Esteri

Norvegia, pronte le trivelle sui fondali dell’Artico. La questione dei ghiacciai

29
Gennaio 2024
Di Giampiero Cinelli

Ci sono le nuove geometrie del mercato energetico da consolidare dopo l’attacco della Russia in Europa, ci sono tonnellate di materiali da tirare fuori per produrre le nuove tecnologie della transizione. Allora ecco che la Norvegia acquista più peso nel quadro internazionale, puntando massicciamente all’estrazione da fondali marini e anche aree ghiacciate.

Il piano

Dopo l’approvazione da parte del Parlamento di Oslo di una legge sulla trivellazione su larga scala nei fondali, manca solo il via libera ai piani da parte del governo in seguito ad accertamenti sull’impatto. L’industria estrattiva del Paese scandinavo si appresta ad esplorare ed eventualmente estrarre i metalli preziosi fondamentali in un’area di 280.000 km2 nell’Artico, grande quasi quanto l’Italia. La ricerca potrebbe rivelarsi fondamentale per produrre le batterie elettriche. Il mondo ora chiede cobalto, nichel, zinco, manganese, rame per i cavi, ma anche oro e argento che vengono utilizzati per i circuiti elettronici.

Le critiche

Per ora il programma riguarda solo le acque della Norvegia e potrebbero arrivare accordi per operazioni in quadranti internazionali. Le preoccupazioni sulle ricadute ambientali sono forti e si fanno sentire da parte della comunità scientifica. Il problema potrebbe essere il rilascio di un ingente quantità di metri cubi di metano a un livello più basso del mare, di scarti e residui di materiali, che possono alterare chimicamente l’ecosistema della fauna marina. Nel caso poi la massa di gas dovesse rilevarsi eccessiva, ci sarebbero implicazioni in termini di clima.

Finora non c’è allarme

Sono stati condotti studi che suggeriscono la giusta cautela (legata principalmente al processo di scioglimento già in atto), tuttavia non sono ancora emersi elementi allarmanti per quanto riguarda soprattutto il rilascio di metri cubi nei pressi delle zone abitate. Nell’artico norvegese infatti si trovano le Isole Svalbard, che ospitano gli ultimi insediamenti umani prima del Polo Nord, che da lì dista 1.300 Km. In questo arcipelago non si raggiungono mai più di 8 C° e c’è molta attenzione al possibile aumento della temperatura vista l’attitudine turistica del luogo, molto frequentato per escursioni e arrampicate sui ghiacciai montuosi. Ghiacciai e permafrost, lo strato di ghiaccio perenne, che alle Svalbard, secondo gli esperti, se trivellato, e ciò è contemplato, può liberare buone quantità di gas tuttavia non ancora stimate precisamente.

Sì all’astrazione, ma con raccomandazioni

La contrarietà di certi studiosi infatti non riguarda l’attività di estrazione in sé, ma quella in zone più a rischio e cruciali da un punto di vista di equilibrio ambientale. L’Autorità internazionale per i fondali marini (Isa) – istituita dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare – si riunirà quest’anno per mettere a punto nuove regole atte a limitare l’impatto ambientale delle attività estrattive. Non si pensa che l’ente arrivi a mettere un veto tout court, visto che ha concesso vari mandati esplorativi ed altri sono allo studio, come anche in Inghilterra su impulso del premier Rishi Sunak.

Il quadro politico

Da un punto di vista politico generale, sembra chiaro che l’ambizione alla transizione ecologica stia dialogando (in altri casi lottando) con l’impulso opposto all’utilizzo dei combustibili fossili e al vantaggioso sfruttamento del suolo, con le controindicazioni che ha sempre comportato. Ma del resto è ingenuo pensare che dei fossili ci libereremo facilmente, nonostante le spinte degli organismi non governativi e le raccomandazioni sul superamento delle soglie della temperatura terrestre. Per molti commentatori le elezioni americane ci daranno preziose indicazioni sulla questione.