Esteri
Italia, Europa e Stati Uniti: il fronte occidentale a sostegno di Kiev
Di Beatrice Telesio di Toritto
Dopo alcune settimane di polemiche ed esitazioni, mercoledì i governi di Stati Uniti e Germania hanno annunciato ufficialmente la decisione di inviare armi (carri armati pesanti) a Kiev, con modalità diluite nel tempo, assecondando così le richieste del Presidente Zelensky. Quarantacinque in tutto, di cui trentuno “M1 Abrams” da parte degli Stati Uniti e quattordici “Leopard 2” da parte della Germania, a cui si sommeranno anche quelli inviati da altri paesi europei, anche se in un numero ancora da definire. Si tratta di mezzi militari da combattimento più potenti di quelli che l’Ucraina ha attualmente in dotazione e per questo più adatti, secondo i governi occidentali, alla resistenza contro l’invasione russa. Pur sottolineando come la decisione non abbia alcuna natura offensiva contro Mosca, il Presidente americano Biden, dopo aver avuto un colloquio telefonico con quattro leader europei, tra cui la premier italiana Meloni, rivendica l’unità dell’Occidente sulla questione che oggi appare sempre più compatto nel sostenere Kiev. Si delinea così il perimetro del rinnovato impegno militare dei Paesi appartenenti alla NATO nei confronti dell’Ucraina evidenziandone il ruolo ancora più attivo nel conflitto. Come scrive Paolo Mieli sul Corriere della Sera: “Non è vero che con la decisione congiunta di Stati Uniti ed Europa di inviare in Ucraina alcune decine di carri armati di nuova generazione si sia saliti di un gradino sulla scala che porta alla guerra mondiale. Forse è stato consentito all’Ucraina di resistere ancora per l’anno in corso, niente di più. (…) In assoluto, quel che conta – e che irrita Mosca – è il valore simbolico del fatto che ancora una volta Stati Uniti ed Europa sono riusciti a restare insieme”. Considerazione, questa, tutt’altro che scontata e come tale alquanto preziosa.
A pensarla diversamente sembra però essere il deputato democratico e coordinatore di Articolo Uno Arturo Scotto che, in riferimento al Dl Ucraina per l’invio di armi a Kiev, visionato questa settimana alla Camera, ha sottolineato come questo sia un segno di escalation militare e che “vincere contro una potenza nucleare non è possibile, a meno che si metta in conto l’Armageddon”. Una dichiarazione, questa, che sembra mettere in luce le differenze di opinione all’interno del partito stesso. Nell’aula di Montecitorio, infatti, insieme al Movimento 5 Stelle e all’Alleanza Verdi e Sinistra, anche tra le file del Partito democratico, come già avvenuto a Palazzo Madama sullo stesso provvedimento, qualcuno si è sfilato dall’indicazione di voto del gruppo. In ogni caso, nonostante i 46 voti contrari al provvedimento, il testo è stato approvato in via definitiva con larga maggioranza, sancendo la proroga della cessione di armamenti a Kiev fino al 31 dicembre 2023. Il Parlamento ha così deciso di rimanere in linea con quanto stabilito negli undici mesi precedenti, anche se da un altro Governo, rafforzando ancora una volta la posizione dell’Italia nell’asse atlantico. La premier italiana Giorgia Meloni ha infatti ribadito con decisione il «sostegno a Kiev a 360 gradi» da parte italiana e, per questo, incassato il ringraziamento del presidente americano. Sulla stessa linea, anche il Ministro della Difesa Guido Crosetto che mercoledì ha svolto un’audizione in Parlamento per illustrare le linee programmatiche del suo dicastero. Il sesto decreto armi sarà, secondo il Ministro, «a prova di pacifisti», essendo il meno bellicoso dei precedenti e l’unico che prevede l’invio di solo armi difensive. Il ministro ha inoltre dichiarato che, alla luce degli aiuti che l’Italia ha fornito e continuerà a fornire a Kiev, si rende necessario un ripristino delle scorte che servono alla Difesa nazionale, così come anche una profonda evoluzione in chiave interforze dello strumento militare sul piano ordinativo, logistico, tecnologico e normativo. Il tutto con l’obiettivo, non certo banale ma sicuramente auspicabile, di accrescere la rilevanza e il peso dell’Italia nei processi decisionali internazionali.
In quest’ottica si inseriscono i recenti viaggi internazionali dell’esecutivo, prima nei Balcani, poi in Turchia, Libano, Tunisia, Egitto, Algeria e, nelle prossime ore, in Libia. Come si evince dalle visite stesse, al centro dell’azione diplomatica del Governo Meloni resta il Mediterraneo. A confermarlo anche il Ministro degli Esteri Antonio Tajani che, rispondendo a un’interrogazione alla Camera sulla questione, ha dichiarato: «Il Mediterraneo è lo snodo centrale della politica estera dell’Italia e di questo Governo, è un crocevia millenario di relazioni e scambi fondati su radici comuni. Vogliamo che l’Italia sia sempre più protagonista nei rapporti con la sponda Sud e in quelli tra Europa e Africa. Agendo diversamente i vuoti che lasciamo saranno recuperati da altri».