza di logorare la resistenza degli ucraini (finora compatti). Ma pure Mosca ha problemi: per Poroshenko, il presidente russo Vladimir Putin «pagherà il prezzo della mobilitazione forzata e delle sanzioni», perché la guerra «pesa ormai su ogni famiglia».
Le domande a Poroshenko dei giornalisti statunitensi tradiscono preoccupazioni per la democrazia, la corruzione, la libertà d’informazione in Ucraina. Tutte ansie legittime e giustificate, ma sarà bene occuparsene dopo avere messo le armi a tacere e avere alleviato le sofferenze delle popolazioni.