Esteri
Quirinale, i nomi del Vaticano. Intervista con Piero Schiavazzi
Di Marco Cossu
La partita per il Quirinale è entrata ormai nel vivo mettendo in moto il valzer di nomi papabili al soglio quirinalizio. La lista dei quirinabili non è solo suscettibile dei desiderata dalla forze interne al sistema politico italiano – e all’incognita del pallottoliere – ma include anche le simpatie delle cancellerie straniere. Non per ultima quella vaticana. Il Vaticano, davanti all’arretrare del cattolicesimo nel mondo, considera lo Stivale il suo retroterra strategico, la sua zona di salvaguardia. Ha perciò tutto l’interesse che chiunque salga al Colle riesca a garantire l’unitarietà del Paese, disinnescare le devianze delle forze politiche e sia all’altezza di perpetuare quella relazione magica che da sempre esiste tra le due sponde del Tevere. Abbiamo incontrato il Professor Piero Schiavazzi, vaticanista e docente di Geopolitica Vaticana, per capire quale sia il profilo di Presidente più gradito Oltretevere e scoprire di più sul quel feeling magico che lega i due capi di stato.
UN PRESIDENTE GRADITO AL VATICANO
«È l’attrazione fatale fra i due colli. Avvicinandoci a D Day del primo scrutinio, il gradimento e addirittura il pedigree “vaticano” diventa un requisito indispensabile per i candidati al Quirinale, come dimostrano tra gli altri i nomi di Draghi, Riccardi, Frattini, Casini ma non solo.
Se con l’elezione di Mario Draghi la Santa Sede ritroverebbe al Quirinale un proprio “figlio”, allievo prediletto dei Gesuiti, con quella di Riccardi vi vedrebbe invece ascendere un “padre”. E per certi aspetti un “Papa” laico. Non è infatti azzardato definire sin d’ora il fondatore di Sant’Egidio un “padre” della Chiesa contemporanea, per la scienza con cui ne ha studiato e interpretato all’interno i tratti più profondi. Oltre alla concretezza con cui ne ha realizzato e proiettato all’esterno le potenzialità. Un De Gasperi “globalizzato” e un La Pira “pragmatico”.
Un De Gasperi “globalizzato”. Dotato di un fiuto politico finissimo e di un senso vivissimo della laicità dello Stato, al pari dello statista trentino. Ma in aggiunta “globalizzato”, a differenza di De Gasperi, che agiva invece in uno scenario euroatlantico, quando la globalizzazione era ancora di là da venire. Un La Pira altrettanto profetico e visionario, ma provvisto di senso pratico: insomma un realizzatore, a differenza del sindaco fiorentino.
Infine un “santo”, perché è del tutto realistico e verosimile prevedere che tale un giorno la Chiesa lo riconoscerà. Un uomo che Francesco, anche questo non è un mistero, avrebbe voluto cardinale, il primo cardinale laico del sacro collegio».
IL VATICANO HA DETTO NO A BERLUSCONI?
«Il Vaticano non disdegna nessuno. Ma disegna, piuttosto, un profilo, un identikit. Alla Chiesa interessano principalmente, sommamente due cose. Che il presidente, di destra o di sinistra, goda in primis della maggioranza più ampia possibile. Che disponga, in secondo luogo, di un profilo internazionale. Il profilo del Presidente deve riscuotere stima universale, così da trovare accesso e dialogo con le grandi cancellerie. E dev’essere anche unitivo e promotore di riconciliazione sul piano interno.
Il Vaticano guarda all’Italia con valenza geopolitica: è il suo retroterra strategico e ha un assoluto interesse all’unità dell’Italia, che riveste, potremmo dire, estremizzando il concetto, un ruolo di “zona franca” e se vogliamo “zona cuscinetto”.
L’ITALIA COME RETROTERRA STRATEGICO DEL VATICANO
«A livello geopolitico l’unità d’Italia conviene al Vaticano. Il Vaticano, nel momento in cui perde terreno nel mondo – e lo perde con la secolarizzazione, con i fondamentalismi – non può permettersi di indebolire la tenuta o diminuire la portata del suo retroterra strategico.
