Esteri

Punto sulle guerre: Medio Oriente, la speranza è una tregua; Ucraina, la paura sono i missili

05
Giugno 2024
Di Giampiero Gramaglia

Da una questione di vita o di morte (altrui) a una questione di poltrona (la propria): guerre o pace si possono anche ridurre a questo, nel groviglio d’affari e interessi del Medio Oriente o dell’invasione dell’Ucraina. Politicamente, il protrarsi del conflitto fa il gioco di quanti sperano in un cambio della guardia a novembre alla Casa Bianca: Donald Trump offrirebbe una spalla a Benjamin Netanyahu, che invece non riceve il sostegno che vorrebbe da Joe Biden; e se facesse finire in un giorno, come promette, la guerra in Ucraina, dovrebbe ratificare lo statu quo senza magari riconoscerlo, affidando la definizione delle condizioni di pace a negoziati ‘sine die’ – e Vladimir Putin canterebbe vittoria -.

Dunque, il candidato repubblicano, un ‘criminale condannato’, dopo la sentenza di colpevolezza pronunciata la scorsa settimana dalla giuria un tribunale di Manhattan, ha il suo peso, negativo, nelle vicende che insanguinano il Mondo e mettono a rischio la sicurezza globale. D’altro canto, pure la fretta di Biden di chiudere, o smorzare, il conflitto in Medio Oriente ha certo motivazioni umanitarie, ma è pure frutto della consapevolezza che la guerra e l’incapacità di incidere su di essa danneggiano le prospettive elettorali del presidente democratico: ne riducono la presa sui giovani e sull’elettorato di sinistra, oltre che su quello arabo-americano che può essere decisivo in uno Stato come il Michigan, uno dei sette cruciali a Usa 2024.

Giochi di potere americani, israeliani, russi e anche ucraini, con il mandato di Volodymyr Zelensky protratto ‘causa invasione’. Ma, del resto, persino l’atteggiamento degli europei sul cambio di passo degli Stati Uniti e di alcuni Paesi Nato verso l’Ucraina, con il sì all’uso delle loro armi contro obiettivi russi in territorio russo, sia pure con molti paletti, è condizionato dalle elezioni europee: l’Italia e il Belgio, che ora dicono no, potrebbero ammorbidire la loro posizione dopo il voto.

Emmanuel Macron, presidente francese, l’oltranzista del momento fra i leader occidentali, fa i suoi calcoli elettorali, per rendere stridente il contrasto con le posizioni filo-russe della rivale interna Marine Le Pen. E il Washington Post racconta come la Russia partecipi al gioco in almeno cinque Paesi Ue, finanziando, o favorendo con iniziative di disinformazione, candidati di estrema destra con agende anti–ucraine.

Tra l’80° anniversario dello sbarco in Normandia, il 6 giugno, e il Vertice del G7 in Puglia, dal 13 al 15 giugno, il presidente Biden farà un lungo soggiorno europeo, con la visita di Stato in Francia nel fine settimana; e incontrerà Zelensky due volte.

Sul fronte medio-orientale, Biden spinge dalla scorsa settimana un piano in tre fasi per fare tornare a casa tutti gli ostaggi ancora in vita e chiudere – o almeno mettere in pausa – il conflitto, che entra nel nono mese e s’avvicina ai 250 giorni, con un bilancio sempre più tragico: oltre 36.500 morti palestinesi, soprattutto donne e bambini; e oltre 200 soldati israeliani caduti, dopo i 1200 israeliani uccisi nelle incursioni terroristiche di Hamas in territorio israeliano il 7 ottobre.

Biden dice: “E’ tempo che questa guerra finisca”; e nota che Hamas non è più in grado di condurre operazioni terroristiche su larga scala. L’Ue appoggia il piano in tre fasi e parla di cessate-il-fuoco duraturo. Israele e Hamas tirano la corda: Israele vuole potere tornare a bombardare, dopo il rilascio degli ostaggi; Hamas vuole garanzie sulla fine della guerra. Ma, di fatto, l’intensità del conflitto s’è di molto ridotta, negli ultimi giorni.

E l’atteggiamento statunitense continua a essere ambivalente: la Camera di Washington approva misure contro la Corte penale internazionale rea di avere emesso un mandato di arresto contro Netanyahu, oltre che contro i leader di Hamas. Votano a favore i repubblicani all’opposizione, ma anche un quinto dei democratici.

Guerre: Medio Oriente, si negozia e si combatte
I dettagli del piano in tre fasi, originariamente delineato da Israele, non sono noti. Le tre fasi sono: la cessazione dei combattimenti – se definitiva o temporanea è un nodo -: il ritorno degli ostaggi e l’afflusso di aiuti umanitari; il ritiro dalla Striscia di Gaza delle truppe israeliane. Pareva cosa fatta, o quasi, quando Biden ne aveva parlato, dicendo che Hamas non poteva non accettarlo. Invece, si tratta ancora: i dettagli sono sempre difficili da definire; e intanto il Governo Netanyahu è dilaniato da tensioni interne, perché la destra ortodossa è contraria a ogni intesa e vuole solo eradicare Hamas dalla Striscia.

Due ministri dell’estrema destra minacciano le dimissioni e la caduta del governo. Netanyahu esita. Hamas s’irrigidisce. E il Mondo resta con il fiato sospeso, mentre la situazione torna a infiammarsi al confine tra Libano e Israele e il rischio di contagio del conflitto resta elevatissimo.

