Uno degli obiettivi che ha spinto la Federazione Russa ad invadere l’Ucraina era quello di impedire lo scivolamento di Kiev nell’Alleanza Atlantica, l’evoluzione del conflitto ha posto però Mosca davanti a uno degli scenari peggiori che potesse attendersi: rafforzare la Nato con nuovi membri e ritrovare lungo i propri confini stati legati a doppio filo con Washington. L’incubo di Vladimir Putin. Mercoledì Finlandia e Svezia hanno ufficialmente presentato la loro richiesta di ingresso nella Nato. Una richiesta “gemella”: entrambi guidati da governi socialdemocratici, entrambi guidati da governi presieduti da donne. Sono la finandese Sanna Marin e la svedese Magdalena Andersson le protagoniste della settimana, unite nella ricerca di un nuovo ombrello. Entrambe in viaggio. La prima ha fatto coincidere la richiesta di ingresso con una visita in Italia, accolta con tutti gli onori a Palazzo Chigi da Mario Draghi. La seconda è volata a Washington da Biden: «non vedo l’ora di lavorare con il Congresso e con i nostri alleati per portare in fretta Finlandia e Svezia nella più forte alleanza difensiva della storia», ha detto il presidente statunitense.
L’ingresso nella Nato dei due paesi nordici è stato definito non a torto “storico” dal presidente dell’Alleanza Jens Stoltenberg. Due le principali ragioni – connesse tra loro. La prima, la fine della tradizionale neutralità dei due Paesi. La seconda, le prevedibili e profonde ripercussioni che l’eventuale ratifica della richiesta parte dei 30 membri dell’Alleanza potrebbe portare agli assetti geostrategici dell’area baltica e artica.
La neutralità dei due Paesi ha origini lontane. La Svezia proclamò il suo status di neutralità nel 1834 con re Gustavo XIV e almeno sulla carta lo mantenne durante i due conflitti mondiali pur consentendo il transito nel suo territorio alle forze del Reich in funzione antisovietica, per raggiungere l’Armata Rossa che occupava la Finlandia. Helsinki dichiarò invece la propria neutralità durante la Guerra Fredda, ridefinendo successivamente la propria posizione in paese “non alleato”, non intenzionato a siglare alleanze di tipo militare, rinunciando ad azioni di mutuo soccorso. Il percorso di avvicinamento di Helsinki verso la Nato subisce un’accelerazione nel 2014 dopo che la Federazione Russa sconfinò nello spazio aereo finlandese, arrivando a definizione negli ultimi giorni.
L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia – con cui la Finlandia condivide un confine di 1.300 chilometri – la preoccupazione per una estensione del conflitto, i timori di una futura invasione o minaccia, hanno convinto il Paese a spingere fino in fondo l’acceleratore e cercare protezione sotto l’ombrello atlantico. Stesse le ragioni di Stoccolma. Nonostante la loro neutralità, i due Paesi ammettono da tempo la cooperazione di tipo militare. La Svezia, che guida un gruppo tattico della Ue, ha partecipato ad esercitazioni Nato e fa parte della Nordic Defence Cooperation di cui fanno parte altri Paesi membri dell’alleanza atlantica quali Danimarca, Islanda e Norvegia, oltre alla stessa Finlandia. Svedesi e finlandesi, è storia di questi giorni, prenderanno inoltre parte, in Estonia, nelle prossime settimane a Hedgehog, la più grande esercitazione militare dell’area baltica (15 mila soldati impegnati), in compagnia di altri 10 membri della Nato – Regno Unito e Stati Uniti compresi.
Una cosa è la cooperazione militare, un’altra è godere della protezione dell’art 5. Per arrivarci c’è bisogno di superare uno scoglio e armarsi di pazienza. L’ingresso nell’Alleanza necessita infatti dell’unanimità di tutti gli stati membri e Ankara ha già palesato la sua contrarietà. «Non diremo di sì all’ingresso nella Nato, un’organizzazione di sicurezza, a coloro che impongono sanzioni alla Turchia» ha detto il presidente Erdogan aggiungendo – riferendosi al sostegno di Stoccolma e Helsinki alle milizie curde dell’Ypg e al PKK – che «da entrambi i Paesi non c’è un atteggiamento chiaro nei confronti delle organizzazioni terroristiche». Finlandia e Svezia dovranno ora avviare un negoziato con i turchi nella speranza di trovare un compromesso. Guadagnato il placet di Ankara, dovranno aspettare i tempi della burocrazia atlantica: l’ingresso nella Nato non è un processo rapidissimo e richiederà non meno di un anno prima di arrivare a compimento. Nell’attesa, a “coprire” i due Paesi nordici da eventuali minacce non sarà la Ue. Ad essersi offerto è Boris Johnson, promettendo, in caso di attacco, l’intervento militare britannico, ombrello nucleare incluso. Una mossa agile di Bojo che con un viaggio a Stoccolma ha marginalizzato i paesi dell’Unione – Francia unica potenza nucleare europea in primis – e ha rilancia Londra nello scacchiere internazionale.
Ma come potrebbe cambiare il mondo con l’ingresso dei due Paesi nordici? Lo spiega bene il direttore di Limes Lucio Caracciolo: il Baltico, sul quale si affacciano Lettonia, Lituania ed Estonia, potrebbe diventare un “lago atlantico”, accentuando il senso di accerchiamento di cui la Russia da sempre soffre. Nell’Artico – dove con lo scioglimento dei ghiacci potrebbero aprirsi nei prossimi decenni nuove rotte commerciali – la Russia, che controlla l’area, si troverebbe a competere con nazioni potenzialmente ostili e gemellate tra loro. Uno smacco per Mosca che con l’attacco all’Ucraina rischia di inciampare in uno dei più plateali paradossi della storia. Quello che iniziava per impedire l’allargamento della Nato rischia di concludersi con l’ingresso nell’Alleanza di due nuovi paesi prima neutrali e militarmente preparati.