La Chiesa diventò de facto storicamente il maggiore ostacolo sulla strada dell’unità d’Italia quando chiese agli albori del Medio Evo l’aiuto di Carlo Magno per contrastare i Longobardi. Oggi, paradossalmente, è invece la più interessata all’unità del Paese e deve assolutamente scongiurare una sua disgregazione. Nonostante fino al 1870 abbia rappresentato il più grande ostacolo per il raggiungimento dell’unità. Si è rovesciata la Storia».
L’UNITÀ DELL’ITALIA: IL CONFRONTO TRA WOJTYLA E COSSIGA
«Il Presidente Cossiga mi descrisse l’incredulità, perfino lo sgomento che provava Wojtyla per opposizione della Chiesa al processo unitario italiano. In Polonia la causa della Chiesa è sempre andata di pari passo con quella della Nazione. Quando l’elemento identificativo del territorio venne meno a causa della triplice spartizione fra Germania, Russia e Austria, rimase la Chiesa a dare “corpo” all’unità nazionale».
IL VATICANO COME VINCOLO
«Non si può negare che la presenza e influenza della Chiesa costituisca un vincolo per la politica interna italiana. Basti pensare all’iter dei “nuovi diritti” dal divorzio alle unioni civili. Allo stesso tempo, la presenza del Vaticano è tuttavia un valore aggiunto per la politica estera. Se all’interno rappresenta un vincolo, all’esterno è uno svincolo, una rampa di accesso autostradale alla mondialità».
PERCHÈ L’ITALIA HA BISOGNO DEL VATICANO
«L’Italia ha bisogno del Vaticano. Lucio Caracciolo, nell’editoriale del numero di Limes “La riscoperta del futuro”, traccia un interessante parallelo fra il perimetro dell’odierno Stato unitario e la provincia italica dell’impero augusteo, che coincideva con il territorio della Penisola. Poi c’era l’Impero. Caracciolo sostiene che la proiezione-vocazione imperiale di Roma sopravvive e si perpetua, come realtà geopolitica, nella Chiesa cattolica. L’Italia senza la Chiesa resterebbe “provincia italica”.
Caracciolo, quando parla di proiezioni universali, intende centri geopolitici che abbiano la capacità di elaborare una visione unitaria del mondo. E ne riconosce soltanto due, che possiedono a suo giudizio questa capacità di pensare in mondo in modo unitario e condivisibile anche all’esterno: Washington e Roma.
Washington, perché l’American way of life contagia e affascina pure al di fuori dell’impero americano. Mentre non esiste, viceversa, un “marchio” cinese in grado d’imprimersi sull’anima dei popoli, cioè, una voglia di diventare Cina. C’è l’american way of life, la proposta di americanizzare il mondo, e la visione della Chiesa che ha una penetrazione altrettanto universale. Nolo verticale, verso il cielo, bensì orizzontale, capace di estendersi al mondo intero.
In termini massmediatici ci sono solo due elezioni al mondo di portata planetaria: quella del presidente degli Stati Uniti e quella del Papa. Quando si elegge il papa tutti aspettano la fumata bianca a prescindere dalla religione di appartenenza. Perché tutti hanno letto Dan Brown e avvertono il fascino che lui, da narratore laico, percepisce del Vaticano. In termini di potere temporale, non solo spirituale. Forse anche di più che ai tempi dello stato pontificio. C’è molto più “potere temporale” oggi».
FARNESINA E VATICANO SULLA STESSA SPONDA DEL TEVERE
«Io uso sempre dire che non è casuale che la Farnesina, tra i palazzi del potere, sia l’unico a trovarsi sullo stesso lato del Tevere rispetto al Vaticano, quasi ad iscrivere nella topografia dell’Urbe una coincidenza di vedute che trova puntuale riscontro nella geografia dell’Orbe.
