Esteri
Le paure di attentati e rivolte continuano a cavalcare le elezioni in Colombia
Di Flavia Iannilli
Nel giorno del primo turno delle elezioni presidenziali colombiane la sinistra assaggia la possibilità di vittoria, ma con lo spettro della paura. Anche in Colombia il ’48 è stato un anno segnato dalle rivolte, in questo caso causate da un attentato. Memori di quegli avvenimenti che diedero il via ad una serie di omicidi che si fermarono, parzialmente, solo negli anni ’90, i colombiani oggi temono il magnicidio.
Stando all’agenzia Nova un’indagine diffusa il 15 maggio dal TYSE (società tecnologia e servizi elettorali) il candidato per la sinistra di Pacto Historico Gustavo Petro, economista e politico, è in testa con il 36,64% delle preferenze contro il 21,40% dello sfidante di centro destra di Equipo por Colombia Federico “Fico” Gutierrez.
Ma a far tremare le stime del sondaggio è la scesa in campo dell’outsider Rodolfo Hernàndez, leader della Lega dei governanti anticorruzione e meglio conosciuto come il “Trump colombiano”.
Seguono con percentuali meno rilevanti Sergio Fajardo di Centro Esperanza – centro sinistra – e Ingrid Betancourt, ex prigioniera delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC).
Nonostante la calma apparente l’aria si taglia con i coltelli, complici i circa tre mesi che mancano alle elezioni legislative ed un Parlamento, decisamente molto più frammentato rispetto agli anni precedenti, rinnovato nel mese di marzo. A mettere benzina sul fuoco è il capo dell’esercito, il generale Eduardo Zapateiro, che su Twitter ha accusato Petro di essere un pericolo e, noncurante della legge che vieta ai militari di interferire nella politica del paese, ha concluso con un poco rassicurante “Va fermato anche con un golpe”.
Il fatto che le parole dell’alto ufficiale possano realizzarsi è direttamente proporzionale all’aumento delle possibilità di vittoria di Petro. A quanto pare le 5.733 uccisioni da parte di militari e paramilitari intercorse tra il 1984 e il 2016 rischiano di non rimanere un ricordo. Dalla morte di Gaitàn, che scatenò il bogotazo, passando a quella di Galàn, che si oppose a Escobar, fino a Pizarro, leader del M-19 (organizzazione guerrigliera in cui militava anche Petro), la Colombia non riesce a scacciare i fantasmi del passato; un incubo che torna vivo ad ogni elezione.
Elezioni che catturano l’attenzione anche del Patto Atlantico, perché la Colombia nel tempo si è guadagnata lo status di “Partner across the globe” della NATO. Oltre ad essere il primo paese latinoamericano ad entrare a far parte del gruppo di Stati non membri (di cui già facevano parte Australia e Giappone), la Colombia riceverà da Washington la designazione di “Major Non-NATO Ally” (MNNA) senza dover far fronte agli obblighi della Carta atlantica vigenti per i paesi membri. La nomina all’MNNA comprende una cooperazione bilaterale con un focus su otto aree chiave: lotta alla pandemia, democrazia, sviluppo rurale, sicurezza e difesa, istruzione, migrazioni, cambiamento climatico, sviluppo economico.
Questa opportunità però è arrivata al termine del mandato di Duque, presidente particolarmente vicino agli Stati Uniti. Dall’esito delle elezioni presidenziali potrebbe derivare un cambiamento dei rapporti tra Colombia e Usa. Un sottile equilibrio che per un osservatore interessato alle dinamiche interne al paese fa volgere l’attenzione anche sui trattati di pace del 2016 tra governo colombiano e FARC.
In attesa di abbandonare i pronostici e sapere il risultato delle elezioni si spera di non dover ricordare le parole di Luis Carlos Galàn: «Gli esseri umani si possono uccidere, le idee no. Anzi, a volte, quando si uccidono gli esseri umani le idee diventano più forti» leader del Partito liberale ucciso nel 1989 per essersi opposto coraggiosamente a Pablo Escobar.