Non lasciatevi ingannare dalla pronuncia all’italiana che induce al plurale. Non ci sono due Türkiye a confronto nel ballottaggio delle elezioni presidenziali di domenica prossima e quella che vincerà darà la direzione al paese. La Türkiye, a prescindere dal risultato finale, non è un paese così spaccato a metà come diversi media la stanno dipingendo in queste due settimane. E continuerà nel rivestire il suo ruolo geopolitico di Paese ponte tra Europa, Africa e Asia, con le idee molto chiare sulle crisi internazionali in corso, a cominciare da quella Ucraina. In altre parole la politica estera di Ankara non sembra in discussione.
Ucraina: proroga dell’accordo sul grano
L’accreditamento della Türkiye quale mediatore del conflitto in Ucraina è evidente. Ankara al momento ha portato risultati più concreti di quanto non siano riusciti a fare né l’Unione europea, né la NATO, né la Cina e neanche Papa Francesco. Stiamo parlando della proroga di appena una settimana fa (per altri due mesi) dell’accordo con Mosca e Kiev che consente agli Ucraini di esportare grano verso il Mar Nero, firmato lo scorso 22 luglio. Grazie a questo accordo ben 953 navi con oltre 30 milioni di tonnellate di grano a bordo sono transitate nel corridoio del Mar Nero negli ultimi 10 mesi. Grazie alla proroga l’accordo supererà senza dubbio l’anno di validità. E per una vera e propria guerra di stallo come quella che si sta combattendo in Ucraina è un risultato del tutto inatteso.
Ballottaggio presidenziali: chi corre al secondo turno
Il presidente uscente Recep Tayyip Erdogan non ha vinto al primo turno per solamente lo 0,5% dei consensi. Il composito schieramento che gli si contrappone e ha raccolto il 45% è guidato da Kemal Kilicdaroglu: accoglie 6 partiti, molto diversi tra loro. Tra questi anche i curdi di Hdp, che si sono presentati come Sinistra Verde. Il vantaggio di Erdogan dopo il primo turno è di 2,5 milioni di voti, su un totale di votanti di 64 milioni. Il ballottaggio si è reso necessario per i 2,8 milioni di voti raccolti da Sinan Ogan, ultranazionalista di destra che ha corso da terzo runner. Ogan ha scelto di dare ai propri elettori indicazione di voto a favore di Erdogan. Chi vincerà domenica governerà per i prossimi 5 anni.
Il vantaggio sulla carta di Erdogan
Sono diversi i fattori che lasciano pensare che il presidente Erdogan possa essere in vantaggio alla vigilia del ballottaggio di domenica. Anzitutto la compattezza della coalizione che il presidente uscente guida, rispetto all’eterogeneità di quella avversaria. Poi senza dubbio i 2,5 milioni di voti in più ottenuti rispetto alla coalizione Kilicdaroglu al primo turno. Anche l’endorsement di Ogan che gli porta in dote una buona fetta dei 2,8 milioni di voti ottenuti avrà certamente il suo peso. Non solo. Il partito Zafer (Vittoria) dello xenofobo nazionalista Umit Ozdag schierato con Ogan (1,2 milioni di voti) ha scelto di appoggiare Kilicdaroglu. E questo ha suscitato più di qualche mal di pancia dell’elettorato progressista che rappresenta lo zoccolo duro della coalizione Kilicdaroglu. Ultimo fattore di vantaggio sulla carta per Erdogan la schiacciante maggioranza ottenuta nelle zone colpite dal recente disastroso sisma del 6 febbraio. Con la popolazione locale presumibilmente molto motivata a tornare alle urne in ottica ricostruzione.