C’è stato però un momento, per la prima volta nella storia della Repubblica, in cui la politica estera è sembrata distaccarsi e divaricarsi, sul tema di migranti, durante governo gialloverde, rispetto alla Sede Apostolica. Una rottura comunque parziale. Sulla Cina, per esempio, il Governo Conte è stato un alleato e “fiancheggiatore” del Vaticano, l’unico ad aderire nel 2019 alla silk road, provocando le ire dell’America».
LO ROTTURA A DESTRA
«Per la prima volta il Vaticano ha nutrito seri motivi di preoccupazione, vedendo allontanarsi da sé in successione, nel corso della legislatura, prima la Destra e poi la Sinistra, spinte dalle rispettive frange populiste o laiciste. La rottura con la Destra, innescatasi sul problema dei migranti, è culminata l’8 dicembre 2018 nel raduno leghista di Piazza del Popolo, quando Matteo Salvini ha eletto pubblicamente a riferimento programmatico Giovanni Paolo II.
Ci può stare, se a farlo è un segretario di partito, ma diventa politicamente scorretto, ai limiti dell’incidente diplomatico, se l’oratore riveste anche il ruolo istituzionale di Ministro dell’Interno e Vicepremier. È come se il Papa, quello stesso giorno, si fosse affacciato all’Angelus e avesse con rimpianto evocato i “bei tempi” di Monti o Gentiloni».
IL PAPA, I MIGRANTI, LA DESTRA
«La Destra deve ancora completare una maturazione istituzionale, riguardo alla figura del Papa, considerando che Francesco non può essere considerato, tanto meno trattato, alla stregua di un capo partito, in una logica di politica interna. Peraltro, quando il Pontefice si erge in difesa dei migranti, non lo fa pensando alla politica italiana.
Il Papa “legge” nelle migrazioni l’onda di un sommovimento epocale, che la Chiesa deve accompagnare e persino cavalcare, per non venire meno alla propria mission e, ancora di più, per non restare fuori dalla storia. Del resto non agisce così soltanto in Europa e nel Mediterraneo, ma pure nel Caribe, in favore dei Latinos che cercano di passare in America del Nord. Ritiene che il mondo si sia messo in movimento, un moto rivoluzionario ma necessario, destinato a redistribuire la ricchezza e restituire quell’uguaglianza originaria che i paesi ricchi non riescono loro sponte a riconoscere. Nell’enciclica più politica di Francesco, “Fratelli Tutti”, uscita il 4 ottobre del 2020, leggiamo che la terra di uno stato è anche del popolo vicino, se ha fame e non ha di che nutrirsi a casa sua. Salta il limes, la sovranità su cui è stato costruito lo stato moderno dal ‘600 in poi. Per questo parlo di cambiamento d’epoca, in senso culturale, più che d’ un’epoca di cambiamento».
L’IDEA DI SOVRANITÀ NAZIONALE PER WOJTYLA E PER BERGOGLIO
«Sempre in tema di sovranità, tuttavia, se guardiamo all’idea di Europa, il pensiero di Bergoglio appare paradossalmente molto più vicino alle posizioni della Lega rispetto a quello di Wojtyla, sostenitore degli Stati Uniti d’Europa tout court, modello Stati Uniti d’America. E anche rispetto a quello di Ratzinger, per il quale l’unità “federale” del continente costituiva una sorta di undicesimo comandamento. Mentre Bergoglio ha una visione sudamericana, confederata, bolivariana dell’Europa, che salva e conserva il primato delle patrie. Quindi molto più simile a quella della Lega.
Voglio dire – e sottolineare – che pensiero di Bergoglio è complesso e articolato. La “taglia” di riferimento è quella “large” del pianeta e non quella small o al massimo medium size dell’Italia e delle sue forze politiche. Quando il Papa nell’enciclica “Fratelli Tutti” – il documento più geopolitico, avveduto e visionario del pontificato – scrive che c’è anche un populismo buono e respinge la demonizzazione pregiudiziale del termine, si allontana dalla visione della Sinistra e risulta più prossimo a quella della Destra. Insomma, l’opposto di quanto accade sui migranti.
