Esteri
Il rapporto di Draghi sul futuro dell’Ue: “L’Ue cambi radicalmente” (il documento integrale)
Di Ilaria Donatio
Finalmente il giorno della presentazione è arrivato: Mario Draghi ha illustrato il contenuto del suo rapporto sulla competitività europea dopo un lavoro durato mesi, in cui l’ex premier italiano ha analizzato i fattori sociali, economici e politici di sviluppo per l’Unione europea. Un rapporto visto da molti – in Italia e non – come l’agenda dell’Europa nei prossimi anni.
Commissionata un anno fa, la relazione pubblicata oggi, lunedì 9 settembre (versione integrale del documento in calce al pezzo) contiene innanzi tutto un’urgenza e una necessità: l’urgenza che le istituzioni cooperino presto tra loro e la necessità di riflettere a eventuali riforme istituzionali.
Il lavoro dell’ex governatore della Bce – presentato la scorsa settimana sia ai rappresentanti diplomatici dei Paesi membri sia ai capigruppo parlamentari – è uno spaccato impietoso della situazione economica in Europa.
Per diventare più produttiva, l’Europa cambi radicalmente
“I valori fondamentali dell’Europa sono prosperità, equità, libertà, pace e democrazia in un ambiente sostenibile. L’Ue esiste per garantire che gli europei possano sempre beneficiare di questi diritti fondamentali. Se l’Europa non sarà più in grado di garantirli avrà perso la sua ragione d’essere. L’unico modo per affrontare questa sfida è crescere e diventare più produttivi, preservando i nostri valori di equità e inclusione sociale. L’unico modo per diventare più produttiva è che l’Europa cambi radicalmente” sono tra le prime idee scritte da Mario Draghi nell’introduzione al suo Rapporto. Secondo l’ex Bce la produttività “è una sfida esistenziale per l’Ue”.
Cosa manca per Draghi all’Europa?
“L’Europa manca di concentrazione. Articoliamo obiettivi comuni, ma non li sosteniamo fissando priorità chiare e non li sosteniamo con azioni politiche congiunte. Per esempio, sosteniamo di favorire l’innovazione, ma continuiamo ad aggiungere oneri normativi alle imprese europee, che sono particolarmente costosi per le pmi. Più della metà delle pmi europee indica gli ostacoli normativi e gli oneri amministrativi come la loro più grande sfida”, scrive ancora Draghi.
“L’Europa sta sprecando le sue risorse comuni. Abbiamo una grande capacità di spesa collettiva, ma lo diluiamo in molteplici strumenti nazionali e comunitari. Ad esempio, non stiamo ancora unendo le forze nell’industria della difesa per aiutare le nostre aziende a integrarsi e a raggiungere la scala. Gli acquisti collaborativi europei hanno rappresentato meno di un meno di un quinto della spesa per l’acquisto di attrezzature per la difesa nel 2022. Inoltre, non favoriamo le imprese europee della difesa competitive. Tra la metà del 2022 e la metà del 2023, il 78% della spesa totale per gli acquisti è andato a fornitori extra-UE, di cui il 63% agli Stati Uniti”, spiega l’ex presidente della Bce.
Ancora. Il divario di crescita tra Stati Uniti ed Unione europea, sulla base dei prezzi del 2015, è passato dal 15% nel 2002 al 30% nel 2023. La quota di settori nei quali la Cina compete direttamente con la UE è salita dal 25% nel 2002 al 40% oggi. Infine, sulle 50 più importanti società tecnologiche mondiali, solo quattro sono europee.
I tre fronti su cui agire
Come anticipato nei suoi discorsi di questi ultimi mesi, l’ex banchiere centrale è convinto che l’Europa debba agire soprattutto su tre fronti: l’innovazione, l’energia, e la sicurezza (in un contesto di crescente unilateralismo degli Stati Uniti “la sicurezza è un prerequisito per una crescita sostenibile”). In buona sostanza si tratta di promuovere l’innovazione così come di ridurre i costi e le dipendenze nel settore dell’energia e della difesa.
“Affinché la strategia delineata in questo rapporto abbia successo, dobbiamo iniziare con una valutazione comune della nostra postura, degli obiettivi a cui vogliamo dare priorità, dei rischi che vogliamo evitare e dei compromessi che siamo disposti a fare – scrive l’autore. Dobbiamo avere una nuova visione della cooperazione sia nella rimozione degli ostacoli che nell’armonizzazione di regole e leggi così come nel coordinamento delle politiche”.
Nella sua relazione l’ex premier italiano sostiene, poi, la necessità di completare il mercato unico (come previsto dal Rapporto Letta); rendere più coerenti tra loro politiche industriali, commerciali e della concorrenza (“l’attenzione di tali politiche dovrebbe essere rivolta ai settori piuttosto che alle aziende”); finanziare in comune “beni pubblici europei”; e infine riformare il governo dell’Unione europea, riducendo gli oneri amministrativi dove è possibile ma anche delegando al centro dove è necessario.
Il tema degli aiuti di Stato è delicato. In questi anni, Bruxelles è stata chiamata a trovare un difficile equilibrio tra la preservazione della libera concorrenza e la promozione di imprese di livello continentale. Sostiene il rapporto di Mario Draghi: “Poiché l’innovazione nel settore tecnologico è rapida e richiede bilanci consistenti, le analisi relative alle fusioni dovrebbero valutare in che modo la concentrazione proposta influirà sul futuro dell’innovazione nei settori prioritari”.
Debito in comune
Il tema del finanziamento dell’economia è cruciale. “Per massimizzare la produttività, sarà necessario un finanziamento congiunto negli investimenti in beni pubblici europei fondamentali, come per esempio i settori più innovativi”, si legge nel rapporto. “Per raggiungere gli obiettivi indicati nella presente relazione, è necessario un investimento aggiuntivo annuale minimo di 750-800 miliardi di euro, secondo le ultime stime della Commissione, pari al 4,4-4,7% del PIL della UE nel 2023”.
“L’Unione dovrebbe orientarsi verso l’emissione regolare di strumenti di debito comune per consentire progetti di investimento congiunti tra gli Stati membri e contribuire all’integrazione dei mercati dei capitali”, aggiunge l’ex banchiere, riferendosi all’esempio del NextGenerationEU. Tra le altre cose, Mario Draghi suggerisce che “gli Stati membri potrebbero prendere in considerazione la possibilità di aumentare le risorse a disposizione della Commissione rinviando il rimborso dei NGEU”.
Il nodo istituzionale
Infine, il nodo finanziario si lega alle questioni istituzionali: “Una nuova strategia industriale a livello europeo – sostiene l’autore – non avrà successo senza cambiamenti paralleli nell’assetto istituzionale e nel funzionamento dell’Unione”. In questo senso, l’ex banchiere propone di incentivare misure a favore della competitività usando il bilancio comunitario, di ridurre il numero di scelte prese all’unanimità dei paesi membri, e di consentire in ultima analisi cooperazioni rafforzate.
Il rapporto contiene anche un richiamo all’urgenza di applicare in modo più efficace il principio di sussidiarietà. Non solo l’iter legislativo è lungo in media 19 mesi, ma la stessa attività normativa della Commissione è cresciuta “eccessivamente”. L’ex premier Draghi giunge a una doppia conclusione: da un lato i parlamenti nazionali dovrebbero esaminare le iniziative comunitarie per garantire maggiore sussidiarietà; dall’altro le stesse istituzioni europee dovrebbero avere “un maggiore autocontrollo”.