Esteri
La missione di Netanyahu negli Usa evidenzia differenze, ma sfocia nei negoziati a Roma
Di Giampiero Gramaglia
Non ci sono stati molti momenti, nella lunga visita negli Stati Uniti di Benjamin Netanyahu, in cui il premier israeliano s’è sentito a suo agio: uno è stato, ieri, a fine viaggio, l’incontro a Mar-a-lago in Florida con l’ex presidente Donald Trump; e un altro il colloquio a Washington, dopo il discorso al Congresso, con Elon Musk, con cui ha discusso di massimi sistemi, tipo l’intelligenza artificiale e il loro impatto su economia e società, ma anche – più concretamente – di cooperazione tecnologiche tra Israele e le aziende del guru.
Con toni diversi dal presidente Joe Biden e dalla candidata democratica a Usa 2024 Kamala Harris, pure Trump, però, gli ha detto che è ora che la guerra nella Striscia di Gaza finisca, o almeno cali d’intensità, faccia meno vittime, perché l’immagine d’Israele nel Mondo si sta offuscando. E, forse, i negoziati, domani, a Roma, fra servizi d’intelligence di Israele e Hamas, con la mediazione di Usa, Egitto e Qatar, sono anche frutto dell’accoglienza ricevuta da Netanyahu negli Stati Uniti.
L’ambasciatore Michele Valenzise, sull’Huffington Post, sintetizza così il messaggio di Netanyahu ai suoi interlocutori: “Che il presidente sia Harris o Trump, l’America dovrà occuparsi dell’Iran”; pensiero che il premier ha icasticamente espresso chiamando i suoi contestatori “utili idioti dell’Iran”. Se l’appello è uno, le risposte sono state diverse.
Il premier israeliano è stato il primo leader internazionale a tastare il posto dei nuovi protagonisti della campagna elettorale di Usa 2024, dopo l’uscita di scena del presidente Biden, che s’è ritirato dalla corsa alla Casa Bianca. A Washington per cinque giorni, Netanyahu aveva un‘agenda fitta: mercoledì, il discorso al Congresso in sessione plenaria; giovedì, i colloqui con Biden e la sua vice – ed ora candidata democratica – Kamala Harris; venerdì la visita a Trump, ex presidente e ora candidato repubblicano.
Nei vari incontri, climi ben diversi. L’atmosfera per Netanyahu a Washington è pesante. Le tensioni tra l’Amministrazione Biden e il governo israeliano sono cresciute con la frustrazione per come Israele conduce la guerra nella Striscia di Gaza, con poco rispetto per la vita dei civili palestinesi.
Il conflitto è stato innescato dagli attacchi terroristici condotti da Hamas e da altri gruppi palestinesi in territorio israeliano il 7 ottobre: circa 1200 le vittime e centinaia gli ostaggi catturati, un centinaio dei quali non sono ancora stati restituiti alle loro famiglie – e di molti si ignora la sorte -. La guerra, che va avanti da quasi 300 giorni, ha poi fatto, secondo il Ministero della Sanità palestinese, quasi 40 mila morti, soprattutto civili, donne e bambini, ed oltre 90 mila feriti. Più d’un abitante di Gaza su 20 è stato ucciso o feriti, quasi tutti sono stati costretti a evacuare le loro case.
Usa-Israele: l’intervento di Netanyahu nel Congresso evidenzia la spaccatura in America
Al Congresso, Netanyahu fa un discorso “acceso e aspro” – la definizione è dell’Ap –: il premier difende la guerra condotta da Israele nella Striscia di Gaza e non offre un piano per il dopoguerra.
Un centinaio di congressman democratici e la Harris, che presiede il Senato, disertano l’aula durante l’intervento, mentre sotto il Campidoglio migliaia di manifestanti scandiscono “Palestina libera” – la polizia usa spray al peperoncino per contenere la protesta -. La vigilia, c’erano stati decine di arresti, sotto la Rotunda.