Francesco è il leader di un miliardo e trecento milioni di cattolici e deve consegnare al suo successore, in termini geopolitici, un’estensione territoriale e una consistenza numerica che non sia inferiore a quella che ha ricevuto. Su questo si misura un Papa: con l’eredità ricevuta e con quella da trasmettere ai suoi successori».
LA ROTTURA A SINISTRA: IL DDL ZAN
«Dall’altro lato c’è stato uno scontro senza precedenti anche a sinistra, quando il 17 giugno 2021, quando il Ministro degli Esteri della Santa Sede (l’inglese Mons. Gallagher, Segretario per i Rapporti con gli Stati) ha presentato all’ambasciatore d’Italia una nota verbale, incipit della protesta diplomatica, sulla legge Zan. Ciò conferma e sancisce l’approccio di questo Papa, che considera superata la stagione nel partito cattolico e preferisce rapportarsi direttamente, formalmente agli Stati e ai loro rappresentanti. Al punto da preferire la protesta, formale, nei confronti dei Governi alla ingerenza, informale, sui Governi».
DDL ZAN COME VULNUS ALLA LIBERTÀ RELIGIOSA
«Non entro nel merito. M’interessa il metodo. Prima si parlava con i partiti, spesso dietro le quinte. Ed era, obiettivamente, ingerenza. Oggi s’interpellano gli Stati, formalmente, davanti all’opinione pubblica: e si chiama dialettica. Dialettica diplomatica tra enti sovrani, dove uno dei due riscontra una violazione di un accordo liberamente sottoscritto da entrambi: nel caso specifico del Concordato, che garantisce alla Chiesa di proclamare senza condizionamenti il proprio credo e il proprio catechismo, anche quando quest’ultimo contiene articoli, come quelli sulla omosessualità (2357, 58, 59), che a mio giudizio andrebbero rivisti e formulati in modo diverso. Ma dev’essere la Chiesa a farlo, per convinzione. Non lo Stato, a imporlo, per costrizione, attraverso una legge. Altrimenti, quali che siano le ragioni che lo ispirano, c’è un vulnus alla libertà religiosa, che storicamente mostra di essere la prima delle libertà – lo dicono gli storici, non i teologi – fondamento di tutte le altre».
IL FEELING MAGICO TRA IL VATICANO E IL QUIRINALE
«Con la Seconda Repubblica, quanto più tramontava, fino a scomparire dall’orizzonte, la “stella” del partito cattolico, tanto più cresceva quella del rapporto diretto con Palazzo Chigi e con il Quirinale. Con un vantaggio preferenziale di quest’ultimo, per la durata settennale, ergo maggiore stabilità del mandato. Sette anni, rispetto ai cinque o quattro di altri mandati (Francia, Stati Uniti) sa quasi di monarchia: monarchia repubblicana.
Il rapporto preferenziale che si è instaurato immancabilmente tra i papi e i presidenti, quasi per magia, nasce da un contesto e da una fenomenologia tutta italiana, che Guareschi spiegherebbe meglio di qualunque politologo. C’è indubbiamente una convenienza reciproca, che tuttavia non è sufficiente a spiegare il feeling tra personalità distantissime sulla carta delle rispettive biografie. Eppure vicinissime all’atto pratico».
L’OMAGGIO DI NAPOLITANO A BENEDETTO XVI
«Pensi a Napolitano e Ratzinger, quanto di più opposto si possa immaginare: Papa di destra e Presidente di sinistra. Un feeling straordinario, in ripetute occasioni. Pensi a quell’episodio intimo e plateale al tempo stesso. Nonché paradossale. Paradigmatico. È il 4 febbraio del 2013 nell’aula Paolo VI. Ogni anno Napolitano offre un concerto a Ratzinger: quella sera va in scena “La forza del destino”. È proprio il caso di parlare di forza del destino. Napolitano rivolge al Papa il suo saluto e si commuove. Ci sono i Presidenti di Camera e Senato, Fini e Schifani. c’è il Presidente del Consiglio Mario Monti. C’è Renzi con la fascia da sindaco perché l’orchestra è quella del “Maggio musicale fiorentino”. Napolitano, con la voce rotta dall’emozione, dice a Ratzinger che si tratta dell’ultimo concerto che può regalargli perché a breve scadrà il suo mandato:
Accade esattamente il contrario, una settimana dopo – l’11 febbraio – Ratzinger si dimette. Napolitano, senza neanche immaginarlo, sarebbe invece rimasto. Rieletto il 20 aprile. È un paradosso della storia. La monarchia repubblicana dura di più di quella divina».
