Esteri

Medio Oriente-Ucraina: dall’estate all’autunno, guerre per tutte le stagioni

26
Agosto 2024
Di Giampiero Gramaglia

L’estate delle guerre, in Ucraina e nel Medio Oriente, trascorre senza avvisaglie di pace. Anzi, sui
due fronti, i conflitti si allargano e si complicano. E la prospettiva delle presidenziali statunitensi il 5
novembre, la cui partita, che pareva scontata, si riapre, introduce nuove variabili nei calcoli dei
diversi protagonisti, che, però, sembrano sempre prescindere dal numero di vittime fatte e dalle
sofferenze delle popolazioni civili.
Con Donald Trump avviato verso una vittoria pressoché sicura, com’era fino al 21 luglio, cioè fino al
giorno del ritiro di Joe Biden, i calcoli geopolitici erano presto fatti: l’Israele di Benjamin Netanyahu non
aveva stimoli a negoziare e a fare concessioni, in attesa del cambio della guardia alla Casa Bianca, da cui
avrebbe sicuramente ricavato un sostegno maggiore; invece, l’Ucraina di Volodymyr Zelensky poteva
avere fretta d’intavolare una trattativa, prima che Trump arrivasse a negarle, da un giorno all’altro, aiuti e
speranze.

Ucraina: un’offensiva dalle ragioni e dalle implicazioni controverse
Tra Russia e Ucraina, l’apertura di un fronte in territorio russo, nell’area di Kursk, sembrava, sulle prime,
un’azione dimostrativa: un’incursione per dimostrare ai russi di essere capaci di rendere ‘pan per focaccia’
e per mostrare al Mondo la vulnerabilità dell’orso russo; per fiaccare la certezza nella vittoria dei russi; e
magari anche per riconquistare un po’ d’attenzione mediatica e restituire un po’ di fiducia ai propri
cittadini.
Ma l’incursione, avviata il 6 agosto e che all’inizio si credeva destinata a essere una fiammata di breve
durata, è andata avanti per tre settimane e ancora tiene a fine agosto, mentre contemporaneamente i russi guadagnavano terreno sul fronte ucraino, specie nel Donetsk. All’inizio, s’era ipotizzato che l’attacco a Kursk fosse stato lanciato per fare saltare contatti segretamente in atto per un cessate-il-fuoco, parziale e provvisorio, tra Russia e Ucraina, limitato alle infrastrutture industriali ed energetiche. I negoziati
dovevano svolgersi a settembre a Doha con la formula che, nell’estate del 2022, aveva condotto alla ‘pace
del grano’, cioè trattative separate tra i mediatori e le delegazioni russa e ucraina, senza contatti diretti fra
le due parti belligeranti.
Adesso, si ipotizza che l’offensiva sia stata scatenata con l’obiettivo di acquisire carte da giocare al tavolo
della trattativa, che, però, ancora non s’intravvede e che forse è un’invenzione mediatica. Anche se c’è
fermento diplomatico, con la discesa in campo dell’India – magari solo in funzione anti – Cina – e
l’allestimento di un secondo round della fantomatica Conferenza di Pace svizzera.
Intanto, l’iniziativa ucraina apre dibattiti e pone interrogativi in Occidente, in Europa e negli Stati Uniti, se
l’uso delle armi fornite a Kiev per difendersi ne copra anche l’uso in operazioni offensive sul suolo
nemico. C’è chi non ha dubbi in merito, come il ‘capo della diplomazia’ europea uscente Josep Borrell; ma
alcune capitali europee e la stessa Washington danno risposte più articolate, fermo restando che
l’aggressore rimane la Russia, che il 24 febbraio 2022 scatenò l’invasione dell’Ucraina.

Medio Oriente: israeliani e palestinesi, la pace la vogliono gli altri
Dubbi e interrogativi agitano l’Occidente pure per la guerra in Medio Oriente, dopo un mese vissuto con il fiato sospeso nell’attesa della risposta sciita–iraniana, e anche degli Hezbiollah e delle milizie in Siria e in
Iraq, al doppio attacco di Israele del 29 e 30 luglio, a Beirut e a Teheran. La risposta, finora, non c’è stata,
ma il conflitto ha continuato a sciorinare tutta la sua gamma d’orrori e atrocità: raid e attacchi nella
Striscia di Gaza; tiri di razzi su Israele e risposte israeliane; recupero di ostaggi, a prezzo di molte vittime,
ma anche rinvenimento di cadaveri di ostaggi.
Le trattative, che parevano arenate, per una tregua in cambio della liberazione degli ostaggi tuttora
detenuti da Hamas dopo i raid terroristici del 7 ottobre 2023 – presto sarà un anno – sono ripartite, anche
solo per procrastinare e magari smorzare la risposta iraniana. Ma il copione, sempre lo stesso, è ormai
stantio: quando un accordo pare vicino, qualcosa – una strage nella Striscia in una scuola, o un ‘attacco
preventivo’ contro postazioni hezbollah come quello del 25 agosto – lo blocca e lo rende, in quel
momento, impraticabile.
E, intanto, il conflitto consuma la sua litania di azioni letali: i morti nella Striscia superano i 40 mila,
soprattutto civili, donne, bambini; l’equilibrio del terrore al confine tra Libano e Israele è sottilissimo, con provocazioni Hezbollah e repliche israeliane; e il rischio di escalation regionale, d’una deflagrazione su
più fronti, non è affatto sventato.
Il presidente Biden manda per l’ennesima volta, la nona, il segretario di Stato Antony Blinken a fare un
buco nell’acqua in Medio Oriente. Ma, intanto, prigioniero delle sue stesse contraddizioni, rafforza il
dispositivo militare degli Stati Uniti nel Mediterraneo, a garanzia del diritto alla difesa israeliano.
Biden stesso dice che “è il momento migliore per fare un accordo”, ripete che questa potrebbe essere
“l’ultima chance”.Ma il momento migliore per Biden e per i democratici, che dall’intesa ricaverebbero una
spinta per la campagna elettorale verso Usa 2024, non è necessariamente percepito come il momento
migliore per le parti in causa, Israele da una parte, Hamas e i suoi fiancheggiatori dall’altra, entrambe
relativamente indifferenti alle vittime civili della loro guerra e tese solo a realizzare i loro obiettivi,
essenzialmente antitetici.