Fra le assenze dichiarate, quelle della deputata Alexandria Ocasio-Cortez che considera Netanyahu un criminale di guerra, e del senatore Bernie Sanders, ebreo. Sanders spiega: “Sono d’accordo che Netanyahu e Yahya Sinwar sono dei criminali di guerra”. In aula, c’era invece Rashida Tlaib, deputata musulmana del Michigan, ma solo per ostentare due cartelli, “criminale di guerra” e “genocidio”.
I repubblicani, invece, erano praticamente tutti presenti e hanno ripetutamente applaudito: del resto, l’invito a Netanyahu è una loro iniziativa.
Il discorso del premier e l’accoglienza riservatagli evidenziano la spaccatura tra democratici e repubblicani sulla guerra nella Striscia di Gaza e sui rapporti con Israele, che è uno stretto alleato degli Stati Uniti. Per l’ex speaker della Camera Nancy Pelosi, l’intervento di Netanyahu sarà stato “il peggiore mai pronunciato da un leader straniero nel Congresso Usa”.
Usa-Israele: gli incontri di Netanyahu con Biden e Harris
Giovedì, il premier israeliano ha incontrato, separatamente, alla Casa Bianca, il presidente Biden e la sua vice Harris. Con Biden, con cui i rapporti non sono mai stati fluidi, Netanyahu ha parlato dei rischi d’allargamento del conflitto e del ruolo dell’Iran. Biden ha, dal canto suo, insistito per una tregua e per la liberazione degli ostaggi. Ma, ufficialmente, è solo scaturito che Netanyahu ha ringraziato Biden per l’appoggio degli Stati Uniti a Israele.
E’ stata Harris a parlare, dopo il colloquio con Netanyahu, definito “franco e costruttivo”: vuol dire che non c’è stata intesa, ma chiarezza sulle rispettive posizioni. La vice di Biden vede la necessità di porre fine al conflitto, chiede un accordo che preveda cessate-il-fuoco e liberazione degli ostaggi, denuncia la situazione umanitaria nella Striscia, esprime ansia per le vittime civili e per i rifugiati. “Non resterò in silenzio”, assicura.
Per i media Usa, il fatto che sia stata Harris, non Biden, a parlare dell’incontro con Netanyahu “è la prova di quanto sia cambiato a Washington da quando il presidente ha rinunciato alla candidatura a un secondo mandato e la sua vice è diventata la candidata democratica ‘in pectore’”.
Il linguaggio di Harris irrita Israele, che la accusa di rendere più difficile la trattativa, e non soddisfa ancora gli americani pro- palestinesi. Ma qualcosa pare cambiare anche nella posizione di Trump sul Medio Oriente: il magnate, in un’intervista televisiva, dice che Israele deve cessare la guerra nella Striscia di Gaza, perché il conflitto ne sta compromettendo il prestigio. Non per i morti, dinque, ma per l’immagine.
Usa-Israele: la visita di Netanyahu a Trump
Il rilievo non impedisce all’ex presidente di srotolare il tappeto rosso per Netanyahu a Mar-a-Lago. Anzi, Trump coglie l’occasione per attaccare la sua rivale: “Parole sono irrispettose di Israele… Non so come un ebreo possa votarla… Abbiamo persone incompetenti a gestire il nostro Paese… Se vinciamo, tutto si sistemerà, e molto in fretta. Se non vinciamo, potrebbero accadere grandi guerre in Medio Oriente e forse una Terza guerra mondiale”. Si tratta del primo contatto tra i due dal 2020. C’è Sara, la moglie di Bibi, ma non c’è Melania, la moglie molto elusiva in questa campagna di The Donald. Trump ripete che, con lui presidente, Hamas non avrebbe mai attaccato Israele, ma senza spiegare perché non sarebbe successo e senza dire come lui farà finire il conflitto.
Probabile che, se tornasse alla Casa Bianca, darebbe carta bianca all’alleato, pure sul futuro di Gaza e della Palestina. Del resto nel suo mandato ha condotto una politica a senso unico: ‘tabula rasa’ della soluzione dei due Stati, accordi di Abramo, spostamento dell’ambasciata a Gerusalemme, ok all’annessione delle Alture del Golan e agli insediamenti dei coloni in Cisgiordania, azzeramento degli aiuti ai palestinesi.