L’OMAGGIO DI BENEDETTO XVI ALLA REPUBBLICA
« ”Il maggio musicale fiorentino” quel pomeriggio esegue anche l’Eroica. Ratzinger nel suo discorso di ringraziamento (ogni volta durante i concerti faceva una vera e propria lectio di musica) ricorda che Beethoven cambiò nome all’Eroica, dedicata inizialmente a Napoleone, poiché non tollerò che Napoleone cambiasse in Impero la Repubblica, proclamandosi imperatore. Mai un Papa ha reso un omaggio così plateale alla Repubblica. Come, però all’opposto, nel film di Don Camillo, quando Peppone inneggia alla monarchia. Queste intendo per atmosfera magica, che s’instaura tra il Vaticano e il Quirinale.
Poi c’è ovviamente una cornice d’interessi geopolitici così forti per cui un certo feeling, anche in caso di personalità, biografie, psicologie distanti tra loro sarebbe comunque obbligato. L’Italia infatti non può fare a meno del Vaticano, per non retrocedere sul piano internazionale. Se i Presidenti degli Stati Uniti quando vengono in Europa inseriscono Roma, insieme a Berlino, Londra e Parigi fra le tappe fisse, non opzionali, del proprio tour, è a motivo del Papa».
WOJTYLA, PERTINI E CIAMPI
«Nessuno pensava che i rapporti tra Vaticano e Quirinale potessero andare più “in alto” di quelli tra Giovanni Paolo II e Pertini, che s’incontrarono a tremila metri sull’Adamello. Invece il futuro si è dimostrato “all’altezza”, offrendo una serie di episodi altrettanto emblematici: come quando Wojtyla volle che il Presidente italiano, Carlo Azeglio Ciampi fosse il primo laico ad entrare nella Porta Santa del Millennio, davanti alle telecamere del mondo intero, con una visibilità formidabile per l’Italia.
Il 2 aprile del 2005 Wojtyla muore. Il giorno dopo, Domenica 3 aprile, si vota per le regionali, un test importantissimo. Eppure accade qualcosa di straordinario. Wojtyla entra in agonia e i leader politici quel Venerdì 1° aprile, ultimo giorno di campagna elettorale, seguono Ciampi alla veglia di preghiera con il Cardinale Ruini, nella basilica di San Giovanni in Laterano, e sospendono i comizi. Tutti a San Giovanni per la Messa nella quale il Cardinale Ruini pronuncia la famosa frase «il Papa già vede e già tocca il Signore». Morirà la sera dopo. L’Italia si ferma e si va alle elezioni senza gli appelli al voto. Sono dei segnali, e sensori, fortissimi. La campagna elettorale passa in secondo piano.
Il 29 aprile, infine, era già programmata la visita del Pontefice al Quirinale per Santa Caterina, compatrona d’Italia. Ciampi, per onorarla, va lui sulla tomba di Wojtyla».
MATTARELLA E BERGOGLIO
«Venendo a Bergoglio e Mattarella, ciò che passerà alla storia è che ambedue si sono trovati a fare il Papa e il Presidente nel momento di massima contestazione delle rispettive istituzioni. Mai, come durante il settennato di Mattarella, il vento dell’antipolitica è stato così forte tra la gente. Mai, parallelamente, sull’altra sponda del Tevere, è stato così forte l’anticlericalismo, come durante il pontificato di Bergoglio, a motivo degli scandali finanziari e dei report sulla pedofilia, dal Cile agli USA, dalla Francia alla Germania».
