Esteri

Non è un’Europa per ong

17
Novembre 2022
Di Flavia Iannilli

«La priorità assoluta è la tutela della dignità delle persone. Questa è la lente attraverso cui mettere a fuoco le decisioni dell’Esecutivo a cui spetta il compito di governare i flussi migratori». Queste le parole con cui il Ministro dell’Interno Piantedosi ha aperto l’informativa in Senato sui flussi migratori con un focus particolare sui recenti interventi da parte delle ong nel Mediterraneo centrale.

Parole accompagnate da numeri particolarmente sostanziosi. I dati del ministero degli Interni parlano chiaro; i migranti sbarcati sulle coste italiane nel 2020 sono 32.111, nel 2021 aumentano arrivando a quota 59.246, il 2022 (dati fermi al 15 novembre) è l’anno in cui il ministero ha calcolato lo sbarco di quasi 93.000 migranti.

Un’analisi che porta il ministro a ribadire un concetto fondamentale: «L’Italia conosce bene il significato di dignità, anche come parametro di condotta. L’attenzione alla dignità non può fermarsi alle soglie dei centri di accoglienza». Una frase che può spaccare l’opinione pubblica, ma che trova una fedele compagna nella modalità con cui l’Italia si è adoperata nell’accoglienza dei profughi ucraini. Avendo superato la soglia dei 90mila arrivi, ossia il 60% in più rispetto all’anno precedente, il sistema è stato messo a dura prova soprattutto con l’entrata di 172mila persone che fuggono dalla guerra in Ucraina.

Cifre importanti che lasciano comprendere la segnalazione di saturazione da parte dei centri di accoglienza nazionali. A queste si aggiungono le 69mila richieste di asilo, il 56% in più rispetto al 2021. Di queste il 57% che è stato esaminato si è concluso con un diniego, perché? Significa che la maggior parte dei migranti approdati in Italia è mossa da ragioni economiche e conseguentemente non ha titolo per rimanere.

Per quanto l’Italia possa cercare di trovare un equilibrio tra i principi di solidarietà e la difesa dei propri confini è noto che ci sia bisogno di una politica europea specifica. Sperando che questo percorso trovi non solo ispirazione nella responsabilità di ogni nazione ma anche condivisione ed equa divisione tra i singoli Stati membri.

Ad oggi è chiaro che il paese si trovi in una situazione passiva e che quindi subisca le migrazioni piuttosto che governarle. In questo contesto si infiltra la maggiore preoccupazione dei governanti: come fermare la costola sostanziosa dell’illegalità legata agli sbarchi? Il ministro Piantedosi ha dichiarato: «Siamo per attivare corridoi umanitari per le persone vulnerabili, da usare come leva anche per i Paesi di origine e transito dei flussi. Dobbiamo creare percorsi legali di ingresso per i Paesi che collaborano alla prevenzione delle partenze illegali ed ai rimpatri, con un meccanismo premiale a favore dei Paesi più impegnati nel contrasto all’immigrazione illegale».

Ma ad alzare la polemica sono i soggetti privati che secondo Piantedosi rappresentano un fattore di attrazione sia per i flussi di migranti sia per le organizzazioni criminali che trovano basi solide nel modus operandi delle ong presenti nell’area. Le navi ong che hanno tenuto l’opinione pubblica attenta al tema, come la Ocean Viking, non battono bandiera italiana; nel caso specifico si tratta di una nave norvegese. Motivo per cui la Farnesina ha tenuto aperte le interlocuzioni con la Norvegia affinchè trovassero un posto sicuro per i migranti.

Una querelle tra solidarietà e responsabilità che nuoce ai migranti stessi, ma che non possono risolvere solo i paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Una situazione complessa che ha spinto gli stati aggravati dai flussi (Italia, Malta, Cipro e Grecia), complice la posizione geografica, ad arrivare ad una dichiarazione congiunta nei confronti dei paesi dell’Europa centrale (con particolare riferimento a Francia e Germania).

In attesa di capire se si arriverà ad una relocation tra gli Stati membri che sia adeguata rispetto al numero di sbarchi Piantedosi, numeri alla mano, ha dichiarato: «L’Italia è andata al di là dei suoi obblighi e non è mai venuta meno ai principi di solidarietà ed accoglienza, ma l’accoglienza ha un limite invalicabile nella capacità dello Stato di destinazione dei flussi di assicurare percorsi di integrazione efficaci».