Non una visita ufficiale, bensì un “innocuo transito”. Così è stata definita la tappa negli Stati Uniti della presidente di Taiwan Tsai Ing-wen, occasione con cui ha incontrato lo speaker della Camera Kevin McCarthy a Los Angeles.
Ancora più gradita l’occasione colta da Pechino per riaccendere la miccia delle tensioni internazionali che in maniera altalenante circumnavigano Taiwan. Nonostante il colloquio tra la leader taiwanese e il terzo più alto funzionario governativo americano non fosse una visita ufficiale per la Cina significa molto di più.
La reazione non si è fatta attendere: la Repubblica popolare cinese ha lanciato una manovra aereo-navale attorno all’isola tutt’altro che insignificante. La giustificazione? Un altrettanto “innocua esercitazione” della flotta cinese che ha incluso la portaerei “Shandong”, varata il 26 aprile 2017 e capace di portare tra i 26 e i 28 cacciabombardieri Shenyang J-15, oltre a 12 elicotteri, quattro dei quali per la ricognizione radar. Le esercitazioni sono iniziate sabato 8 aprile; il Comando del teatro orientale cinese ha tenuto a comunicare in una nota: “Diverse squadriglie di caccia H-6K armati di munizioni vere hanno svolto attacchi simulati a più ondate, contro importanti obiettivi sull’isola di Taiwan”.
All’alba del terzo giorno delle manovre militari cinesi, denominate “Spada affilata congiunta”, il ministero della Difesa di Taiwan ha riferito che 70 aerei da combattimento e 11 navi da guerra delle forze armate di Pechino hanno incrociato attorno all’isola. Oltre ai trentacinque cacciabombardieri che hanno attraversato la linea mediana tra Cina e Taiwan, entrando nella “zona d’identificazione” taiwanese. Di fronte all’effort cinese Taipei ha monitorato la situazione, ordinando alle squadriglie di aerei da combattimento, alle navi della Marina e ai sistemi missilistici basati a terra di rispondere a queste attività. La linea sottile tra esercitazioni e la reale eventualità di uno scontro armato è sempre più labile.
Ad oggi la Cina si impegna a mantenere la pressione su Taiwan, segnalando di non lasciare nessun margine ad «attività separatiste» tramite le parole del portavoce cinese dell’Ufficio per gli affari di Taiwan, Zhu Fenglian. A continuare l’ormai più che verbale braccio di ferro è il ministro degli Esteri di Taipei, Joseph Wu, tramite un’intervista esclusiva rilasciata alla Cnn: «La Cina sembra che stia provando a farsi trovare pronta per scatenare una guerra. I leader cinesi ci penseranno due volte prima di decidere di usare la forza, ma Taiwan deve essere semplicemente preparata».
Da indiscrezioni portate alla luce dall’intelligence americana si ritiene che Xi Jinping abbia dato l’ordine ai militari di farsi trovare pronti all’invasione dell’isola per il 2027. Motivo per il quale il botta e risposta non intende fermarsi e a scendere in campo, non solo in qualità di causa scatenante, sono proprio gli Stati Uniti.
Risale alla settimana scorsa l’annuncio da parte di Manila relativo alle altre quattro basi militari che ospiteranno forze americane su suolo filippino, precisamente in prossimità delle aree sensibili di Taiwan e del Mar Cinese Meridionale (rivendicato quasi interamente dalla Cina). Le stesse forze armate statunitensi, insieme a quelle filippine, nella giornata odierna hanno iniziato delle vaste esercitazioni militari congiunte proprio in risposta a quelle effettuate da Pechino.
La compagine utilizzata è quasi il doppio di quella impiegata lo scorso anno. Si tratta di circa 17.600 militari di entrambi i Paesi che prendono parte all’esercitazione Balikatan (“Spalla a spalla”), giunta alla sua 38esima edizione. Da programma verranno effettuate simulazioni di sicurezza marittima e sbarco anfibio, oltre a operazioni aeree, di difesa informatica, addestramento a fuoco vivo, contrasto al terrorismo e assistenza umanitaria.
Nonostante i pedoni nello scacchiere internazionale siano stati posizionati, rimane fitto lo scambio di dichiarazioni. Da una parte il Ministro Wu rivendica le “libertà” di Taiwan: «La Cina non può prescrivere come Taiwan tessa le proprie amicizie. E non può dettare come i nostri amici vogliano aiutare Taiwan».Dall’altra Fenglian risponde: «Non lasceremo spazio ad alcuna forma di attività separatista di Taiwan». Gli americani continuano le esercitazioni mentre il presidente Macron sulla sua visita a Pechino nei giorni scorsi ha dichiarato: «Il paradosso sarebbe se, sopraffatti dal panico, credessimo di essere solo seguaci dell’America». Il tentativo francese di prendere il posto più di Ponzio Pilato che della Svizzera viene stemperato diplomaticamente da Eric Mamer capo portavoce della Commissione europea: «Su Taiwan continuiamo a chiedere pace e stabilità e siamo contro ogni cambiamento dello status quo per mezzo della forza. L’Ue e la Commissione – sul tema – hanno una posizione molto chiara».
Nel frattempo la presidente Tsai ha tenuto a specificare che la protezione dell’isola di Formosa e la sua democraticità rimangono la priorità assoluta. Ma gli scenari internazionali non sono l’unica fonte di preoccupazione della presidente, la quale osserva con occhio vigile anche la politica interna.
La data delle elezioni presidenziali si avvicina (13 gennaio 2024); a prendere il posto nel partito dell’attuale presidente (Dpp), che arriverà a completare due mandati quadriennali, sarà William Lai noto per essere un più esplicito sostenitore dell’indipendenza dell’isola. Dall’altra parte della barricata ci sarà il partito di opposizione Kuomintang (Kmt), rinomato per avere posizioni filocinesi.
In attesa che questo 2024 si faccia avanti tra le elezioni negli Stati Uniti e quelle nell’isola di Formosa non rimane che attendere la prossima mossa dello scacchiere internazionale.