Il barlume di speranza intravisto spiega, forse, perché gli Stati Uniti avevano blandamente reagito, una settimana fa, all’intensificarsi delle operazioni militari israeliane a Rafah, dopo avere indicato nell’offensiva lì una linea rossa invalicabile, passata la quale l’Amministrazione Biden non avrebbe più fornito armamenti offensivi a Israele. Portavoce dell’Amministrazione avevano argomentato che le operazioni nel centro della città a sud della Striscia, oltre che nel campo profughi di Shanura, non violavano la linea rossa, senza però essere convincenti.

Poi s’è capito che c’era altro in fieri nelle stesse ore. A Rafah, oltre un milione di palestinesi in fuga dalla guerra nel nord e nel centro della Striscia hanno trovato un provvisorio rifugio, in condizioni estremamente precarie per la carenza di cibo, di medicinale, d’igiene. Fra i risultati conseguiti dalle operazioni militari israeliane, c’è l’avere acquisito il totale controllo della frontiera con l’Egitto, specie del cosiddetto corridoio Philadelphi, una zona cuscinetto tra la Striscia e l’Egitto, e, quindi, dell’ingresso nella Striscia degli aiuti.

Fra i segnali contraddittori che arrivano da Israele, rispetto all’attesa di un successo dei negoziati, c’è la previsione che la guerra continui per tutto l’anno e che l’offensiva di Rafah non ne sia l’ultimo atto. Una fonte militare citata dai media Usa dice: “Prevediamo altri sette mesi di scontri per conseguire l’obiettivo di distruggere le capacità militari e gestionali di Hamas e della Jihad”. Replica il segretario di Stato Usa Antony Blinken: Israele deve bilanciare “gli ulteriori vantaggi” derivanti dalle sue azioni militari” con “le loro orribili conseguenze indesiderate”.

Guerre: Ucraina
L’offensiva russa in direzione di Kharkiv pare essersi stemperata nell’ultima settimana, ma è azzardato dire che sia già effetto del nuovo codice di impiego di armi Nato, ormai utilizzate dall’esercito ucraino per colpire basi militari russe da cui partono raid, droni e missili verso la seconda città ucraina.

La modifica al codice di impiego delle armi cedute all’Ucraina da Paesi Nato ha richiesto settimane di negoziati: determinanti, per cambiare la prospettiva a Washington, sono state le pressioni di Paesi dell’Europa orientale, la Polonia e i Baltici in particolare, e la visita a Kiev del segretario di Stato Usa Antony Blinken, che, al suo ritorno, ha fatto un rapporto allarmato sul pericolo di crollo dell’Ucraina.

Il via libera a colpire con armi di Paesi Nato obiettivi russi in territorio russo è finora una decisione di singoli Paesi, non dell’Alleanza atlantica in quanto tale, al cui interno sussistono forti riserve, ad esempio da parte di Italia, Spagna e Belgio, e recise contrarietà, ad esempio da parte di Turchia, Ungheria e Slovacchia. Il tema sarà di nuovo affrontato al Vertice atlantico – Washington, 9/11 luglio -, nel 75° anniversario del Trattato dell’Atlantico del Nord.

Se l’Amministrazione Biden constata risposte “alla velocità della luce” agli attacchi russi, adesso che le forze ucraine possono usare artiglierie e missili statunitensi per colpire i russi dietro la linea del fronte, gli esperti militari dubitano che ciò sia sufficiente a rovesciare l’inerzia del conflitto, favorevole ai russi da mesi.

Alla conferenza annuale sulla sicurezza dell’Asia-Pacifico, a Singapore, il presidente Zelensky se l’è presa con la Cina, colpevole di scoraggiare altri Paesi dall’andare al Vertice di Pace organizzato sul lago dei Quattro Cantoni in Svizzera la prossima settimana, il 15 e 16, subito dopo il G7, senza invitare la Russia – e, quindi, rendendolo a priori una scatola vuota -.

Non ci sarà neppure Biden, che, finito il G7, tornerà a Washington: la delegazione Usa sarà guidata dalla sua vice Kamala Harris, con il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan. Pechino, dal canto suo, ha smentito per l’ennesima volta di avere fornito equipaggiamenti militari alla Russia dopo l’invasione dell’Ucraina.

In un’intervista al Guardian, Zelensky ha anche sostenuto che Donald Trump sarebbe un “perdente” se costringesse l’Ucraina a una tregua con la Russia. “Immaginiamo che Trump sia presidente e che voglia porre fine alla guerra a spese dell’Ucraina. E immaginiamo che Putin, invece, non si fermi. Quale immagine darebbe allora il nuovo presidente al Mondo intero? Sarà molto debole”.

Nel campo europeo, i progetti americani di utilizzare i beni russi confiscati per finanziare l’Ucraina destano perplessità: la riunione dei ministri delle finanze del G7 a Stresa s’è conclusa senza un’intesa; se ne tornerà a parlare al Vertice del G7 a Borgo Egnazia da giovedì s sabato prossimi. E, intanto, slitta l’apertura dei negoziati per l’adesione all’Ue dell’Ucraina, dopo che l’Ungheria s’è messa una volta ancora di traverso.

Budapest blocca il testo su Kiev – non quello sulla Moldavia – chiedendo “modifiche e aggiunte”, specie per rispondere alle preoccupazioni sulle minoranze ungheresi in Ucraina e sul funzionamento del mercato unico. L’Ue punta ad aprire i negoziati entro la fine di giugno, prima che la presidenza di turno del Consiglio dei Ministri dell’Ue passi al Belgio all’Ungheria che potrebbe approfittare della sua posizione per congelare per un semestre il dossier.

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