Guardando lo scenario politico internazionale da un punto di vista un po’ più panoramico, quella che si avvia a conclusione è stata una settimana segnata dal voto. Un voto che ha visto coinvolte tre potenze del bacino del Mediterraneo: Spagna, Turchia e Italia, con un risultato interessante da un punto di vista analitico, cioè la virata a destra dell’orientamento politico dei tre paesi.
Partiamo dalla Spagna. Nei giorni scorsi 12 regioni e oltre 8mila comuni spagnoli sono stati tutti coinvolti dalle amministrative. Il centrosinistra non solo è stato sconfitto a Madrid, Barcellona, Siviglia e Valencia. È stato spodestato o battuto in quattro comunità autonome e due regioni dal Partito Popolare, che in caso di accordo con gli ultraconservatori di Vox adesso avrebbe i numeri per governare la Comunità Valenciana, Aragona, Extremadura, La Rioja (in solitaria), Cantabria e Baleari. Mantenendo inoltre il governo della comunità di Madrid e della Murcia. Il Partito Socialista (Psoe) è riuscito a mantenere la guida della regione di Castiglia La Mancia (dove il tradizionale vantaggio si è nettamente assottigliato), della Navarra e delle Asturie. Un disfatta per il centrosinistra che ha spinto il premier Pedro Sánchez ad annunciare le sue dimissioni e indire le elezioni anticipate a luglio.
In Turchia, Tayyip Erdogan è uscito vincitore dal secondo turno delle elezioni presidenziali. La sua coalizione si è imposta nettamente, nonostante non sia riuscita a farlo, come in passato, già dal primo turno. Ma la piccola caduta, tuttavia, non è riuscita a compromettere il successo finale. La vittoria di Erdogan significa molte cose: mantenimento di un discutibile indirizzo democratico del paese a causa delle restrizioni sulle principali libertà (stampa, espressione e leggi di matrice islamista), pugno duro nei confronti della minoranza curda, politica economica intesa all’abbassamento dei tassi di interesse, favorendo le esportazioni ma aumentando anche inflazione e svalutazione della moneta nazionale. Ma significa anche il rafforzamento della sua posizione di mediatore tra il fronte Occidentale e la Russia. La Turchia, infatti, è l’unico paese ad aver mantenuto rapporti con Mosca dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, rivelandosi però un interlocutore non sempre trasparente, visti i suoi rapporti economici ed energetici ancora molto evidenti con Putin.
Torniamo in Italia, dove nella settimana della Festa della Repubblica il centrodestra ha confermato una vittoria elettorale netta nella tornata delle amministrative, conclusasi lunedì con gli ultimi ballottaggi in molte città, tra cui sette capoluoghi importanti. La notizia non è tanto il successo del centrodestra, quanto piuttosto il risvolto politico che il voto ha avuto sul Pd e non solo. La Schlein ha ammesso la sconfitta, invocando un’unità più progettuale del centrosinistra, ma all’interno del suo partito si è alzata forte la voce della componente dissidente alla segretaria. Un dibattito che nei prossimi mesi potrebbe prendere ancor più piede, anche in vista del prossimo importante esame, ovvero quello delle europee del 2024. Quell’appuntamento acquisisce adesso una gran rilevanza politica per i due schieramenti, ma soprattutto per il centrosinistra: il fallimento questa volta potrebbe avere conseguenze più categoriche.
Il governo, quindi, può godersi la Festa del 2 giugno forte di un consenso che genera tranquillità. L’unico cruccio, in questo momento, è rappresentato dal Pnrr, una sfida che si sta complicando a causa dei ritardi. Nonostante le rassicurazioni del ministro degli Affari europei Raffaele Fitto, (che in conferenza stampa dopo il cdm di mercoledì ha spiegato che l’Italia sta rispettando tutti gli impegni per modificare il Recovery Plan senza perdere un centesimo e ha chiarito: “Dobbiamo andare veloci, ma non di fretta”), in settimana sono arrivate anche le parole di Ignazio Visco, il governatore della Banca d’Italia, che nel suo ultimo discorso da palazzo Koch prima del termine del suo mandato, ha spiegato: «Anche se sul Pnrr i miglioramenti sono possibili, tuttavia non c’è tempo da perdere. Il Piano rappresenta un raro, e nel complesso valido, tentativo di definire una visione strategica per il Paese. È quindi cruciale dare attuazione all’ambizioso programma di riforme, da troppo tempo attese, in esso contenuto. Un confronto continuo con la Commissione europea è assolutamente necessario nonché utile e costruttivo».
Un monito gentile, ancorché severo, per ricordare al governo la crucialità politica ed economica della sfida. E in prima fila ad ascoltarlo c’era una “vecchia” conoscenza dell’establishment italiano, quel Mario Draghi, sul cui prossimo futuro in molti continuano a interrogarsi.