LA DESTRA AVANTI NEI SONDAGGI
«Tornando alle tensioni tra il Vaticano e la Destra, sulle migrazioni, e tra il Vaticano e la Sinistra, sulla Legge Zan, in Curia si avverte la necessità di un Presidente che sappia accompagnare e integrare il tratto istituzionale che manca nel cammino di avvicinamento ed evoluzione della Destra populista, facendola sortire da un approccio che vede nel Papa un capo partito: Giorgia Meloni, a riguardo, nel libro autobiografico, “Io sono Giorgia”, sembra compiere un passo avanti. Nel capitolo dedicato alla fede, “Io sono cattolica”, lei ammette infatti di non comprendere certe posizioni del Papa. Ma soggiunge subito che lui è il Papa e non si sognerebbe mai di metterne in discussione l’autorità in materia di dottrina. Insomma “non capisco ma mi adeguo”, almeno a parole. Salvini su questo, nei confronti della persona di Francesco, appare ancora frenato, mentre non lo è assolutamente nelle ripetute dichiarazioni, pubbliche manifestazioni e talvolta ostentazioni di fede.
Nessun Papa – chi conosce la storia della Chiesa lo sa bene, dal Medioevo a oggi – può tollerare atteggiamenti e pronunciamenti che ne inficino la legittimità o suscitino anche soltanto un dubbio agli occhi dei fedeli. Questo intendo quando dico che deve essere trattato come un Capo di Stato e non alla stregua di un capo partito. Poiché questo indebolisce la solidità e vastità di consenso della istituzione, che un Pontefice deve consegnare coesa ed estesa, non meno di come l’ha trovata, al proprio successore».
UN PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA COME MEDIATORE E GARANTE INTERNAZIONALE
«Il Vaticano avverte l’esigenza di un presidente di mediazione, sul piano interno, e di garanzia, su quello esterno. Un mediatore sul piano interno: che sappia contenere e arginare, a Sinistra, l’allontanamento in atto nel PD dalle posizioni della Chiesa, e a Destra completare e incoraggiare il processo di avvicinamento delle Destre al Vaticano.
Al tempo stesso serve un garante: che garantisca i governi occidentali e le centrale finanziarie rispetto ai rischi di devianza dell’Italia. L’Italia non ha smesso di essere, che ci piaccia o meno, un paese a “sovranità limitata”. Limitata dall’appartenenza all’euro e all’Europa. Dalla globalizzazione, che ne insidia costantemente l’equilibrio finanziario. Dal revanscismo di Putin e dall’appartenenza al campo occidentale, nella competizione planetaria tra Washington e Pechino.
Per questo, e per paradossale che possa sembrare, solo la figura e caratura di un Presidente europeista, non populista, egalitario e non identitario, costituirebbe il garante, il fattore di riequilibrio, direi di più, la condicio sine qua non, perché un governo delle destre, centrato sull’asse Meloni-Salvini, possa essere legittimato sul piano internazionale e rimanere stabile per tutta la prossima legislatura».
IL CANDIDATO “LAICO”: FRATTINI E AMATO
«Frattini ha definito nel 2010, da ministro degli Esteri, l’ateismo e il relativismo alla stregua di un acido corrosivo delle istituzioni, attirandosi qualche critica ma guadagnandosi un enorme credito in Vaticano. Poi, sempre al Ministero degli Esteri, si è inventato nel 2003, per il 25esimo del pontificato di Giovanni Paolo II, 40 conferenze di 40 vaticanisti italiani di tutte le testate in altrettante città del mondo, inaugurate alla presenza dei cardinali Bergoglio e Ratzinger con Pierferdinando Casini, allora presidente della Camera, anche lui convinto, come Frattini, che il Papa costituisca un valore aggiunto per la politica estera italiana.
Il consenso ecclesiale verso laici, ex socialisti, come Frattini e Amato, mostra che il minimo comune denominatore del gradimento vaticano per un candidato al Colle non è la professione di fede, ma la convinzione che il Vaticano, per l’Italia, rappresenti un valore aggiunto di gran lunga superiore al “vincolo” che la sua presenza può rappresentare sul piano interno, che lo “svincolo”, in termini di accesso privilegiato all’autostrada della mondialità, valga cioè molto più del “vincolo”, esercitato a volte sulla politica interna».
