Esteri
Presidenziali 2024, il procuratore Robert Hur contro Joe Biden
Di Stefano Graziosi
È una vera e propria bomba quella scoppiata nella campagna elettorale per le presidenziali del 2024. La scorsa settimana, è stato pubblicato il rapporto investigativo del procuratore speciale, Robert Hur, dedicato all’inchiesta sui documenti classificati indebitamente trattenuti da Joe Biden. Nonostante quest’ultimo non sia stato incriminato, sono almeno due gli elementi che potrebbero rivelarsi devastanti per le chances di rielezione del presidente americano.
Innanzitutto, Hur ha stabilito che Biden ha trattenuto quegli incartamenti “intenzionalmente”. In secondo luogo, particolarmente problematica per il presidente è la motivazione che ha spinto il procuratore a non procedere con l’incriminazione. Quest’ultimo ha infatti scritto di aver “considerato che, al processo, il signor Biden probabilmente si sarebbe presentato a una giuria, come ha fatto nel nostro interrogatorio con lui: ovvero come un uomo empatico, ben intenzionato, anziano e con scarsa memoria”. E attenzione: non si tratta dell’unico passaggio del rapporto a sottolineare i problemi di lucidità del presidente. “Nel suo interrogatorio con il nostro ufficio, la memoria del signor Biden era peggiore. Non ricordava quando era vicepresidente, dimenticandosi nel primo giorno del colloquio quando terminò il suo mandato”, recita il rapporto, che prosegue: “Non ricordava, nemmeno dopo diversi anni, quando morì suo figlio Beau”.
Ora, che Biden abbia dei problemi di lucidità è noto almeno dal 2019. Tuttavia stavolta tali problemi sono stati ufficialmente registrati in un documento giudiziario ufficiale. È ovvio come, da questo punto di vista, si delinei all’orizzonte una grana di non poco conto per la sua campagna presidenziale. Del resto, pochi giorni prima della pubblicazione del rapporto di Hur, un sondaggio di Nbc News aveva registrato che il 76% degli americani sono preoccupati per l’età di Biden. La situazione è ulteriormente peggiorata l’11 febbraio scorso, quando è stata pubblicata una rilevazione di Abc News, secondo cui l’86% degli americani ritiene che l’attuale presidente risulterebbe troppo vecchio per un secondo mandato. Come se non bastasse, durante l’irritatissima conferenza stampa in cui ha replicato a Hur, Biden ha commesso l’ennesima gaffe, definendo il leader egiziano al Sisi come il “presidente del Messico”. Infine, a destare preoccupazione è stato anche il fatto che l’inquilino della Casa Bianca ha evitato di rilasciare, per il secondo anno di fila, la consueta intervista in occasione del Super Bowl.
Eppure la memoria rappresenta soltanto una parte del problema. Come abbiamo visto, Hur ha rinvenuto prove del fatto che Biden avrebbe trattenuto “intenzionalmente” quei documenti classificati. Non ha proceduto con l’incriminazione solo perché convinto che, trovandosi davanti a una persona anziana e fondamentalmente smemorata, la giuria avrebbe potuto sollevare il ragionevole dubbio. Si tratta di un’analogia un po’ inquietante con quanto accadde a luglio del 2016, quando l’allora direttore dell’Fbi, James Comey, evitò di incriminare Hillary Clinton sullo scandalo delle email, non rinunciando tuttavia a bollarla come “estremamente imprudente”. A novembre di quello stesso anno, l’ex first lady perse le elezioni presidenziali contro Trump.
Certo, i sostenitori di Biden enfatizzano che, nel rapporto, Hur ha sottolineato la cooperazione dell’attuale presidente con il Dipartimento di Giustizia: un modo per rimarcare la differenza rispetto a un Trump, che non è oggettivamente stato granché collaborativo con i federali sui documenti classificati che si era portato via dalla Casa Bianca. Tuttavia occorrono anche due precisazioni. Primo: il Dipartimento di Giustizia con cui si è interfacciato Biden era (ed è) guidato da un uomo nominato da lui stesso, Merrick Garland. Quel Garland che, a gennaio 2023, designò a sua volta Hur come procuratore speciale. Secondo: non va trascurato che l’attuale Dipartimento di Giustizia concesse di fatto un trattamento di favore all’attuale presidente americano. Il primo ritrovamento di suoi documenti classificati risaliva infatti al 2 novembre 2022, mentre la notizia divenne di dominio pubblico soltanto a inizio gennaio del 2023. Tutto fu tenuto quindi a tacere per due mesi, probabilmente anche in considerazione del fatto che, l’8 novembre 2022, si sarebbero svolte le elezioni di metà mandato. Quando quindi qualcuno parla di “doppiopesismo” forse non ha proprio tutti i torti.
Come che sia, adesso il nodo è soprattutto politico. La Casa Bianca ha fatto quadrato attorno al presidente, criticando Hur per le sue affermazioni sulla memoria di Biden. Eppure, negli scorsi giorni, si sono registrati numerosi scricchiolii in area dem. Vari parlamentari e funzionari del Partito democratico hanno espresso significative titubanze, parlando sotto anonimato a varie testate, tra cui Axios e Nbc News. Preoccupazioni sono inoltre state palesate dall’ex consigliere di Barack Obama, David Axelrod, che già in passato si era mostrato scettico sulla ricandidatura di Biden. Il rischio, per il presidente, è che il rapporto di Hur non si limiti ad azzopparlo nel gradimento elettorale. Questo documento potrebbe essere infatti utilizzato come leva interna per spingere l’inquilino della Casa Bianca a fare un passo indietro in occasione della prossima Convention nazionale del partito. Fantapolitica? Forse sì, forse no. Ma siamo quasi certi del fatto che, almeno al momento, Trump non si sta augurando un siluramento di Biden.