Esteri
Ucraina: da Parigi a Riad, la ricerca di una pace non imposta a ucraini ed europei
Di Giampiero Gramaglia
Nell’ordito della diplomazia internazionale, un filo robusto collega il consulto europeo, ieri, a Parigi e l’incontro oggi, a Riad, fra i capi della diplomazia di Usa e Russia, Marco Rubio e Sergej Lavrov: la ricerca di una pace in Ucraina, che gli ucraini chiedono non sia loro imposta e che gli europei vorrebbero ancora fosse “giusta”, mentre la Washington di Trump ha rinunciato a questo attributo.
La riunione di ieri a Parigi è stata interlocutoria; né era possibile che fosse diversamente. È però importante che ci sia stata perché è importante essere consapevoli del fatto che, se l’Europa vuole rafforzare la capacità di difesa comune, non può pensare di procedere a 27, ma con quanti dei 27 vogliono starci. Come è successo per la libertà di circolazione delle persone e come sta ancora succedendo per la moneta unica.
A Parigi, c’erano i leader di sette Paesi Ue (Francia, Germania, Italia, Spagna, Polonia, Olanda e Danimarca) e del Regno Unito, il segretario generale della Nato Mark Rutte e i presidenti della Commissione e del Consiglio europei Ursula von der Leyen e Antonio Costa.
L’incontro, di quasi quattro ore, s’è concluso senza decisioni, specie sulla possibilità di schierare truppe europee in Ucraina lungo o a ridosso di una eventuale linea di cessate-il-fuoco: un’ipotesi specialmente sostenuta dalla Francia, ma su cui frenano la Germania e pure l’Italia e la Spagna.
È invece emersa una condivisione sulla necessità di spendere di più e meglio per la difesa, anche forzando le regole dell’Ue in materia di bilancio. Per il premier polacco Donald Tusk, le posizioni dei partecipanti alla riunione sono state “simili”.
Le indicazioni scaturite da Parigi non avranno un peso determinante nell’incontro a Riad tra Rubio e Lavrov, il primo da oltre tre anni a questo livello tra Usa e Russia – forse, preludio a un vertice, sempre a Riad, tra i presidenti Donald Trump e Vladimir Putin. Domani, sarà nella capitale saudita anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, ma l’agenda dei suoi contatti non è chiara. Rubio, da domenica scorsa è impegnato nella prima missione in Medio Oriente del suo mandato.
Ucraina: Macron parla con Putin, poi con i suoi ospiti
Prima del consulto all’Eliseo, il presidente francese Emmanuel Macron ha avuto una telefonata, definita dalla Casa Bianca “amichevole”, con il presidente Trump: circa mezz’ora, per discutere “della guerra in Ucraina, dell’incontro tra europei e dei colloqui in Arabia Saudita fra americani e russi”. Per il Washington Post, “gli Usa, che una volta univano l’Europa, sotto il loro ‘ombrello’, ora la dividono”.
Alla vigilia del consulto, l’Ucraina non aveva perfezionato la cessione agli Stati Uniti di terre rare per 500 miliardi di dollari, giudicando l’accordo senza contropartite, troppo sbilanciato.
Tullio Giannotti, sperimentato corrispondente dell’ANSA da Parigi, scrive che “l’Europa si presenta ancora una volta spaccata all’appuntamento con la storia”: nel vertice di crisi convocato da Macron. Non trova “una linea comune”, ma formula solo “principi generali”, tipo la necessità di condividere le scelte con gli Stati Uniti – ammesso che Washington voglia farlo -, l’esigenza d’una “pace giusta” e di tutelare l’Ucraina.
L’ultima ad arrivare è stata la premier italiana Giorgia Meloni. Il primo ad andarsene il cancelliere tedesco Olaf Scholz, atteso in patria dagli ultimi sussulti della campagna verso le elezioni politiche di domenica prossima. Scholz ha ribadito la necessità che Europa e America agiscano “sempre insieme” per la sicurezza comune, ha insistito sull’aumento delle spese per la sicurezza, accettando di andare oltre le regole di bilancio di solito invalicabili per la Germania; e ha giudicato “del tutto prematuro” parlare dell’invio di truppe in Ucraina, perché “le trattative di pace non ci sono ancora state, gli ucraini non hanno ancora detto di sì e, anzi, non si sono nemmeno seduti al tavolo”.
Anche Meloni non ha nascosto le sue perplessità, a partire dal formato ristretto della riunione, che ha escluso ad esempio gli Stati baltici e nordici, i più esposti al rischio di estensione del conflitto.
Non si possono apparecchiare caminetti “anti-Trump”, né avere una linea in contrasto con gli Usa, sarebbe stato il senso delle valutazioni della premier: l’opzione di inviare truppe europee in Ucraina sarebbe “la più complessa e la meno efficace”, soprattutto senza adeguate “garanzie di sicurezza” per Kiev. Meloni avrebbe quindi esortato a “esplorare altre strade” e soprattutto a coinvolgere e farsi coinvolgere da Washington, perché “è nel contesto euro-atlantico che si fonda la sicurezza comune”.
Il polacco Tusk, ha ammesso che i rapporti fra Europa e America entrano ormai in “una nuova fase” e ha riferito che “tutti i partecipanti” alla riunione ne hanno convenuto. Ma, ha aggiunto, si rendono conto “unanimemente” che “un aumento delle spese di difesa è assolutamente necessario“. Come Madrid, anche Varsavia però è risultata quanto meno riluttante all’ipotesi di stivali sul terreno, opzione alla quale ha invece aperto Keir Starmer, premier britannico che la settimana prossima andrà a Washington da Trump. Come lui la pensa anche la Svezia, assente però alla riunione.
Macron, dopo avere salutato i suoi ospiti, non ha fatto dichiarazioni: segno che le sue proposte sono rimaste inascoltate. Per trovare un’unità di intenti europea, il presidente francese aveva abbozzato l’ipotesi della creazione di una “forza di rassicurazione” da posizionare “al di qua” della futura linea di cessate-il-fuoco in Ucraina. Per von der Leyen, “l’Ucraina merita la pace attraverso una posizione di forza: una pace rispettosa delle sue indipendenza, sovranità e integrità territoriale, con garanzie di sicurezza forti. L’Europa si fa carico di tutta la sua parte di assistenza militare all’Ucraina”.
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