A maggio si discuteva dei reciproci messaggi di avvertimento che America e Cina si scambiavano. Pechino avviava manovre militari di pattugliamento ed esercitazioni belliche a ridosso di Taiwan e la Casa Bianca faceva la voce grossa. Xi Jinping dichiara di volersi riprendere Formosa (nome con cui Taiwan veniva chiamata dai portoghesi) entro il 2049, mentre Nancy Pelosi si reca a Taiwan alzando un polverone non di poco conto. A quanto pare i guanti di sfida tra il “regno di mezzo” ed il paese a stelle e strisce non sembrano esaurirsi, ma a farne le spese è l’isola di Formosa.
E quando sembrava che le acque si fossero calmate arriva la terza visita di un funzionario americano a Taipei. L’ennesima conferma che Washington non ha la minima intenzione di cambiare linea a riguardo. E Pechino si adegua al gioco forza: 15 aerei e alcune imbarcazioni cinesi hanno attraversato la linea mediana dello Stretto. Si tratta di un confine non ufficiale che separa le acque cinesi da quelle taiwanesi; per anni la linea mediana è stata tacitamente riconosciuta da Pechino che, invece, ad oggi ha preso l’abitudine di stabilirsi in quella parte di confine per fare pressione. Mentre la Cina prende tempo Taiwan non resta con le mani in mano e propone nella legge di bilancio di aumentare le spese militari del 14% raggiungendo così un capitale di 19,4mld di dollari, contro i 293mld di Pechino. Ma in questo modo Taipei arriverebbe ad impiegare il 2,4% del Pil per la difesa. Una manovra che gli permetterebbe di entrare a far parte della top20 dei paesi con la più alta spesa militare al mondo inserendosi davanti alla Turchia.
Risulta facile e immediato dare la colpa ad una Pechino che, per evitare di confinare con un avamposto statunitense a tutti gli effetti, cerca di mettere la propria bandiera su un territorio che potrebbe rivelarsi un ostacolo per i propri guadagni. È invece difficile pensare che Washington possa fare il secondo passo falso a distanza ravvicinata. L’attenzione di alcuni si sofferma sulla mala gestione della tensione tra Russia e Ucraina condotta dall’America. Gli stessi che, guardando verso oriente, potrebbero pensare che gli Stati Uniti possano avere lo stesso approccio nei confronti di Taipei. Nel caso in cui i toni non si smorzino c’è il timore che si possa giungere al conflitto armato e non solo per Taiwan, ma per tutto il quadrante.
Gli Stati Uniti possiedono basi militari, tra navali e aeree, nella maggior parte dei paesi che circondano l’isola. Giappone, Corea del Sud, Filippine e Malesia sono degli spot di appoggio concreti per Biden, ma non sono gli unici a preferirlo rispetto a Xi Jinping. Alla lista si aggiungono India, Vietnam e Brunei con il Myanmar e la Tailandia che non si sbilanciano da nessuna delle due parti. A preferire la sfera cinese sono il Pakistan, Nepal, Laos e Cambogia, ma cartina alla mano nessuna di queste confina con Taiwan.
Pechino, nel frattempo si giustifica definendo le ultime esercitazioni un “deterrente” contro gli Stati Uniti e Taipei stessa, con immediato riferimento alla visita della delegazione del Congresso americano. A quanto pare la presenza di esponenti importanti dell’emisfero occidentale, tiene a specificare il portavoce del ministero della Difesa cinese Wu Qian, viola «in modo flagrante il principio della ‘Unica Cina’ e i tre comunicati congiunti sino-americani, nonché la sovranità e l’integrità territoriale della Cina, inviando un segnale sbagliato alle forze separatiste dell’indipendenza di Taiwan ed esponendo del tutto il vero volto degli Stati Uniti come disgregatori e distruttori di pace e stabilità nello Stretto di Taiwan». Wu Qian si appoggia alle tre dichiarazioni che hanno permesso di instaurare delle relazioni tra Repubblica Popolare Cinese e Stati Uniti d’America.
I tre comunicati sino-americani
Si tratta di tre comunicati congiunti a cui hanno dato il via il Presidente Nixon insieme al Premier Zhou Enlai nel febbraio del 1972. La prima dichiarazione includeva le opinioni dei due stati in merito a: Vietnam, Pakistan, India, regione del Kashmir, penisola coreana e Taiwan. Nel capitolo relativo all’isola di Formosa entrambe le parti si impegnavano a rispettare, in modo reciproco, la sovranità territoriale di Taiwan.
Con il secondo comunicato del 1979 si dà il via all’instaurazione delle relazioni diplomatiche tra i due paesi. Ma Taiwan non passa comunque inosservata e gli Stati Uniti facendo un passo indietro, ossia rinunciando alle relazioni politiche formali con l’isola, in realtà ne fa uno avanti preservando legami economici e culturali. In questo modo si è creato un equilibrio che ha permesso la riduzione di tensioni nello scenario geopolitico internazionale.
L’ultimo comunicato risale al 17 agosto del 1982 in cui Stati Uniti e Cina confermano la direzione presa precedentemente rafforzando legami economici, culturali, educativi, scientifici e tecnologici. E Taiwan? Rimane sempre un nodo da sbrogliare perché in merito rimane in sospeso la questione relativa alla vendita di armi da parte dell’America all’isola di Formosa.
A queste si aggiunge non solo il Six Assurances, una costola del terzo comunicato, che ha la funzione di rassicurare Taiwan e di rappresentare delle linee guida per le relazioni tra l’isola e gli Stati Uniti. Ma anche il Taiwan Relations Act, atto firmato nel ’79 dal Presidente americano Carter, che non solo mette nero su bianco il mantenimento de facto delle relazioni tra Stati Uniti e Taiwan, ma specifica che Washington considererà sia le sanzioni economiche sia l’aggressione dell’isola come una “minaccia alla pace”.
E dalla fine degli anni ’80 si torna ai giorni nostri perché la prima preoccupazione all’epoca era mantenere un equilibrio tra gli scenari di geopolitica internazionale che potesse permettere all’economia di ogni paese di prosperare sotto l’egida della collaborazione. Ad oggi ogni situazione lasciata in bilico, per alcuni appositamente, rappresenta un potenziale nuovo scenario di scontro. Ma se ogni instabilità diventa una trincea allora l’attenzione non sarà focalizzata solo su alcune parti di determinati continenti ma si potrebbe estendere a livello globale.