Le dimostrazioni plurime d’attenzione, e predilezione, offerte da Amato, come Premier, e da Frattini, come Ministro degli Esteri, per non parlare di Pertini e Napolitano al Quirinale, mostrano che per il Vaticano “laico” è bello e sovente anche più vantaggioso e conveniente di “cattolico”, quando si tratta di candidature al Quirinale. Perché un cattolico è frenato dal timore di sembrare troppo ossequioso verso la Chiesa, mentre il laico, al contrario, non ha paura di osare, quasi a farsi perdonare il fatto di essere laico.
CASINI, IL PIÙ E IL MENO DEMOCRISTIANO
«Se invece, sempre a destra, guardiamo a quanti si professano credenti, Casini ha il pregio di offrire il profilo più e meno democristiano al tempo stesso. Moderno ergo eterno, il meno democristiano perché è stato tra i primi a capire che la Democrazia Cristiana era finita una volta per tutte, senza nutrire nostalgie di sorta. Ma pure il più democristiano per la perfetta conoscenza del paesaggio ecclesiastico e dimestichezza con il linguaggio “ecclesialese”. L’uomo che accogliendo Wojtyla a Montecitorio da Presidente della Camera, il 14 novembre 2002, ha inaugurato la storica seduta del Parlamento in seduta comune suonando, al posto del campanello, un modello in miniatura della celebre campana Sigismonda della cattedrale di Cracovia e offrendola in dono al Pontefice a ricordo della storica visita».
DRAGHI GESUITA E IL PAPA DEL WHATEVER IT TAKES
«Il Vaticano non vede nell’Italia soltanto un retroterra strategico, bensì una piattaforma e un laboratorio di politiche che restituiscano alla politica il primato sull’economia. Un profilo al quale il banchiere umanista Mario Draghi risponde perfettamente. Che cos’è il Whatever it takes se non la professione del primato della politica sulla finanza. Una versione politica della misericordia bergogliana, in perfetto parallelismo tra teologia ed economia: per quanto siano tossici siano i titoli che possedete, noi li compriamo, pur di salvare l’Euro. Per quanto gravi i peccati, Dio li persona, pur di salvare le anime. Il denaro e il perdono non sono mai andati così di pari passo e a “buon mercato”.
In ogni caso, se non dovesse ascendere al Colle, la Santa Sede ritiene che Draghi farebbe molto bene a Bruxelles, alla Presidenza della Commissione Europea, in un momento nel quale in Vaticano – il papa lo ha detto in conferenza stampa nel viaggio di ritorno dalla Grecia – non sono più convinti della tenuta e a lungo termine della UE e della coesione tra i paesi che ne fanno parte. E che Draghi, l’italiano e forse l’europeo più stimato nel mondo, possa essere quella personalità in grado di riportare l’Europa nell’alveo di Schuman, di Adenauer».
LE DONNE: LA CENTRALITÀ DEL RAPPORTO CON LA CHIESA È IL TRATTO CHE ACCOMUNA LE CINQUE CANDIDATURE AL FEMMINILE
«Ma, dulcis in fundo, la migliore prova del magnetismo tra il Vaticano e il Quirinale è offerta dalle quattro donne i cui nomi Maria Elisabetta Alberti Casellati, canonista di fama, Elisabetta Belloni, allieva come Mario Draghi dei Gesuiti, Marta Cartabia, costituzionalista vicina a Comunione e Liberazione, Letizia Moratti, una vita d’impegno nella Comunità di San Patrignano, Paola Severino, avvocato dello IOR ricorrono per una candidatura al femminile. Personalità, CV e campi di competenza diversissimi, eppure accomunate tutte e quattro da una comune, attestata convergenza verso il Vaticano, con gradazioni che vanno dalla mera deferenza a una dichiarata appartenenza, da un’attenzione marcata alla vera e propria devozione. A significare, e dimostrare – questo è il messaggio conclusivo di questa nostra conversazione – la centralità che il Vaticano riveste in un passaggio ciclico ma sempre nevralgico della storia d’Italia quale la elezione di un Capo dello Stato».